Domenica, 17/01/2021 - Qualche mese fa ero stata invitata come relatrice ad un convegno in tema di violenza di genere. Dato che il mio intervento era programmato nel pomeriggio ne approfittai per pranzare col mio compagno in un ristorante vicino all’università. Per tutto il pranzo il cameriere che ci ha serviti si è rivolto solo e soltanto al mio compagno, accertandosi che i piatti e i tempi del servizio fossero di suo gradimento con un colloquiale “tutto bene, ragazzo?”: nonostante il fatto che a quel tavolo stessi mangiando anch’io, questo signore riteneva opportuno o scontato interloquire solo con l’uomo al tavolo. Mi ha portato anche un’ordinazione sbagliata. Al momento di alzarci ho detto al mio compagno: “Stai bene attento adesso”. Ci siamo diretti alla cassa, il cameriere ci ha fatto strada per dare al cassiere la nostra ordinazione e si è accertato nuovamente che fosse stato tutto di gradimento del cliente (singolare maschile). Poi io ho tirato fuori il bancomat, porgendolo al cassiere. Ed è in quell’istante che il cameriere ha sfoderato la sua più sincera espressione allibita e dopo qualche secondo ha ritenuto di ritirarsi in silenzio, senza più degnare né di parola né di saluto il suo cliente (singolare maschile). “Mi sa che non gli piaccio più” ha detto il mio compagno uscendo dal locale. Ed è così: non gli piaceva più perché non si era dimostrato abbastanza uomo ai suoi occhi, lasciando pagare la donna che lui non aveva neanche considerato.
È a questo aneddoto – tra i tanti – che ho pensato mentre leggevo il libro di Lorenzo Gasparrini “Diventare uomini. Relazioni maschili senza oppressioni” (Ed. Settenove, 2020), nuova edizione del testo già uscito nel 2016. L’autore, filosofo femminista, percorre la vita di un uomo attraverso le sue vari fasi – infanzia, adolescenza e età adulta -, dimostrando quanto il sessismo ne condizioni profondamente l’esistenza, le sue abitudini, il suo linguaggio e la sua visione del mondo.
Basta entrare in un negozio di giocattoli, d’altronde, per rendersi conto di come i destini di maschi e femmine siano rigidamente divisi e definiti, rendendo sovversivo e incomprensibile qualsiasi tentativo di sottrarvisi. Sono sessiste, precisa l’autore, “tutte le forme di discriminazione tra esseri umane basate sull’appartenenza di genere”, e il nostro modo quotidiano di vivere è ancora pervaso di sessismo, nonostante decenni di battaglie e fiumi di leggi sulle pari opportunità: esiste ancora un genere che senza alcun motivo legittimo “subisce una condizione socialmente inferiore per il solo fatto di essere quel genere”. Chi nega questo, chi sostiene che nel duemila e qualcosa non si possa più parlare di discriminazioni, almeno in occidente, o è cieco o è in mala fede. Ma è interessante riflettere – ed è quello che Gasparrini fa – proprio su quella che io qui chiamo cecità: perché se non si accetta la pervasività del sessismo nella nostra vita e nella nostra cultura “non lo si potrà mai vedere in azione e quindi rendersi conto anche dei propri comportamenti sessisti”.
Donne non si nasce, lo si diventa, sosteneva Simone De Beauvoir. Ma anche uomini non si nasce, si diventa. È naturale, si dice, che i bambini maschi preferiscano alcuni giochi e le bambine femmine altri. Ma in verità non c’è proprio nulla di naturale, c’è piuttosto un’indicazione molto precisa e forte che bambini e bambine ricevono fin da quando viene appeso sulla porta un fiocco rosa o azzurro. È il patriarcato ad aver costruito ruoli sociali definiti e funzionali alla supremazia dell’uno sull’altra, spacciandoli poi per naturali. E visto che sono rimasti tali per millenni è evidente che non si può pensare di abbatterli in pochi decenni. Ma l’obiettivo, per chi vive in questo momento storico, dovrebbe essere cominciare a vederli: se non si vedono non si potranno mai abbattere. E così, come il nostro cameriere dava per scontato – naturale – rapportarsi con l’uomo a tavola e mai gli sarebbe passato per la testa che fosse una donna con le scarpe rosse a pagare il conto, così l’autore Gasparrini si è trovato a dover spiegare alla maestra di suo figlio che il bimbo è abituato a vedere madre e padre cucinare insieme e accanto a loro giocare con le pentole, e perciò di non impedirgli di giocare con la cucina anche a scuola – gioco che di suo la maestra riserva alle femmine. E così via, un aneddoto dopo l’altro, il sistema creato dagli uomini per gli uomini permane indisturbato – o disturbato lievissimamente ogni tanto da qualche coraggiosa e coraggioso.
Merita riflessione però - e Gasparrini lo sottolinea – il fatto che questo stereotipo del maschio virile, forte, potente, invincibile, ricco (bianco ed eterosessuale), non solo ha determinato e determina una millenaria discriminazione nei confronti delle donne, fino alla loro eliminazione fisica quando considerate ribelli, ma condiziona negativamente anche la vita degli stessi uomini, affannati a dover sempre dimostrare a chi li circonda il loro machismo: di essere sempre all’altezza di qualcosa che li vedrà prima o poi fallire – perché c’è sempre qualcuno più potente di te, più forte di te, più ricco di te, più bello di te, più giovane di te, più maschio di te, insomma che ce l’ha più lungo del tuo. Una dimostrazione perenne di potere. Perché – contrariamente a quello che molti sostengono – “il paradigma patriarcale non sta affatto crollando, ma come ogni forma di potere si sta trasformando, continuando a fare molte vittime”.
Emanciparsi da questo meccanismo socio-culturale è difficilissimo. Essere dei “disertori” – termine utilizzato dall’autore – comporta reazioni di incredulità, disapprovazione, la perdita di amici. “E chi me lo fa fare?” dice l’uomo medio. Più facile continuare così. Più facile lasciarsi cullare dall’abitudine, da quella “naturalità” che di per sé nulla ha a che vedere con la natura. Perfino un biologo ebbe la faccia tosta di dirmi che non c’era partita: sebbene lui avesse imparato a pulire la casa negli anni in cui aveva vissuto da solo, era cento volte più brava sua moglie perché le veniva naturale. Ma non sarà che sua moglie lo fa da più tempo e non ha mai avuto la possibilità di delegare ad altri quell’incombenza? È davvero possibile che un biologo pensi che nel patrimonio genetico femminile esista il gene della pulizia dei pavimenti?
“In una società sessista nessuno nasce antisessista: lo si può solo diventare, e dopo un lungo lavoro su di sé che non può dirsi mai concluso definitivamente”. “Quello che si può fare, quotidianamente, pazientemente, inesorabilmente, è spezzare queste relazioni di potere e sostituirle con qualcosa di più ricco emotivamente, più coinvolgente, più libertario di una relazione di potere”.
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