“Durante la guerra il nostro vicino aveva sotterrato in una damigiana i semi del grano marzolo e poi dopo la guerra lo ha ritirato fuori. Poi tutti lo abbiamo riseminato. È un grano antico il nostro, io mi ricordo che i miei nonni lo chiamavano il granino, il grano marzolo, che si semina a marzo quando è passato il freddo. Qui c’era la linea gotica, si son passati dei momenti brutti in tutti i sensi, i tedeschi prendevano tutto, galline, maiali, mucche. Certo, dovevano vivere anche loro, era una questione di sopravvivenza, di rifornimenti, sennò di che vivevano? Erano in ritirata. Il mio figliolo mi dice ‘mamma, nella vostra situazione ringrazia, siete stati fortunati perchè sapete direttamente cosa è successo e lo potete raccontare, noi possiamo solo immaginare ma la storia è già sfumata’. Qui ho comprato il podere di un fratello del mio babbo che era avvocato e stava a Pistoia; anche lui era appassionato di terra. Qui ero sfollata in tempo di guerra perché stavo al paese quando vennero i tedeschi e insediarono il comando e ci mandarono via. Dopo la guerra quando chiesi allo zio di vendermi il podere mi disse ‘ma che sei diventata matta, è andato via il contadino’, ma io dissi ‘è la mia passione’. E me lo vendette. Così ho sperimentato l’autosufficienza alimentare. Venire qui è stata una bella esperienza, anche se lì per lì è stata una scelta contro corrente, parliamo di quaranta anni fa! Una volta una signora dal paese venne a trovarci. Noi si aveva le pecore e ci chiese un po’ di concime per le patate. ‘Ti ho portato dei semi di zucca d’inverno, mettili; sai quando siete venuti qui si pensava che foste matti, ma ora ci si accorge di chi ci ha visto lungo, perchè il mondo non si sa dove va a finire’. Questa signora era venuta a settembre, ma era malata ed è morta poi in primavera. Noi diciamo che queste sono ‘le parole della verità’, sono le parole dette da persone che vedono un po’ oltre e infatti, se ci si pensa bene bene, ora l’economia sta tornando indietro.
Se si semina si mangia, la mia mamma me lo diceva sempre. Mia mamma è stata preziosa, mi disse ‘senti bimba io ho un po’ di soldini da parte, ve li do più volentieri da viva che da morta e se compri il podere so dove tu li hai messi’. Io sono del 1936. Noi abbiamo sempre lasciato la libertà ai figlioli, non potevo pretendere che facessero quello che ho fatto io; hanno fatto la loro strada, hanno studiato, ma ora ci aiutano tutti, figli e nipoti.
Il nostro piatto famoso, quello della festa, sono i maccheroni di pasta fatta a mano con sugo di carne, oppure la pasta e fagioli. E poi c’è il pane. Che buono! Noi da sempre lavoriamo in agricoltura, anche se il podere vero e proprio l’abbiam preso con mio marito quando c’erano già i figlioli che andavano a scuola. Qui è sempre stata un’agricoltura di sussistenza, non come intendete voi in città, siam sempre vissuti con quello che si produceva, un po’ di castagneto per le castagne e la farina, un po’ di grano, che viene seminato ma poi ci dan tanta noia i cinghiali. Siamo nella montagna pistoiese e c’è da stare attenti alla stagionalità. Da noi c’è il detto ‘sotto la neve pane, sotto l’acqua fame’, perché il grano che si seminava prima dell’inverno, in ottobre, andava perduto con facilità se l’inverno era piovoso: potevano ghiacciare le radici e moriva. Invece quello marzolo era più sicuro”.
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