Donne in Parlamento: chi, cosa? - Oltre il Senato, la parola alle Senatrici - di Paola Avetta
A parte le opinioni contrarie, le senatrici sono anche critiche, ma dialoganti: Doris Lo Moro (PD), Laura Bianconi (NCD), Patrizia Bisinella (Lega), Loredana De Petris (SEL)
Giovedi, 03/04/2014 - Costituzionalisti contrari, lancia in resta dal Presidente del Senato, dissenso nel PD, FI che nicchia: il Governo Renzi scricchiola dopo la presentazione della proposta di Riforma che porrà fine al bicameralismo perfetto. Ma a Palazzo Madama, le donne di vari gruppi parlamentari e che sono ben sicure che nella prossima legislatura, a riforma varata, non saranno più Senatrici, si dimostrano serene e non pregiudizialmente contrarie al terremoto che le coinvolgerà.
Eccezione fatta per la senatrice Anna Maria Bernini (FI) che al momento non si pronuncia e per le senatrici di 5 Stelle (tutte strenue avversarie del Ddl) le esponenti del PD, della Lega, di SEL e della Nuova Destra, che abbiamo sentito, si dimostrano argomentanti, ma costruttive.
Doris Lo Moro (PD e capogruppo alla commissione Affari Costituzionali) mette innanzitutto in evidenza la contrarietà alla polemica in corso. A suo avviso Il Governo Renzi, presentando la legge costituzionale in prima persona non ha scavalcato competenze parlamentari, si è dimostrato coraggioso di fronte ad un blocco di fatto, ha tenuto ben conto del lavoro parlamentare svolto in precedenza e ha lasciato aperte tutte le porte alle garanzie costituzionali per le modifiche che le Camere vorranno apportare.
Molto meno convinta, Doris Lo Moro, lo è invece sulla composizione del nuovo Senato. Il governo prevede che sia formato dai Presidenti delle Regioni, dai Sindaci dei Capoluoghi di Regione e da consiglieri Regionali e sindaci eletti dalle istituzioni territoriali. La loro scadenza da Senatori dovrebbe corrispondere con quella delle istituzioni territoriali nelle quali sono eletti, quindi in tempi diversi, e questo per la Senatrice Lo Moro porterebbe ad un puzzle istituzionale pasticciato e instabile. Inoltre non è convinta su come verrà garantita l'eleggibilità dei Senatori eletti e ancora meno convinta e' del fatto che a questi rappresentanti territoriali il nuovo Senato dovrebbe affiancare 21 personalità, scelte dal Capo dello stato con le stesse modalità con le quali vengono oggi, spesso tra le polemiche come avvenuto di recente, scelti i Senatori a vita ( vale a dire, alti meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario).
La Senatrice Laura Bianconi (NCD) è d'accordo sul taglio dei senatori e delle spese istituzionali previste dal Governo e ancora più d'accordo è sulla necessità di dare un fine al Bicameralismo perfetto prevedendo un Senato diverso, Europeista, che agisca e si coordini con le Regioni per l'attuazione puntuale delle normative Europee. Ma sulla composizione del nuovo Senato è molto perplessa. Secondo lei i Senatori eletti dovranno essere molti di più, considerando che tra le competenze di Palazzo Madama ci saranno anche le future Riforme Costituzionali, inoltre è anche lei contraria ai nuovi 21 cosiddetti Senatori a vita ed è perplessa sul fatto che diventino Senatori i Presidenti delle Regioni, visto che hanno già un ruolo in Conferenza Stato-Regioni e che nessuno finora ha previsto di abolire questo organismo. A suo avviso bisognerà poi avere più coraggio nel riformare l'Articolo V della nostra Costituzione eliminando al massimo la legislazione concorrente tra Stato e Regioni, il cui contenzioso accumulato ha intasato i TAR.
Per la Lega parla la Senatrice Patrizia Bisinella che concorda sul superamento del bicameralismo perfetto e sulla riduzione dei Senatori, ma che mette soprattutto l'accento sul fatto che la Riforma va nella direzione di un sistema federale. Qui sta il bello della Riforma ma, a suo avviso, qui sta anche il punto più dolente perché la Riforma si dimostra troppo timida nell'affrontare il tema della autonomia delle Regioni. Secondo la senatrice Bisinella non c'è garanzia di rappresentatività equilibrata e democratica delle Regioni ed e' sbagliato prevedere analogo trattamento per tutte le Regioni, indipendentemente dal fatto che si siano dimostrate più o meno virtuose nel gestire i loro bilanci. Occorrerebbe distinguere tra chi ha amministrato bene e chi ha sperperato, dando quindi più autonomia alle prime e minore autonomia alle seconde, come alle Regioni a statuto speciale.
La voce più critica, infine, è quella di Loredana De Petris (SEL) che trova che il Senato, se verrà riformato come propone il Governo, diventerà una sorta di dopolavoro ferroviario forgiato non a garanzia del sistema democratico ma solo per tagliare le spese dello Stato. Se il problema è solo questo, dice polemicamente la Senatrice De Petris, allora tanto vale pensare ad uno stato guidato da un solo uomo e che comporta quindi un solo stipendio. La Senatrice De Petris si affianca poi ai Costituzionalisti critici perché la legge non è partita dalle Camere ma da un Governo e un politico non eletto.
Quindi a Palazzo Madama le donne guardano da diverse angolature la legge che sopprimerà il Senato di oggi, ma su una cosa convergono tutte: ormai il motore della macchina delle Riforme costituzionali è stato acceso, la macchina non è più formabile, occorre definirne meglio il percorso.
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