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Donne e scrittura

Donne e scrittura

Se la parola è già conquista, la scrittura, che "conferma" la parola e le dà durata e memoria, è la più forte e trasgressiva delle conquiste.

Martedi, 04/01/2011 -
Così si esprime Antonia Pozzi: “Oh le parole prigioniere/ che battono furiosamente/alle porte dell’anima”.

La parola è un’esigenza

insopprimibile. Essa apre le porte dell’anima, è viaggio di amore e conoscenza, di noi e del nostro rapporto con noi stessi e con l’Altro. Eppure la parola, fatto usuale e normale per gli uomini, per la donna è conquista relativamente recente.

La donna da un certo punto di vista ha un rapporto privilegiato con la parola, quello della chiacchiera, della narrazione, dell’affabulazione, ma esso si esplica su un territorio ininfluente, per così dire "nello spazio del gineceo", mentre la parola autorevole,quella che dà accesso alla comunicazione forte e alla decisionalità, le è preclusa.

La detentrice di parole che racchiudono una forma di potere, le parole delle formule, dei riti, è stata vista come pericolosa, e la medichessa, la guaritrice, è diventata spesso "la strega".Per quanto riguarda la parola "forte" la donna è stata per molto tempo confinata nello spazio tra il silenzio dell’esclusione e il grido della follia. O muta, o matta.

Le più fragili si sono piegate al silenzio. Le più ribelli, le più scomode, non catalogabili, hanno conosciuto la costrizione del chiostro,dei collegi, dei manicomi. E nemmeno in tempi tanto passati se i conventi "Magdalene" descritti nel film di Peter Mullan premiato nel 2002 a Venezia, esistevano ancora negli anni ’60.

E tanto confermata e "logica" doveva essere, nella mentalità di allora, questa "normalità della pazzia femminile", che proprio la dichiarazione di pazzia contraddistingue due personaggi femminili importanti della letteratura siciliana, la Beatrice del "Berretto a sonagli" di Pirandello, e la Assunta dell’ "Onorevole" di Sciascia-entrambe donne che hanno cercato l’autenticità dando voce al disagio e scardinando l’ordine esistente, entrambe donne che hanno dovuto "entrare" nella pazzia perché quell’ordine fosse ricostituito.

E se la parola è già conquista, la scrittura, che "conferma" la parola e le dà durata e memoria, è la più forte e trasgressiva delle conquiste. La scrittura ha una straordinaria valenza simbolica: è il potere degli iniziati, dei sacerdoti, degli scribi,è potere non solo di espressione e comunicazione, ma di gestione dei “segni”, di interazione tra la mente e le cose, l’Io e il mondo. Questo rapporto tra silenzio e parola, tra silenzio e parola scritta, ha ricevuto forza icastica e valore di simbolo nella Marianna Ucria di Dacia Maraini. La scrittura per la donna è identificazione, conferma del Sé come individuo e come genere.

Perciò ogni donna che matura una sua consapevolezza e riesce a darvi forma, non parla solo per sé, ma parla per tutte le donne, anche per le escluse,le dimenticate, quelle che finora non possono farlo. Come dice Anais Nin : “Non è solo la donna Anais che deve parlare, ma io devo parlare per molte donne”.

Il rapporto delle donne con la scrittura si è sempre misurato con le consuete domande.

Esiste una specificità femminile nella scrittura? Le donne scrivono in modo diverso dagli uomini?Esiste sempre a prescindere dal tema trattato un’ottica femminile?

Non sono domande semplici. Intanto non è facile conquistare un linguaggio proprio quando si è tanto taciuto. Esprime bene questo senso di inadeguatezza Pirandello ne La ragione degli altri, quando fa dire a Livia: “Non sento come mia la mia voce…un tono che mi sembri giusto. Ho troppo, troppo taciuto…”.E poi, certamente esiste l’ottica femminile, ma qual è? Forse non lo sappiamo ancora, non lo sappiamo interamente. Tanti sono i condizionamenti che si sono insediati nella memoria storica delle donne. Ce ne rendiamo conto leggendo i saggi sulla donna,della De Beauvoir, della Greer ed altre, ma anche il saggio dell’italiana Elena Gianini Belotti “Dalla parte delle bambine”, un testo che negli anni ’70 richiamò l’attenzione sul pesante condizionamento operato sulle bambine dalla scuola e dal contesto sociale.

Sono convinta con Coleridge che “la mente dell’artista è androgina”. Tuttavia, volendo trovare una specificità nella scrittura femminile, potremmo richiamarci alla definizione data da Marianne Moore per la poesia: “uno spazio per l’autentico”, e condividere il pensiero di Paola Mastrocola che nell’introduzione alla raccolta di poesie femminili “L’altro sguardo”, afferma: “La scrittura femminile, più di quella maschile, è costruita sulla ricerca della verità. Scrivere è riflettere su se stesse, guardare a costo di trovare il buio e l’orrore. E’ questo estremo coraggio dello sguardo”.

Una caratteristica della donna che scrive è stata il richiamo dell’estremo,il suo non mediare, nell’arte come nella vita. Una volta presa coscienza, la donna che agisce la sua ribellione non media, vi si consegna senza riserve. Ed ecco da un lato le scelte di avanguardia nei movimenti letterari, le scelte estreme nella politica(Achmatova, Barkova, Cvetaeva) ,nel privato (Lou Salomè, Sibilla Aleramo…)

E a volte le scelte estreme implodono in se stesse e la parola non riesce ad essere salvifica. Molte, moltissime donne non si sono salvate attraverso la parola. La lucidità razionale e la visione magmatica e oscura sono entrambe presenti con l’aspetto bifronte dell’ermafrodito: Il vissuto, il contesto sociale,spesso contraddicono l’esigenza interiore,il sogno. Tante donne che hanno escluso il silenzio si sono trovate strette nella trappola di inestinguibili conflitti. L’identità conquistata a prezzo di tanta scissione non è ancora libertà.

