Donne ed immigrazione: differenze di pensiero ed azione
Francesca Totolo, divulgatrice della fake news sulla naufraga Josefa, Elin Ersson, strenua oppositrice al rimpatrio di un profugo. Due donne che hanno occupato la scena sul tema dell'immigrazione
Martedi, 31/07/2018 - Nella settimana appena trascorsa sono balzati in tutta evidenza due fatti di cronaca aventi ad oggetto le modalità di relazionarsi al fenomeno dell’immigrazione da parte di due donne. Nella prima vicenda abbiamo visto confezionare una fake news riguardante Josefa, la superstite di un naufragio nel Mediterraneo. La migrante è rimasta aggrappata per oltre due giorni ai resti del relitto di un’imbarcazione, prima di essere soccorsa dai volontari dell’ong Proactiva Open Arms. La drammaticità del suo recupero sta nella tragica circostanza per la quale le erano accanto i cadaveri galleggianti di una donna con il suo bambino, uccisi di ipotermia. Le immagini del salvataggio della donna africana hanno fatto il giro del mondo ed è ancora ben impressa nella mente di chi le ha viste l’espressione agghiacciante di Josefa nel mentre veniva issata a bordo della nave.
Il terrore per la morte a lei così vicina, frammisto all’incredulità per la vita che le veniva assicurata dalle braccia forti che la sorreggevano, ha denotato il suo viso. Quegli occhi spersi nel buio della paura di non farcela, sono stati la nota caratterizzante di questo fatto di cronaca. Appena in coperta la donna è stata distesa su di una barella, ove è rimasta per giorni, perché le sue gambe colpite da ipotermia, non le consentivano di reggersi all’impiedi. Nel frattempo le attiviste dell’ong si sono adoperate a tentare di recuperare anche la psiche di Josefa, così duramente colpita da quanto le era accaduto. L’avranno vista apatica, non reattiva alle loro sollecitazioni, cosicchè hanno deciso di fare un gesto ordinario, al limite del surreale, per strapparle una reazione positiva. Hanno dipinto di smalto rosso le unghie di Josefa, che rimaneva sempre distesa in barella per le sue precarie condizioni fisiche.
Fatto sta che l’immagine di questo particolare è iniziata a circolare sui social, trasformandosi strumentalmente in una bufala: Josefa non era più una migrante salvata da una morte certa, ma un’attrice assoldata da Open arms per inscenare in finto salvataggio in mare. A detta dei detrattori proprio quello smalto rosso, incapace di resistere in acqua per due giorni, è stato la pietra dello scandalo in rete. Senonchè una giornalista italiana, Annalisa Camilli, presente sulla nave, ha raccontato la verità, che ha fatto un sol boccone dello sciacallaggio messo in campo da chi risponde alla vulgata comune sull’immigrazione clandestina quale emergenza e catastrofe nazionale. La donna che ha dato il via al divulgarsi iniziale della fake news, Francesca Totolo, diffondendo un tweet in cui poneva l'attenzione sulle unghie laccate della migrante soccorsa in mare dopo il naufragio, ha incassato centinaia di visualizzazioni, quasi settecento like e oltre cinquecento ritweet. Per di più, intervistata da La Stampa, la collaboratrice di Primato Nazionale ha confessato di avere “stretti legami” con quegli account Twitter anonimi che pullulano sul social network, specializzati nel diffondere e propagandare notizie contro i migranti.
Come contraltare a questa donna ed al suo modo di approcciarsi al tema dell’immigrazione, connotato dalla scarsa solidarietà mostrata a Josefa, c’è invece la vicenda che ha visto come protagonista una attivista svedese, Elin Ersson. Venuta a conoscenza dell’espatrio forzato di un profugo afgano, la giovane donna ha comprato il biglietto d’aereo e si è imbarcata con lui. Una volta sull’aereo, non ha rispettato le istruzioni impartitele dal personale di bordo e con il cellulare ha trasmesso in diretta le immagini della sua “resistenza”. Alle prime ritrosie e rimproveri degli altri passeggeri ha iniziato a raccontare del pericolo di morte in cui sarebbe incorso il profugo, una volta rientrato in patria, con toni così accalorati e coinvolgenti che alla fine tutti sono stati solidali con lei. Il personale di bordo allora ha deciso di farla scendere dall’aereo insieme al profugo, per il quale si era così veementemente prodigata. Il video, postato su facebook, ha ottenuto quasi cinque milioni di visualizzazioni, ma della reale sorte di quell’uomo Elin non conosce la sorte.
L’attivista svedese non sa se quella sorta di ammutinamento lo ha salvato dall’espatrio, ma è fiera di avere preso posizione su di una decisione istituzionale che riteneva ingiusta. Il coraggio che ha contraddistinto il suo comportamento, in un mondo così poco caratterizzato da spirito solidaristico, le fa profondamente onore. Non è così per Francesca Totolo e chi ha offeso Josefa che invece hanno dileggiato il suo dramma. Sarebbe bastato solo visionare l’immagine delle mani della naufraga al momento del suo salvataggio per comprendere come la tesi, che hanno contribuito a fare circolare sui social, fosse destituita di fondamento. Una tesi motivata esclusivamente dalla logica di sputare ancora una volta veleno sui migranti e chi li soccorre. Francesca ed Elin, due donne completamente diverse, negli ideali e nei correlati comportamenti, si sono prese la scena sui media. Sta a noi decidere chi sostenere e chi deprecare sulla base dei nostri personali convincimenti. Sullo sfondo rimane un sistema di comunicazione, quale quello dei social, che ci fa essere coprotagonisti della divulgazione delle notizie. O, quanto meno, critici di ogni falsa verità, sempre che sia in nostro possesso la capacità di comprenderne la portata, perché da questa capacità dipende un effetto non irrilevante. Ossia fare in modo che il buon senso, che di questi tempi pare che stenti ad emergere, non vada sconfitto ad opera di un senso comune, colpevolmente caratterizzato da stereotipi impregnati di razzismo e violenza.
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