Brasile - per affrontare i problemi strutturali del paese la presidenta dovrà lanciare una nuova sfida culturale nella quale le donne....
Angelucci Nadia Giovedi, 23/12/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2011
Quando il primo gennaio Dilma Rousseff assumerà ufficialmente la presidenza del Brasile, 191 milioni di abitanti, il mondo intero starà festeggiando il Capodanno. I brasiliani lo faranno con la consueta allegra confusione di sfilate e balli e con la doppia ragione di festeggiare l'inizio dell'anno nuovo e quello dell'era Rousseff, che, a sentire gli analisti internazionali, rappresenterà una continuità con i governi antecedenti di Inacio Lula da Silva, amatissimo presidente brasiliano che l'ha letteralmente scelta come sua erede. Anche se l'America Latina ci ha abituato, negli ultimi anni, a vedere donne rivestire la più alta carica nei governi, si pensi a Michelle Bachelet in Cile, a Cristina Fernández in Argentina, Laura Chinchilla in Costa Rica, e malgrado Dilma abbia goduto di un appoggio fortissimo, quello di Lula appunto, gli ostacoli, soprattutto di carattere culturale, che ha dovuto superare in una società profondamente machista come quella brasiliana aggiungono alla sua elezione un fattore addizionale di ampliamento della democrazia che è importante sottolineare.
Dilma Vana Rousseff, classe 1947, è la seconda figlia di una maestra brasiliana e di un immigrato bulgaro; dopo il golpe del 1964, si unì ad una organizzazione politica che combatteva contro la dittatura e più tardi, arrestata e torturata, rimase in carcere per circa tre anni. La sua vita è stata caratterizzata dal coinvolgimento attivo nella lotta politica: ha contribuito alla fondazione del Partido Democrático Trabalhista (PDT), ha ricoperto l'incarico di segretaria municipale della Fazenda di Porto Alegre nel governo di Alceu Collares e più tardi è stata segretaria statale per le miniere e per l'energia nei governi di Alceu Collares e di Olívio Dutra. Proprio durante questo periodo si è avvicinata al Partido dos Trabalhadores (PT) partecipando al gruppo di lavoro del settore energetico per l'elezione di Luiz Inácio Lula da Silva alla presidenza della Repubblica nel 2002; fu poi nominata dallo stesso Lula ministro della Casa Civil, posizione equiparabile al nostro ministro dell'Interno con funzioni di sottosegretario alla presidenza del consiglio.
Il paese che Dilma si troverà a governare ha senza dubbio, durante il governo Lula, raggiunto degli obiettivi assai importanti: una crescita economica che non si ferma neanche davanti alla crisi mondiale e dei significativi avanzamenti nella lotta alla povertà, piaga endemica del Brasile. Ma le sfide che la nuova presidenta si troverà davanti sono ancora molte. Il governo Lula, infatti, ha raggiunto gran parte dei suoi risultati appoggiandosi ad un progetto macro-economico di impronta ancora neoliberale, utilizzando i successi economici per traghettare il paese verso uno Stato più attento agli obiettivi sociali e sensibile alle richieste della popolazione più vulnerabile. Ma mantenere l'equilibrio tra queste due componenti non è stato facile e non si può negare che il progetto 'economico' ha spesso sopravanzato quello 'sociale' anche se la riduzione delle disuguaglianze nel paese è stata così profonda da regalare a Lula una popolarità eccezionale. Dilma si troverà quindi a dover lavorare duramente per accelerare questa transizione verso l'instaurazione del welfare, prestando maggiore attenzione ai movimenti sociali e all'intellighenzia brasiliana che spesso hanno denunciato le contraddizioni e, allo stesso tempo, dovrà ascoltare le richieste della classe media che sente minacciato il proprio status. Un nodo che potrà tentare di sciogliere solo rettificando lo squilibrio tra la vita economica e quella culturale e politica; avrà quindi bisogno di lanciare un grande piano di coinvolgimento nazionale attraverso la cultura, l'educazione, la comunicazione. E le donne come entrano in questa grande sfida culturale?
L'attenzione all'elemento femminile è stata presente nel suo discorso post-elezione: “Per la prima volta – ha detto - una donna è presidente del Brasile. Per questo il mio primo impegno sarà onorare le donne brasiliane, far si che ciò che accade per la prima volta si trasformi in un evento naturale, per ampliare l'uguaglianza di opportunità tra uomini e donne. Vorrei che i papà e le mamme del Brasile guardassero in quest’istante negli occhi le loro bambine e dicessero loro: Sì, le donne possono”.
Ma Dilma Roussef presidenta sembra aver perso lo smalto dei suoi ideali rivoluzionari giovanili; la presidenta sottolinea la sua empatia in particolare con le donne più povere, è stata accompagnata da un gruppo quasi esclusivamente femminile durante la campagna elettorale e include la prospettiva di genere nei suoi programmi affermando che “in Brasile privilegiare le donne non è politica di genere ma politica sociale” dato che il 30% dei nuclei familiari è guidato da una donna. Ma ha preso totalmente le distanze dal femminismo scartando l'idea di dare seguito alle richieste prioritarie del movimento delle donne come il matrimonio omosessuale e la depenalizzazione dell'aborto. Su quest'ultimo punto in particolare ha rischiato di perdere la competizione elettorale e ha dovuto fare marcia indietro.
Che la pratica amministrativa e il potere siano pericolosi per le donne tanto quanto per gli uomini è cosa nota, che sia necessario saper leggere i contesti economici, sociali, culturali, è altrettanto noto, che sui corpi delle donne da sempre passi il terreno di scambio e di equilibrio del potere e che spesso le stesse donne siano 'carnefici' delle altre è ormai chiaro. La tiepidezza di Rousseff verso i movimenti femministi non ci dovrebbe far ben sperare ma, dato il contesto regionale latinoamericano e fatto il paragone con la nostra situazione europea, ci rallegriamo per la possibilità che Dilma, una donna, avrà di esercitare il potere. Ci mettiamo dietro di lei e le diciamo 'forza Dilma' sperando che qualcosa possa cambiare.
PS E' doveroso un post scriptum sulla questione della negazione all'estradizione di Cesare Battisti da parte di Lula. A scanso di equivoci affermo subito che la trovo sostanzialmente sbagliata. Aggiungo però alcune considerazioni. Il governo Berlusconi ha, per anni, preferito far finta che l'America Latina, e il Brasile in particolare, fossero ancora colonie degli Stati Uniti osteggiando sistematicamente l'iniziativa brasiliana, nei consessi internazionali, ogni qual volta questa creasse un conflitto con gli USA e rifiutandosi di riconoscere la potenza mondiale e i tantissimi traguardi che questo paese ha raggiunto. Inoltre non è stato in grado di prendere una sola iniziativa politica seria nei confronti di un continente che sta rafforzandosi sempre più e gode di una credibilità minima, anche per gli scandali che ben conosciamo,che hanno fatto il giro del mondo e che fanno da contraltare a notizie, provenienti dal nostro paese, su respingimenti di migranti e raid in campi rom. In sostanza, non è difficile comprenderlo, la decisione di Lula è stata presa in un contesto in cui il nostro paese non è giudicato serio ed affidabile. Non è il caso di piangere ora sul latte versato. Si sarebbe potuto e dovuto agire meglio in precedenza.
Una nota di colore in questa vicenda tragica: il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha inviato una lettera a Dilma Rousseff con la speranza che "il nuovo Presidente possa rivedere la decisione del suo predecessore”; Dilma Rousseff è una donna e quindi è “la nuova Presidente”.
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