Una cara sorella - In ricordo di una donna che ha molto sofferto e che è diventata un simbolo per tante di noi
Anita Pasquali Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2006
Mi ero sempre occupata, in politica, delle donne, della loro condizione e sotto la spinta del neofemminismo mi osservavo, mi interrogavo direttamente.
Per me l’oppressione di genere emergeva sempre più, in quell’ambito – pur dilatatissimo – che si richiamava alla lotta di classe.
Da qualche mese lavoravo a “tempo pieno” all’ UDI nazionale (mai termine delle donne per le donne è stato più confacente) quando avvenne il terribile fatto del Circeo, dove morì Rosaria Lopez.
Di colpo e per l’efferatezza dell’atroce massacro, con la risonanza che ebbe, e per il successivo comportamento di Donatella, divennero consapevolezza in milioni di donne e anche di uomini i termini umani e culturali della gravità dello stupro. Si tenga conto che allora anche la parola stupro non si pronunciava (si diceva – se si diceva – violenza) e soprattutto il marchio della infamità si rovesciava abbastanza correntemente sulla donna, sulla vittima. E i rari processi lo dimostravano. Tant’è che il film di Loredana Rotondo “Processo per stupro” (trasmesso dalla TV nazionale negli anni seguenti) ebbe una eco enorme proprio perché dimostrava quanto leggi e costume tramutassero le vittime in colpevoli. Questo e tanto altro fecero maturare coscienza che maschilismo, patriarcato etc non erano vaghi termini culturali.
Con Donatella, la vittima, sopravvissuta, era li. Io la conobbi da vicino, la conoscemmo in tante. Giovanissima la amammo, la custodimmo, l’aiutammo come potemmo. Eravamo gruppi diversi ma unite nella solidarietà ma a lei dobbiamo il coraggio inaudito di combattere per la verità e la giustizia senza scendere in quel tempo a contropartite verso le potentissime famiglie degli stupratori. Verso di lei ci fu uno straordinario processo di identificazione da parte di migliaia di giovani e non solo. Fu come Franca Viola, un simbolo potente, uno stimolo a rifiutare la incultura e la pratica, tuttora non scomparse, che fa delle donne una preda, un oggetto e non un soggetto di sessualità.
Non era detto che lei avesse quel coraggio. Lei lo ebbe con semplicità, quasi con naturalezza. Noi fummo semplicemente solidali verso una creatura ferita e la aiutammo a difendersi e nascondersi dalle minacce che la inseguivano. Fu ospite della sua avvocata e poi di quella donna coraggiosa e generosa che si chiamava Carla Capponi. In seguito Leda Colombini, consigliera regionale, la informò di un concorso regionale cui Donatella poteva accedere e due amiche professoresse l’aiutarono a prepararsi. Si preparò: aveva voglia di vita e di indipendenza, e fu tra i promossi. Passarono gli anni, i processi, le ingiustizie, le fughe e le libertà dei massacratori. Donatella seguì altri e diversi orientamenti. Mai ci furono giudizi men che rispettosi verso un percorso di vita difficile, tormentato dall’orrore del ricordo e forse da strumentalizzazioni. Ho provato un grande dolore e la sua morte a quarantasette anni mi è sembrata l’ultima ingiustizia. Vorrei tanto poterla abbracciare con l’affetto che si ha per una giovane sorella perduta.
Anita Pasquali
Roma, gennaio 2006
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