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Donna non vota donna?

Donna non vota donna?

Alle ultime regionali, le donne elette sono state pochissime. Cerchiamo di capire perché e cosa si può fare perché siano di più

Venerdi, 16/04/2010 - Premessa: quanti elettori danno la preferenza? Molti di più di quanto non si immagini. Prima delle ultime elezioni, il 14 febbraio, è uscito sul Sole un interessante articolo del politologo Roberto D’Alimonte. Nelle regioni in cui si è votato – eccetto la Toscana che ha abolito il voto di preferenza – un elettore su due ha dato la preferenza ad un candidato nelle regionali del 2005.



E’ una percentuale che varia molto secondo le regioni: raggiunge il massimo nel Sud, dove ad esempio hanno dato la preferenza il 90% degli elettori lucani e l’87% di quelli calabresi, mentre è molto minore nel Nord, con il minimo (27%) nella Lombardia, seguita dall’Emilia (28%). Fin troppo facile sospettare che più preferenze equivalgano a più voto di scambio e a meno voto di opinione.



C’è però un’importante precisazione da fare: i dati si riferiscono alle regionali del 2005, ma - se si guarda indietro alle precedenti tornate elettorali - si vede che il voto di preferenza è aumentato ovunque, soprattutto nel Nord: in Lombardia era appena il 12% nel 1995, in Emilia ancora meno.



E’ certo comunque che dare il voto di preferenza è l’unico metodo (salvo quote rosa determinate per legge) per aumentare la presenza di donne nelle assemblee elettive.



Dunque, se il voto di preferenza è così diffuso, e le donne non ne beneficiano, rimangono solo due ipotesi: o le elettrici non danno preferenze (a differenza degli elettori uomini), oppure le danno a candidati uomini: insomma “donna non vota donna”.



La prima ipotesi sarebbe un’estensione al voto di preferenza di una maggiore propensione all’astensionismo da parte dell’elettorato femminile, che trova anche ragioni oggettive (le anziane sono più numerose, ancora oggi c’è meno informazione fra le donne e così via).



La seconda ipotesi (le donne votano gli uomini) può essere un’applicazione coerente del voto di scambio: se scambio deve essere, meglio farlo con chi ha più potere di farmi ottenere dei benefici. Può essere anche un razionale rifiuto del modo in cui vengono selezionate dai partiti le candidate: fra una velina ed un professionista della politica, preferisco farmi rappresentare dal secondo.



Purtroppo non è possibile verificare nessuna delle due ipotesi. Anche qui ci sarebbe materia per inserire qualche interessante domanda nelle indagini Istat sulla partecipazione politica.



Nel frattempo, vale la pena riflettere sull’esperienza positiva della regione Campania, dove le elette sono aumentate da una a quattordici, con un metodo meno vincolante delle “quote rosa”. La legge elettorale regionale prevedeva la possibilità di dare due preferenze anziché solo una: in questo caso, la seconda preferenza doveva essere data ad una donna.



Con tutti i limiti del caso, si tratta di una legge che ha lasciato all’elettore la libertà di scegliere se dare o non dare la seconda preferenza. Infatti, solo una parte l’ha fatto, ma in ogni caso oggi la regione Campania ha il primato nazionale delle presenze femminili nel Consiglio regionale, superando il 23 per cento.

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