In questo 70esimo della Liberazione dal nazifascismo ci sono state tra le tante anche le testimonianze finalmente di donne, i mass media nazionali e locali hanno pubblicato e mandando in onda una realtà da cui comincia ad emergere questo protagonismo femminile. In genere prevalgono ancora le testimonianze personali invece del grande sforzo collettivo e organizzato che le donne della resistenza hanno prodotto al di là di ogni appartenenza politica sociale e religiosa. Anche la Rai per la prima volta ha fatto uno sforzo più evidente soprattutto con Rai storia. Molti nuovi testi sono stati pubblicati comprese graphic novel per ragazzi e ragazze. Tante le mostre storiche, i convegni, le rassegne cinematografiche, le biciclettate nei luoghi segnati dalla presenza delle donne nella resistenza, a cominciare da Roma l’’8 marzo e in tante città italiane il 25 aprile.
L’Udi, oltre le iniziative in tutt’Italia, cominciate già un anno fà nell’anniversario della nascita del Gruppi di Difesa della Donna , dal nord al sud della penisola, per questo 25 aprile ha curato un video documentario in cui quattro donne diverse, Marisa Rodano, Lidia Menapace, Luciana Romoli e Tina Costa, raccontano perché delle giovani e giovanissime si sono impegnate nella resistenza. Realizzato insieme all’Uisp, “Le ragazze del 43 e la bicicletta”, intende raccontare anche perché questo mezzo povero e indispensabile sia diventato un simbolo delle staffette e un strumento pericoloso per i nazisti che viene proibito da Kessering nella Roma occupata.
Proibito perché pericoloso per l’esercito più potente e feroce del mondo in quel momento storico. Un modo per riconoscere che la guerra partigiana e la guerra di liberazione riguardava un grande movimento di popolo in cui le donne e i giovani, sono stati fondamentali. Raccontata da queste donne la storia è straordinaria, ironica, antiretorica e dimostra cosa sia lo spirito civile e il senso della democrazia e della libertà che le anima. “Perché - come dice una delle protagoniste del video - la libertà è come l’aria, senza non si può vivere. Oggi come ieri”. Per uomini e donne come noi.
Queste parole ci fanno riflettere nel 70esimo della Liberazione dal nazifascismo sulle le tragiche immagini degli sbarchi nel mediterraneo e le scene di guerra in tante parti del mondo da cui fuggono uomini e donne si intrecciano e si sovrappongono alle immagini dell’Europa e dell’Italia nel giorno della fine della guerra: città distrutte, sfollati ovunque, bambini soli, famiglie distrutte. Scene simili che vediamo dalla Siria alla Palestina, dall’Iraq alla Somalia, alla Libia.
“Altre città sono mutilate e distrutte, le rovine s'alzano mostrando i loro interni devastati dai quali pendono solitari un lume o una fotografia. I ponti sui nostri fiumi, sulle nostre strade sono saltati, opere d'arte che erano nostro patrimonio e ambizione sono scomparse» così Alba de Cèspedes, una grande scrittrice del ‘900, scrive nell’inverno del 1944 ricordando da radio Bari i terribili problemi che in quei difficili mesi di guerra affliggevano l’Italia con razzie, eccidi, requisizioni di viveri e di beni, cumuli di macerie che sovrastavano le abitazioni e il patrimonio artistico. Il conflitto, con il suo carattere di guerra totale, aveva segnato l'esistenza quotidiana delle persone, si era inserito nelle loro vite sconvolgendo abitudini, sentimenti, affetti, vi aveva introdotto il dolore e il lutto, obbligando a rivisitare i progetti esistenziali intessuti nel tempo, carichi di emozioni e aspettative. Tra una popolazione addolorata da i lutti, stanca dei sacrifici, tormentata dalla miseria donne e uomini di diversi orientamenti si adoperano per ricomporre le trame di una coesistenza civile, di un interesse per la cosa pubblica che il ventennio fascista, con le sue pratiche di mobilitazione burocratica e le politiche di repressione, aveva cancellato. Ma non per tutti e non per tutte.
Infatti dopo l’8 settembre in Italia si registra in modo silente un 'esplosione della partecipazione anche delle donne che, nell'eccezionalità della situazione, attraversano territori sconosciuti, si misurano con compiti fino ad allora loro preclusi o impediti con una scelta consapevole e coraggiosa. È un intervento nella scena politica e bellica che trova prima di tutto espressione nell’aiuto e nel salvataggio di massa degli sbandati dell’8 settembre, forse il salvataggio la più grande della storia come documenterà Anna Bravo. E il lavoro delle donne continua nella vasta opera di resistenza civile ingaggiata a favore degli antifascisti, dei partigiani, degli ebrei, poi dei soldati alleati; nelle tante sommosse contro il caro viveri che minaccia la sopravvivenza di intere famiglie. E poi con le staffette che portano ordini, armi e dinamite, informazioni e tutto quanto è possibile correndo rischi enormi. Poi le resistenti armate, le gappiste e le sapiste che nel partecipare in vario modo alla guerra Partigiana si assumono responsabilità enormi e gravi compiti.