Domato il folle grido, per tante si è aperto il folle volo. Sono le scrittrici , le poetesse suicide:Cvetaeva, Sexton,Bishop, Campana, Espanca, Plath, Pozzi, Storni, Rosselli… …quelle il cui sguardo sull’abisso si è incrociato con quello dell’abisso verso di loro.

Un’altra considerazione è sempre stata collegata alla scrittura femminile:specialmente in passato si è messo in dubbio il suo effettivo interesse artistico, e spesso i critici l’hanno considerata uno sfogo,un’effusione personale senza agganci con quei valori universali che si attribuiscono all’arte.

Discorso , questo, delicato e pericoloso, che ha oscurato un ricco patrimonio di esperienze letterarie in particolare tra ‘800 e ‘900, rendendo poco visibile una presenza, quella femminile, in realtà molto vitale. In questo periodo molte donne hanno scritto libri anche non caratterizzati da una specifica “presa di coscienza”,ma non meno interessanti di molti libri maschili-libri che sono stati ignorati nelle storie letterarie e nelle antologie, che sono “scomparsi”, liquidati dai “critici laureati” come “senza valore”. Eccessivo lirismo, autobiografismo compiaciuto, sentimentalismo sono i vocaboli più ricorrenti. Eppure autrici come Carola Prosperi, Neera, Marchesa Colombi, la Contessa Lara, per citarne alcune, hanno scritto poesie e storie con rivolti psicologici e sociali di estremo interesse. E interessanti sono le opere delle rappresentanti del romanticismo siciliano, la termitana Rosina Muzio Salvo e le sorelle Stazzone-nomi sconosciuti ai più. Perchè? Perché le emozioni, il “di dentro”, la visceralità di uno scrivere senza filtri e senza censurare il sentimento, ne hanno determinato la svalutazione immediata, non tanto sulla base di un’analisi critica attenta, ma proprio sulla base della visione del mondo, per criterii, dunque, di pregiudizio sessista. I valori che hanno prevalso sono stati quelli maschili, sono stati gli uomini a decidere cosa avesse o no valore o significato universale. Dice Virginia Woolf: “Il calcio e lo sport sono importanti, la moda, i vestiti, sono futili…Questo è un libro importante, suppone il critico, perché tratta di guerra; questo è un libro insignificante, perché tratta dei sentimenti delle donne in un salotto”.

Infine, una considerazione sulla situazione oggi. Oggi la donna che scrive non fa più notizia né scandalo, anzi fa tendenza, e moltissime sono le donne che pubblicano distinguendosi anche nei più prestigiosi premi letterari. Distanziato ormai il momento della rabbia, della rivendicazione, essa può affrontare ogni altro argomento, ogni tematica a cui regalare la ricchezza ineguagliabile della propria visione, della propria coloritura. Siamo ormai arrivate, dopo tanti anni, con tutte le strade del pensiero aperte, là dove gli uomini erano già secoli fa. Potrebbe sembrare una situazione ideale. Ma è veramente così?

Non so se davvero le donne passeggiano libere nei viali della scrittura. Non mi sembra che ancora passeggino “veramente” libere nei viali della vita. Riconoscere il proprio bisogno interiore e seguirlo senza curarsi delle convenienze e delle conseguenze, è trasgressione. Poter seguire il proprio bisogno interiore senza conseguenze negative per sé e per gli altri, è libertà. E non credo che questo,oggi,sia. Penso che dove c’è conflitto non c’è vera, gioiosa libertà. Credo che la parità tra i sessi non sia raggiunta e che la donna sia ancora troppo spesso “straniera”.Basta considerare come la più specifica della funzioni femminili, la maternità, sia tuttora ignorata nella sua complessità e ambivalenza, ingabbiata nei luoghi comuni di una serenità semplicistica e patinata col risultato di lasciare la donna sola e smarrita di fronte a un evento che di fatto cambia e sconvolge la vita, innescando drammi dovuti alla depressione e all'impossibilità di mediare e comunicare un disagio "inaccettabile".

Credo che l’uomo preferisca ancora una “geisha” a una compagna e guardi ancora con diffidenza alla donna intelligente e/o sessualmente libera. E credo infine che nonostante si pubblichi molto, non sempre gli scritti delle donne si stacchino da un livello medio e banale. In una società segnata da un’involuzione culturale, dove si dà ormai per scontato che non ci sia più una questione femminile, una società che scambia la leggerezza di cui parla Italo Calvino con la superficialità, e la “rivelazione” con l’esternazione, il rischio è che la parola femminile si addomestichi e perda la sua forza dirompente, che non incida più, non sia più chiave d’accesso al disvelamento.

Eppure è proprio in una società così,che è importante che la parola sempre di più mantenga la sua forza e la sua luce. E’ importante che attraverso la parola noi continuiamo a cercarci,per raggiungere e amare interamente la nostra complessità .

E’ importante fare appello al nostro specifico sentire femminile, ai nostri saperi, alla nostra istintualità. Solo così,come dice Clarissa Estes, nel suo libro “Donne che corrono con i lupi”, solo così “la nostra anima verrà a visitarci”, portandoci in dono la visione non solo dell’altro da noi, ma dell’altra in noi. Solo così possiamo sperare di acquistare ali per domare l’abisso. E ogni volta di più quel ponte che Antonia Pozzi voleva costruire con la poesia, il ponte “sottile e saldo e bianco/sulle oscure voragini della terra”, quel ponte che fu troppo fragile per la giovane poetessa morta suicida, diventerà più saldo e forte, tanto da sostenerci- e forse finalmente non da sole.

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