Castello di San Michele, di Laura Caputo - Intervista a Laura Caputo autrice del libro-inchiesta “Il Castello di San Michele” (ed Leucotea)
Ferraguti Isa Domenica, 24/03/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2013
Dopo aver letto il romanzo-inchiesta “Il Castello di San Michele” (ed Leucotea), ho scoperto che Laura Caputo, l'autrice, abita non troppo lontano da me: la curiosità di conoscere chi aveva raccontato una vicenda così singolare mi ha spinto ad incontrarla.
Come mai hai scritto questa storia, è davvero un'esperienza che hai vissuto?
Sì, quasi totalmente. Effettivamente ho vissuto in Francia, ho scritto per Le Monde, sono stata incaricata di redigere la biografia di un noto boss di camorra.
E l'hai scritta?
No, non l'ho scritta. Ho pensato che fosse più interessante condividere l'esperienza personale, se volessi fare un gioco di parole, ti direi che ho scritto la storia di una che scrive la storia... E poi non farmi dire altro, se hai letto il libro, sai perché non ho mai pubblicato la biografia del boss.
Mi ha colpito che quasi tutti i personaggi sono femminili. Non hai parlato con il boss, ma con sua moglie, ad esempio. È un'ottica che ancora nessuno aveva mai preso in considerazione o sbaglio?
Certo, perché in generale i protagonisti dell'agire camorrista sono uomini. Però direi che sono quelli che si muovono alla luce del sole, quello che accade all'interno delle famiglie, dietro le persiane chiuse, nelle alcove o nei colloqui in carcere è generalmente sconosciuto. Intendo dire che i capi di camorra sono per lo più detenuti e che l'organizzazione malavitosa esterna è quasi totalmente retta da donne - mogli, sorelle, madri - che ne riproducono la struttura piramidale all'esterno. Ossia: la moglie del boss impartisce gli ordini che ha ricevuto a colloquio o per corrispondenza e gli altri eseguono, a seconda delle competenze e del livello gerarchico.
Come! Tutti dicono che le donne sono sottomesse. E allora? Ciò che hai detto mi pare una palese contraddizione…
No, no, non è una contraddizione. L'onore della famiglia, che rappresenta poi l'organizzazione malavitosa - i capi in alcuni luoghi sono chiamati mammasantissima - non può essere messo in dubbio, tanto che per lunghi anni il Codice Penale ha previsto un'attenuante per il "delitto d'onore". Vero è che il boss esercita sulla società lo stesso genere di prevaricazione che esercita sulla famiglia, meglio sulle femmine che gli appartengono. Quando questi è materialmente impossibilitato, vedi carcere, usa-utilizza la SUA femmina come ìl prolungamento della sua volontà, una specie di stampella, di megafono per l'esterno.
Fammi capire, ma se è così, a che serve metterli in carcere?
Serve, serve. Da diversi anni è in vigore un inasprimento della pena detentiva che si chiama 41bis. Esso si applica soprattutto ai colloqui, che sono meno numerosi e esclusivamente riservati alla famiglia, alla corrispondenza che è libera sì, ma sottoposta a censura, ai pacchi, che sono meno numerosi di quelli concessi ai detenuti normali e perfino alle ore di aria e alla possibilità di esercitare un'attività lavorativa. Non si può impedire a nessun detenuto, di nessun tipo, per nessun reato, di godere almeno di un'incontro settimanale sorvegliato con la propria moglie, sorella, madre. E con loro ha un linguaggio comune.
E allora? Non c'è rimedio?
Sì, rimedio c'è. Ma scusa, non leggi Noi Donne? La tua direttora ha pubblicato diverse testimonianze delle fimmine calabresi, il mese scorso, lo sai? C'è qualcosa che le campane non possano fare? Se volessero fare sciopero, non essere più il megafono dei mariti, ribellarsi ad essere uno strumernto, salverebbero i loro figli. E forse anche i nostri. È la cultura che deve cambiare. La repressione è necessaria, ma da sola non basta. Per questo, al Teatro Tenda di Modena, il giorno della Festa della Donna alle 21, presentando il libro, lancerò lo slogan: “contro la camorra, pallottole di cultura”!
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