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Donne e cibo: questione di famiglia ma anche di economia

Donne e cibo: questione di famiglia ma anche di economia

WELL_B_LAB* - WELL_B_LAB*:, cibo, Made in Italy e ruolo delle donne. L'importanza del settore food nell'economia nazionale

Badalassi Giovanna Lunedi, 03/11/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2014

 Dici pranzo e cena e pensi a donne intorno ai fornelli o che fanno la spesa. È un impegno gravoso, all’origine del nostro benessere psicofisico e del successo della cucina italiana nel mondo. Bisogna anche sapere che al rapporto tra donne, lavoro e alimentazione è dovuto il successo di interi comparti economici del nostro paese legati al cibo. Ci vorrebbero politiche di sviluppo economico più attente alla dimensione di genere per creare valore e occupazione anche in questo settore.



L’Expo di Milano 2015 rappresenta un evento di portata mondiale che offre l’occasione per una riflessione sui numerosi temi legati al cibo. Tra questi il progetto WeWomen for Expo vuole sviluppare, con il coinvolgimento di tutti i paesi partecipanti, il tema del nutrimento rispetto al ruolo femminile. In un simile contesto quale sarà il contributo che porteremo noi italiane? Pensando alla nostra realtà salta subito agli occhi un’evidenza: se il cibo nella nostra cultura è così importante è anche perché le donne italiane hanno con esso da sempre un rapporto speciale. Dal punto di vista storico è infatti indubbio che gran parte del patrimonio gastronomico italiano sia dovuto ai piatti sperimentati dalle donne in secoli di storia domestica e che tuttora fanno la fortuna del nostro Made in Italy.

Anche oggi le italiane rimangono le principali responsabili dell’alimentazione familiare: dedicano alla preparazione di pranzi e cene 1 ora e 47 minuti al giorno contro i 17 minuti degli uomini . Questo impegno ha molti risvolti positivi: la dieta mediterranea che è all’origine della nostra buona salute e aspettativa di vita dipende certamente dalle scelte di ogni giorno che le donne fanno su cosa mettere in tavola. Ad esse va quindi attribuito il merito e la responsabilità del benessere e della salute di tutti. D’altra parte una simile responsabilità rappresenta un impegno quotidiano che contribuisce in modo significativo al carico di lavoro domestico delle donne italiane. Siamo infatti, a livello europeo, quelle che dedicano più ore quotidiane al lavoro familiare, a scapito del lavoro retribuito, determinando un tasso di occupazione femminile tra i più bassi della UE. È però importante ricordare che nel rapporto tra alimentazione, lavoro familiare e occupazione femminile si celano delle dinamiche economiche particolari.

#foto2dxLe donne che lavorano innescano infatti un processo di esternalizzazione del lavoro di cura: devono cioè ricorrere ad una serie di prodotti e servizi che compensino il lavoro familiare che non hanno più il tempo di fare. Questo spiega la crescita di attività economiche quali i cibi preconfezionati, i surgelati, le rosticcerie. Non è un caso se in una recente intervista Giovanni Rana, noto imprenditore dell’azienda specializzata nella pasta fresca confezionata, ha dichiarato, a proposito del suo successo “devo ringraziare l’emancipazione femminile”. Si tratta dunque di una dinamica simile all’emersione del lavoro sommerso che crea valore economico laddove prima c’era lavoro non retribuito.

Un dato della Banca d’Italia sintetizza bene questo concetto: ogni 100 posti di lavoro creati per le donne se ne producono in realtà 115. L’incremento occupazionale che si viene a produrre i questi settori è comunque declinato soprattutto al femminile: avendo per secoli sviluppato questo tipo di attività a livello familiare e gratuito, le donne hanno infatti maturato le competenze necessarie per svolgere lavori analoghi nei settori di attività attinenti. Tra fare le marmellate in casa e lavorare in una fabbrica che produce marmellate il passo è veramente breve. I dati dell’ultimo Censimento Istat dell’industria e dei servizi (2011) lo confermano chiaramente:

- Nell’industria alimentare le donne rappresentano il 39% degli addetti, mentre nel totale dell’industria manifatturiera (escluso le costruzioni) la loro presenza non supera il 28%.

- Se nel settore dei servizi (commercio, trasporto e magazzinaggio, alloggio e ristorazione) la presenza delle donne è mediamente del 44%, la loro presenza sale di molto nelle attività più strettamente legate alla somministrazione di cibo: sono donne il 58,2% degli addetti nel “commercio al dettaglio di prodotti alimentari e bevande..”, il 77,7% nella fornitura di pasti preparati (catering) e altri servizi di ristorazione, il 63,2% nei bar e altri esercizi simili.

Tutto ciò che ha a che fare con il cibo, sia che si tratti dell’attività in famiglia che di attività lavorativa, è dunque declinato al femminile: un dato che può spiegare, ancora una volta, la debole considerazione di cui il comparto dell’industria alimentare gode nelle scelte di politica industriale nazionale. Eppure in questo ambito l’Italia può vantare un interesse e un apprezzamento internazionale che la dovrebbero indurre ad investire in modo massiccio e convinto in un settore nel quale avrebbe un vantaggio competitivo considerevole, al pari della cultura e del turismo.

Perché non farlo? Investire sulle donne e sulle loro attività potrebbe rivelarsi un vero affare.

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