Lunedi, 27/08/2012 - Le donne di Cerchiara sono diventate imprenditrici di una delle più belle e floride attività della costa ionica di Calabria. Un successo inaspettato che con un premio dopo l’altro ha decretato la supremazia della loro bravura su tutti i panettieri della regione, e si ritrovano al comando di sette aziende tra le più apprezzate di Calabria. Tanti i premi vinti negli anni, ma quella che più di tutte fa brillare le loro medaglie è l’ultima come migliore pane selezionato dallo Slow Food all’ultimo Salone del gusto di Torino, sbaragliando tutti gli altri concorrenti. E’ il pane più venduto nella costa ionica a ridosso del massiccio del Pollino e nella piana di Sibari. Un pane che dura quindici giorni se conservato in una sacca di cotone, come facevano le nostre nonne. Difatti la tradizione portata avanti da queste donne, non è né più né meno di quello che si faceva un tempo, con una ricetta che è la stessa tramandata da madre in figlia e che conserva tutte le caratteristiche di un tempo.
Attraversiamo le colline di grano che dal cosentino portano verso la costa ionica: le zone sono intervallate da cumuli di paglia, segnale che la mietitura è appena terminata, il caldo è insopportabile come la percorrenza della SS106, la strada con più incidenti della Calabria. Andiamo piano e questo consente di osservare la pianura dove i greci del V secolo avevano costruito una delle più importanti colonie del mediterraneo. Sibari era la città dell’oro, meta privilegiata non solo di filosofi e intellettuali, ma anche di mercanti e venditori. Facciamo fatica a riconoscere oggi le qualità e l’orgoglio con cui quei popoli tenevano in considerazione il posto. I capannoni e le speculazioni edilizie con le infiltrazioni mafiose si vedono chiaramente quasi ovunque.
Lasciamo alle nostre spalle la pianura e scaliamo il Pollino, con l’auto s’intende. I tornanti non sembrano tali, abbracciano il massiccio montuoso e lo attraversano con dolcezza. Tentiamo di continuare per il nostro appuntamento, ma la bellezza mozzafiato e la varietà del paesaggio ci costringono a fermarci continuamente. La pianura di Sibari, la maestosità del mare, la ricchezza del fiume Raganello che attraversa il canyon del massiccio fanno capire, ora si, l’orgoglio di chi abita ancora questi posti e di chi un tempo l’aveva conquistato. Il panorama e la prosperità del luogo rapiscono totalmente.
Ci aspetta la signora Mauro, la panetteria è piccola e graziosa, l’odore del pane ci accompagna praticamente per tutto il minuscolo paese, e in questo caso lo possiamo dire: più forni che case, sette su 2.500 abitanti. La figlia Domenica, che è intestataria della panetteria, non c’è, lei ci accoglie, ci racconta di come s’impasta, del procedimento che le aveva insegnato sua madre della forma particolare che è unica “a gobba”. Ci fa entrare all’interno della panetteria, dove viene lavorata la pasta e dove ci sono i forni. “Il pane dura quindici giorni” ci ripete più volte, noi le crediamo. La farina non è locale, viene dalla Basilicata, quella della zona è poca e non basta per tutto il pane che viene prodotto. Il profumo ci avvolge, usciamo frastornati, pieni di buste con pagnotte e freselle.
Abbiamo un altro appuntamento, un po’ fuori paese, la signora Elisa e la figlia con la loro panetteria grande e rinnovata da poco. Si lavora il prodotto si vende bene in tutta la pianura e la costa. Il pane vince premi su premi in tutt’Italia. “Ci siamo organizzati con la filiera del Pollino, per un po’ si produceva tutto qui nella nostra terra”. Chiedo della farina e di come mai non si utilizza quella del luogo o delle numerose coltivazioni che abbiamo visto nelle colline del cosentino. “Una parte della farina proviene da queste zone ed è quella che da sapore al pane, e per un po’ di tempo la filiera funzionava, riuscivamo a produrre, poi siamo rimasti solo noi panettiere, il lavoro aumentava e la farina non bastava, la integriamo con quella della Basilicata”.
Visitiamo il forno all’interno. Il fornaio, uno dei pochi uomini per la verità che incrociamo, ci fa vedere, gentilissimo, il passaggio della lavorazione. Dal lievito madre, base rigorosa del pane, alla lavorazione, fino alle varie fasi della lievitazione e poi in forno. Per la lavorazione e l’impasto e i forni servono Il legno non resinoso del Pollino, acqua di sorgente del Pollino. “Il vero segreto è l’acqua” ci dice la signora Elisa, “cambia l’acqua e cambia tutto, anche a distanza di pochi chilometri”. Le crediamo, e anche al miracolo di queste piccole aziende, tutte gestite da donne, che riescono a sopravvivere nonostante il luogo in mezzo al Pollino, lontano dalle strade e dalle infrastrutture. “Il trasporto fuori dalle nostre zone è il nostro vero problema, abbiamo provato con i corrieri, ma è stato inutile, troppo lontani da qui, troppi giri e tappe prima di arrivare e di partire”. Se ai milanesi venisse in mente di assaggiare il pane di Cerchiara, farebbe prima a venire qui direttamente.
Passa il tempo e non ci accorgiamo che è quasi ora di andare. Incrociamo l’altra figlia Mariangela che si occupa del marketing dell’azienda. “Ho vent’otto anni, ho studiato marketing e dopo tante domande e richieste di lavoro, mi ritrovo a lavorare per la piccola azienda di mia madre”. Un altro piccolo miracolo. Una giovane donna che decide di rimboccarsi le maniche, cercando motivazioni per le sue aspirazioni nel piccolo centro di una terra lontana da infrastrutture e strade decenti, ma che crede nel lavoro che la sua terra può offrire. “Vediamo come va, poi si vedrà”. La signora Elisa ci convince a proseguire la rotta del Pollino: “Più su c’è il santuario della Madonna delle Armi, è a pochi chilometri, non potete non andare”. Usciamo questa volte con le pizze. Una vera delizia. E il santuario un vero gioiello del cinquecento con reperti risalenti al X secolo e tavolette bizantine tra le più antiche, incastonato nella roccia a picco sulla montagna e sul mare.
Di nuovo verso la pianura, una delle più ricche del mediterraneo, rivediamo capannoni e cemento, ma anche agricoltura e terreni coltivati, questa volta meno arida e più aperta a farsi ascoltare. Ci tuffiamo nel mare di Sibari ignorando consigli e divieti delle cronache estive, con addosso odore di pane e d’orgoglio di donne che hanno fatto impresa con la memoria della propria terra.
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