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Donne che hanno fatto l'Italia <br>- di Cecilia Dalla Negra

Donne che hanno fatto l'Italia
- di Cecilia Dalla Negra

'sfatare quel mito stantio che ha voluto, e spesso vuole ancora, la donna come figura subalterna all’uomo, ai mestieri, alla vita sociale'

Mercoledi, 07/12/2011 -
Scriveva Cesare Balbo nel 1854 che “il regno della donna è la casa”. Eppure, è proprio nel corso dell’Ottocento che inizia quel lungo cammino di affermazione ed emancipazione femminile costruito dalle donne che prosegue ancora oggi. A raccontarne la storia, attraverso un percorso fatto di immagini, documenti, giornali e non solo, una mostra organizzata in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia, dal titolo “Le donne che hanno fatto l’Italia”, che inaugura oggi al Vittoriano per restare esposta sino al 20 gennaio prossimo. Si può affermare con modesta certezza che siano in tanti, ancora oggi, ad essere d’accordo con Balbo. Per questa ragione – e per molte altre – la mostra è da visitare, non come sterile omaggio a quelle donne che hanno avuto un ruolo centrale nella storia, per quanto ignorato dai più; ma per continuare a sfatare quel mito stantio che ha voluto, e spesso vuole ancora, la donna come figura subalterna all’uomo, ai mestieri, alla vita sociale.

È un percorso, quello in mostra, che muove i suoi primi passi da quel “Risorgimento femminile” ignorato spesso dalla storiografia, ma che vede la presenza di donne organizzate in prima linea sin dai Moti del 1848, fra i Mille di Garibaldi come fra le brigantesse che vi si opponevano, che hanno “fatto”, letteralmente, il Paese affermando progressivamente il proprio ruolo, le proprie idee e conquistando lungo la strada diritti e consapevolezza. Le regine come le dame di corte, le nobili come le loro balie; le crocerossine e le maestre, che dopo aver combattuto per la propria istruzione giravano il paese per insegnare cosa fosse l’Italia. Quelle che durante la prima guerra mondiale tiravano avanti l’industria bellica, a sostituzione di uomini mandati a combattere. Perché “le donne non fanno il soldato, ma fanno i soldati”, come scriveva Anna Kuliscioff, e facevano anche le armi: imponendo, con la loro presenza nelle fabbriche, mutamenti sociali radicali.

Si passeggia tra la storia di questi 150 anni, tra le foto di mondine chine nelle risaie, di tabacchine caparbie avvolte nei loro scialli di seta, primo nucleo dell’organizzazione sindacale che sarà. Copie ingiallite di vecchi giornali raccontano le lotte della Kuliscioff nella Lega socialista milanese, che darà impulso alla rivista “La difesa delle lavoratrici”, in un 1912 in cui la donna, per l’opinione pubblica, deve restare a presidio del focolare domestico, e non arrischiarsi tra i banchi di aule universitarie. Sarà ancora la Kuliscioff a battersi per il suffragio femminile, attraverso proposte di legge sistematicamente rifiutate da Giolitti e dagli uomini al potere all’epoca. Bisognerà attendere ancora molti anni perché “le 21” dell’Assemblea costituente varchino la soglia di Montecitorio: di loro ci restano le schede biografiche della Camera dei Deputati come segno di una storia che, con la loro presenza, è stata riscritta. Ci sono gli articoli di Matilde Serao per Il Mattino, firmati spesso con uno pseudonimo, e i materiali didattici pensati da Maria Montessori, accanto al microscopio che portò Rita Levi Montalcini ad ottenere - seconda nella storia dopo la Deledda - un premio Nobel tutto al maschile.

E c’è la parete de “Le prime”. Quelle donne che, nel corso della storia di questo paese, ne hanno invertito la rotta attraverso una lotta per l’affermazione che è stata silenziosa, invisibile, quotidiana. C’è Lidia Poet, che nel 1881 ottenne per prima la laurea in Legge, ma riuscì a conquistare l’iscrizione all’Albo professionale solo quarant’anni dopo; ci sono Ernestina Prola, prima donna con la patente di guida e Rosina Ferrario, la prima a pilotare un’auto da corsa, nel 1913. Una signora anziana dallo sguardo vivo sorride indicando una foto: “Quella sono io”. Nello scatto, ad affacciarsi dal portellone di un aeroplano con il sorriso malizioso è Fiorenza de Bernardi, prima donna pilota di linea in Italia. Sono foto in bianco e nero, a loro modo oltraggiose del sistema, che raccontano le donne che hanno fatto grande l’Italia. Da Lina Merlin a Nilde Iotti, passando per le prime sportive a sfidare un mondo maschile, come Alfonsina Strada che, nel 1924, in sella alla sua bici percorse il Giro d’Italia, sola contro l’altra metà del cielo. Ci sono le donne che hanno fatto la rivoluzione sociale senza saperlo, come Franca Viola, che nel 1964 rifiutò un matrimonio riparatore, in un sud patriarcale che equiparava la donna ad una preda da conquistare con la forza. Sono tante, non certo tutte, ma raccontano attraverso i loro volti l’immagine di figure femminili che sono state protagoniste del nostro tempo.

Il percorso attraversa gli anni della Resistenza, raccontando il ruolo delle staffette partigiane, che il paese l’hanno percorso in bici per portare messaggi ai combattenti; e c’è poi una strada parallela, come un sottinteso, che parla dell’acquisizione di consapevolezza delle donne come gruppo sociale organizzato, nei manifesti dell’Udi come nelle prime copertine di Noi Donne, nelle foto delle manifestazioni del ’68 come nella battaglie per divorzio e aborto. Donne che, come scrive Miriam Mafai, “sono state vettore della modernizzazione e della secolarizzazione del Paese”.

A fare da sfondo a questo cammino per immagini la cronologia dei diritti acquisiti, sempre attraverso battaglie e lotte più o meno visibili e silenziose, ma che sono state il sottofondo costante della costruzione nazionale. E se le donne, come dimostrano 150 anni di statistiche, hanno costruito il proprio futuro, la mostra non fa che rendere evidente il posto che già attribuiamo a noi stesse: dentro la storia, e non al suo fianco.
(La foto di questo articolo è di Fabio Cimaglia)





Galleria fotografica della mostra su http://www.noidonne.org/fotogallery-dettaglio.php?ID=0070

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