Mercoledi, 21/07/2021 - Se è noto che la cinematografia racconta il mondo che cambia, questo è tanto più vero in Paesi con tradizioni conservatrici ancora vive, soprattutto rispetto alla condizione femminile, come accade in buona parte del continente africano. Dopo la vittoria di Mati Diop, la regista franco-senegalese, del Gran Prix Speciale della Giuria a Cannes 2019 con il suo “Atlantique”, nuove opere raccontano la ribellione delle donne.
Il primo film che segna una differenza rispetto a storie simili già raccontate, forse proprio per questo selezionato in concorso a Cannes, è “Lingui” di Mahamat-Saleh Haroun , un film del Ciad, che racconta le difficoltà affrontate da Amina una madre single e dalla figlia quindicenne Maria, rimasta incinta involontariamente e perciò cacciata dal liceo. La ragazza vive nelle periferie della capitale del Ciad, a N'djamena, e vuole abortire ma la pratica dell’aborto è vietata dalla legge, oltre che dalla religione.
Esistono però modi per aggirare l’ostacolo e, nonostante le indecisioni e il senso di colpa – che spesso accompagnano i gesti di rottura e autonomia – Maria riuscirà nel suo intento, sostenuta da una madre che ha già vissuto il marchio dell’infamia da parte della società e vuole che la figlia torni a scuola. Il film sarà distribuito in Italia da Academy Two.
“Lingui” è una parola in lingua Ciad che significa ‘legame’, unione fra persone, solidarietà e aiuto, ed implica un vincolo sacro, rompendo il quale può nascere un conflitto.
“È da un po’ che volevo dipingere il ritratto di una donna ciadiana simile a quelle che conosco - ha raccontato il regista - donne sole, vedove o divorziate, che crescono i loro figli spesso guardate dall’alto in basso dalla società, e che riescono comunque ad arrivare alla fine del mese. Ho conosciuto una donna, sola con i suoi figli dopo la morte del marito, che per guadagnare soldi ha iniziato a recuperare sacchetti di plastica con cui fare corde e venderle. Volevo ritrarre la vita di queste donne emarginate, ma che non si considerano come vittime. Sono le eroine non celebrate della vita quotidiana”.
Il tentativo portato avanti in Ciad di far approvare leggi più progressiste in materia di famiglia e che avrebbero aiutato le donne con la gravidanza e la contraccezione, promuovendo servizi di pianificazione familiare, non è mai andato a buon fine. Benché gli aborti siano vietati, alcuni medici li praticano apertamente, per aiutare le donne in difficoltà, proprio in nome del “lingui”. Non a caso, la dottoressa che aiuterà Maria, non vorrà essere pagata avendo stabilito un legame di sorellanza con Amina e sua figlia.
In un altro film in concorso, “Haut et Fort” (Casabalanca Beats), del regista franco-marocchino Nabil Ayouch, ragazze e ragazzi frequentano insieme un centro culturale alla periferia di Casablanca, dove si impara, con il maestro, l’hip hop, ed anche il rap, nella danza e nel canto. Realizzato grazie all’aiuto di molti attori non professionisti, il film evidenzia come le ragazze, soprattutto quelle appartenenti a famiglie molte conservatrici, vogliano cantare e ballare, scrivere i propri rap e cantarli con rabbia e passione, affidando alla musica i propri sogni e il proprio desiderio di riscatto. Anche nel finale, quando ragazze e ragazzi organizzano un concerto, ed i genitori fuori gridano allo scandalo, siamo in presenza di una società che sta cambiando, che lo si voglia o no. I giovani cercano di liberarsi dal peso delle tradizioni per vivere ed esprimersi liberamente attraverso la cultura hip hop.
“Andavo spesso da giovane in un centro culturale che mi ha salvato la vita - racconta il regista Nabil Ayouch - li ho visto i miei primi film e ho deciso di fare cinema. Ora per restituire quanto ho avuto, ci sono stato per passare del tempo con i ragazzi; un giorno è venuto un ex rapper di nome Anas che ci ha detto di voler creare un programma hip hop chiamato Positive School of Hip Hop. Dopo un anno di osservazione dei suoi studenti, delle sue incredibili studentesse, ho chiesto di sedermi per ascoltare le loro storie, per capire da dove provenissero le loro parole, e ho deciso di fare un film su di loro. I giovani hanno tanto da dire se solo sapessimo ascoltarli”.
Passando ad un’altra sezione del Festival, ACID, che ha decollato negli ultimi anni proponendo film molto belli, incontriamo un’altra storia rappresentativa di un cambiamento nel film “Aya” diSimon Coulibaly Gillard, dove una ragazza vive felice la sua adolescenza con la madre e il fratellino, in un piccolo villaggio sul mare in Costa d’Avorio. Ma proprio il mare, con la sua erosione veloce e continua della costa, costringe gli abitanti a trasferirsi nelle squallide periferie delle cittadine dell’interno. Quando anche il cimitero viene attaccato dal mare e inizia a crollare, sarà tempo di dissotterrare le ossa degli avi, e del padre morto, e anche Aya dovrà lasciare il villaggio, le sue abitudini, gli amici, la vita in natura e, infine, la madre. Il timore della prostituzione e della miseria incombono e la madre, prima della separazione istruisce la figlia sui pericoli del mondo esterno.
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