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Donne creative

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Intervista con Daniela Frascati autrice di 'Amori Anomali'

Venerdi, 25/02/2011 -
L’intreccio di varie storie, appartenenti a diverse epoche temporali, crea i molteplici piani attraverso cui si sviluppa il romanzo “Amori Anomali” di Daniela Frascati, edito da Ciesse Edizioni, fresco di pubblicazione. Nel pomeriggio  del 25 febbraio, presso la Libreria Odradek a Roma l’autrice ha presentato il suo lavoro. A parlare con lei dell’anomalia dell’amore, nel caso particolare, degli amori di adolescenti, Elettra Deiana (SEL), Stefano Ciccone (Maschile Plurale) e Carlo Santi (Ciesse Edizioni).

Ho incontrato Daniela, scrittrice, giornalista, impegnata da anni nelle politiche della differenza di genere, nel sindacato e nel sociale. Non è un caso che abbia deciso di scrivere un romanzo sull’amore, tema legato a doppio filo alla narrazione del corpo, elemento centrale della lotta per l’autodeterminazione femminile. In questo romanzo c’è tutta la forza dell’idea di amore dell’autrice: un percorso in cui la nostra carne e il nostro cercare spirituale camminano uno affianco all’altro, incontrandosi e fondendosi, anche con risvolti drammatici e inquietanti.

 

Il tuo libro parla di amori di adolescenti che nascono dal bisogno di un’affettività che colmi la solitudine. Credi che molte ragazze possano rientrare nella categoria di “cercatrici di amore ad ogni costo”?

L’anomalia di questi amori è proprio nel fatto che queste giovani donne sono “prese d’amore” da e per uomini o passioni più grandi di loro. Sono “cercatrici di amore”, in questo caso non a ogni costo, ma malgrado loro, poiché la condizione sociale in cui vivono, solitudine, povertà materiale e soprattutto affettiva, le espone a questa “ricerca”. Aggiungo che le storie di questi cinque racconti attraversano un arco di tempo che va dall’inizio del ‘900 fino ad arrivare a oggi e sono ambientati in luoghi geografici diversi dove l’epilogo o la dimensione “magica” che li attraversa possano essere giustificati. Questo mi ha consentito di raccontare vicende che, pur nella crudezza, non hanno l’efferatezza di molti fatti violenti di cronaca che hanno avuto come protagoniste giovani donne. Io cerco di raccontare la realtà attraverso la scrittura, e il piano simbolico che sta dentro le parole e le storie per me è fondamentale per mediare e leggere la realtà.



L’amore che vivono gli adolescenti è sempre un territorio di scoperta, una porta verso il mondo degli adulti, una via per conoscere se stessi in un momento di grande cambiamento e fragilità. Credi che oggi gli adolescenti siano più deboli di un tempo e che la loro vita sia in generale maggiormente priva di affettività?

L’amore è per tutti un territorio di scoperta ed è necessario, secondo me, possedere e costruirsi gli strumenti per misurare questo sentimento che coinvolge l’interezza della persona. Corpo, psiche, mente, anima, come dimensione che fa entrare in relazione e “armonizza” il proprio sé e la connessione con gli altri. Una volta si parlava, almeno in letteratura, di “educazione sentimentale”, che non è una parolaccia fuori luogo e fuori tempo, poiché questo “processo” di apprendimento era ed è una cosa molto vasta, che investe la famiglia, gli educatori, le relazioni amicali, e soprattutto la dimensione simbolica. Tutto questo mi sembra sopraffatto da un immaginario che ci piomba addosso senza strumenti critici per leggerlo e di questo sono soprattutto gli adolescenti a soffrirne e a subirne le conseguenze. L’affettività, e la sessualità, non sono solo epidermico piacere, non sono un mordi e fuggi, ma qualcosa di avvolgente e di protettivo che aiuta a crescere, a conoscersi, a conoscere il mondo. L’adolescenza è una periodo della vita delicato e complesso, e noi viviamo in una cultura che prende ad accettate i sentimenti e i corpi. Ma il corpo è una realtà immanente così come lo sono i bisogni che si porta dietro e dentro e questo può ingenerare grandi solitudini e paure.



Cosa distingue le giovani donne dai giovani maschi? C’è ancora una superiorità di genere che porta le donne ad essere dipendenti da una storia?

Non credo, che da parte dei giovani maschi ci sia una “certezza” di appartenere al genere che per secoli ha imperato sul corpo e nella vita delle donne, ma c’è piuttosto una società che ancora racconta di questo imperio attraverso immagini, costruzioni di senso, istituzioni sociali che mantengono e perpetuano questa condizione. E, dentro questi passaggi spesso contraddittori e nell’insicurezza di un’età complessa e difficile come l’adolescenza, sono spesso le paure a rendere dipendenti dalle storie che si vivono. Forse più per gli uomini e i giovani, visto le violenze e gesti estremi a cui arrivano quando si trovano spiazzati dalla fine di una storia.



Ti sei occupata per anni di storia della differenza e del femminismo. Cosa ha dato il femminismo all’amore delle donne e alla costruzione di una relazione?

Sì, la mia età e la mia storia hanno incontrato questo fondamentale momento della vicenda delle donne. Il femminismo e ancora di più il percorso della differenza di genere sono stati e sono ancora un orizzonte dal quale guardo me stessa e il mondo, e dunque devo dire che la mia crescita di donna e di persona sono inscindibili da questa esperienza, come credo sia per molte della mia generazione e delle generazioni più giovani. Credo che questa esperienza abbia portato ricchezza e complessità e capacità critica. Altro è se questo, in un mondo “dispari” dove la parte maschile si è messa in discussione molto meno, ha reso le relazioni più facili e più felici. Ma la crescita e la conquista/consapevolezza di sé valgono ben la pena…



Hai pensato sotto la luce femminista scrivendo il libro, c’è qualche richiamo al movimento?

Come ho detto sopra c’è molto più che luce femminista nel libro; c’è la cosa fondamentale secondo me del femminismo. Il partire dal corpo, da un sé che si costruisce, per gli uomini e per le donne, da questa interfaccia tra il nostro io più profondo e il mondo. Forse non l’ho fatto in modo “edificante” ma mostrando le falle attraverso le quali il mondo di fuori, se non si hanno argini e strumenti critici e consapevolezza per leggere e interpretare ciò che ci sta intorno, può arrivare ad annientare ogni difesa fino a portare ad atti estremi.

Del resto ragionare sul corpo, sui corpi è ciò che sta alla base della mia scrittura. E faccio dire alla fisioterapista che si prende cura di Delfina, una giovane in coma “minimal responsive”, la prima volta che entra in contatto con lei per la sua terapia, proprio queste parole. “Eppure, nel momento in cui si perde l’identità, è sempre il corpo l’unica cosa che ci resta. È per questo che io lo accudisco come fosse la parte più sublime di noi.”



(25 febbraio 2011)

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