Non è un caso che sia una donna come Ada Gobetti a scrivere in chiaro il suo Diario Partigiano per spiegare a un Benedetto Croce il senso di quella straordinaria esperienza che lui, come tanti altri, non riesce a capire. In questo quadro, tra il 1943 e il 1944, tornano alla ribalta nuove forme di organizzazione politica delle donne che il Fascismo aveva cancellato. Ma soprattutto nascono per iniziativa di alcune esponenti dei partiti del Clnai i Gruppi di difesa della donna, che sono la premessa alla costituzione dell'Udi avvenuta il 12 settembre 1944, che svolgerà il suo congresso fondativo a Firenze nell'ottobre del 1945 e non a caso alla presenza di Ferruccio Parri.
Il ruolo determinante delle donne fu riconosciuto esplicitamente dal Clnai in quei terribili mesi anche con un impegno formale per il riconoscimento del diritto di voto alle donne come base del diritto di cittadinanza della nuova Italia che chiedevano anche come a uguale lavoro dovesse corrispondere uguale salario tra uomini e donne. Il ruolo delle donne fu poi successivamente alla Liberazione sempre ridimensionato a un contributo, al punto da far parlare di una “resistenza taciuta o negata”. In questo 70esimo si sono viste molte iniziative e memorie sulle donne ma in forma ancora parziale e la domanda che molte di noi si stanno ponendo è perché, come ci si domanda perché ,oltre le parole, non si avverta lo spirito di chi aveva combattuto il fascismo e il nazismo e voluto con tutte le sue forze la fine della guerra e della dittatura e la nascita della democrazia e perché questo spirito non lo si riconosca non solo nelle donne Kurde ma in tutte e tutti coloro che si oppongono a ogni costo a un fondamentalismo totalitario e nelle fughe dalle zone di guerra e di disastri affrontando la morte nel Mediterraneo.
La scelta personale insieme istintiva e ragionata, e il valore che si assegna alla solidarietà e alla appartenenza alla propria collettività e al destino del mondo fanno di chi sceglie la guerra partigiana un momento irripetibile e positivo,nonostante tutto. Un momento che rimane indelebile anche con il passare dei decenni come realtà di libertà, di forza di conoscenza di sé e degli altri nonostante sacrifici immani, una straordinaria novità soprattutto per le donne.
È questo che lo storico G. de Luna nel bellissimo titolo del suo ultimo libro “la Resistenza Perfetta” sottolinea e come questa perfezione oggi può sembrare anacronistica, oppure la replica dolciasta di certi stereotipi. Eppure la Resistenza perfetta è proprio quella che emerge dai documenti, dalle testimonianze, dalla realtà di una ricerca d’archivio condotta senza pregiudizi e tesi precostituite, dai ricordi di un’intera comunità…e la Resistenza perfetta la si vede realizzata direttamente nelle esperienze esistenziali degli uomini e delle donne che la vissero e la costruirono” certi della drammaticità dell’ora e della necessità della coerenza civile e politica per cui a una coscienza civile doveva corrispondere un comportamento adeguato a tutti i costi fino alla presa delle armi fino al sacrificio della vita.
Si parla spesso della Resistenza come se fosse stata una realtà in cui solo le realtà più consapevoli politicamente si impegnano. In questo senso la legge votata dal parlamento per il 70esimo ammette solo le associazioni combattentistiche e militari e si dimentica tutta l’enorme parte della resistenza civile, a cominciare dalle donne, che per non essere solo forza militare non ha contato di meno nella resistenza morale, politica e militare. In particolare di quell’esercito di donne che tra Gdd, staffette e partigiane combattenti superarono di molto le 100mila unita in tutte le zone occupate e che sono rimaste fuori in questi mesi dalle celebrazioni ufficiali e dai contributi economici del governo così come non sono sostenuti i loro archivi che custodiscono in tutt’Italia la memoria di queste donne e di questa storia nazionale.
Negli ultimi decenni gli studi delle storiche in particolare hanno aperto squarci di ricostruzione corretta della realtà spontanea e organizzata delle donne nella resistenza e a questo contribuiscono non solo le memorie e i diari che finalmente molte donne, allora in prima linea, nel corso degli ultimi anni hanno e stanno pubblicando, finalmente riconoscendo pubblicamente, oltre ogni timidezza e un riserbo apparso sempre molto forte, quanto siano state protagoniste e fondamentali per la storia di questo paese. Sempre più a una frase che abbiamo sentito da tante donne “abbiamo fatto solo il nostro dovere” si aggiunge la consapevolezza che rivendicare la loro forza non è entrare in un’idea retorica o virilistica della resistenza. È come se ci fosse voluto per molte un tempo necessario a capire che se il passato aiuta a capire il presente anche la consapevolezza delle donne nel presente aiuta a capire meglio le ragioni e la complessità del passato.
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