Non potrei desiderare di essere nata in un'epoca migliore di questa, in cui tutto è perduto.
La vita della nostra epoca è in balia della dismisura. La dismisura invade tutto: azione e pensiero, vita pubblica e privata. […]. Noi viviamo in un'epoca che non ha precedenti, e che esige un certo tipo di santità, anch'essa senza precedenti. Essa deve scaturire d'improvviso, come un'invenzione, e mettere a nudo tutta la verità e la bellezza che sono nel mondo, nascoste sotto strati di polvere e di marciume.
Simone Weil
Sul sito di Repubblica in poco meno due giorni sono arrivate circa 800 testimonianze di disoccupati, un coro che arriva da ogni parte d’Italia, per raccontare come la crisi ha mandato in pezzi il fragile equilibrio della vita di molti. Da Trento a Ragusa licenziano le multinazionali e le piccole imprese. Chiudono i negozi e le botteghe. Ci sono operatori dei call center, ma anche dirigenti e quadri. E molti sono giovani. Quasi quattro su dieci hanno meno di 35 anni.
Nell'estate del 1932 Simone Weil, allora ventitreenne, si trovava a Berlino. Erano gli ultimi mesi prima della presa di potere da parte di Hitler e davvero poche persone in Europa si stavano rendendo conto della portata degli avvenimenti tedeschi, ma sin dalle prime lettere che scrive ai genitori Simone mostra di fare un’analisi perfettamente lucida di quello che stava per accadere. Riprendere oggi in mano quelle lettere provoca inquietudine e ammirato stupore.
La giovane Weil nei racconti delle giornate berlinesi ci svela le debolezze di un sistema democratico incapace di fronteggiare la minaccia della dittatura e che lascia il proletariato tedesco, il più colto e organizzato d’Europa, «solo e a mani nude», incapace di fronteggiare il nazismo e di cogliere l'opportunità per ridisegnare il volto della società tedesca. Tra i resoconti di quei mesi emerge una classe politica in balìa di una paralizzante burocrazia e del totale rifiuto di un dibattito serio sulle trasformazioni rapide della società. Sullo sfondo la disoccupazione che colpisce tutte le famiglie berlinesi, in particolare le nuove generazioni lasciate interamente sulla strada senza alcuna prospettiva di futuro.
Questi resoconti crudi, caratterizzati dalla totale assenza di speranza, arrivano a noi attraverso la penna delicata di una giovane donna impermeabile alla propaganda di un sogno impossibile e capace di leggere tra le pieghe di una società malata un doppio movimento, di demolizione del senso di realtà democratica e di costruzione di un mondo fittizio.
La forza refrattaria di Simone sta nelle sua giovane età, nella freschezza di un pensiero libero da preconcetti. Simone all'epoca aveva poco più di vent'anni e apparteneva a una generazione "contro", un'élite di giovani révoltés, nata dal disorientamento per il dissolversi delle certezze e dei valori tradizionali. Sin dall'epoca degli studi alla Normale, aveva sentito il bisogno di sperimentare la vita comune e senza privilegi, di mescolarsi alle persone vivendone fino in fondo le difficoltà di un tempo che non regala nulla al futuro. In questa prospettiva acquistano valore gli umili lavori del suo periodo marsigliese, l’impegno fra gli operai, l’attività faticosa tesa sempre però ad un fine sociale: come inviare il denaro delle tessere alimentari ai prigionieri politici o creare un corpo di infermiere di prima linea.
In Simone Weil non un solo giorno è dedicato alla sfiducia, sicura di vivere in un periodo difficilissimo «in cui tutto è perduto», ma allo stesso tempo «grandioso» per le opportunità che può aprire. Simone nel perdere tutto comprende che l’unica possibilità rimane quella di potersi applicare con forza alle cose più concrete e umili. Ogni gesto è compiuto per corrispondere a compiti precisi e di conseguenza modesti, non senza aver ripetuto ai propri amici il monito dell'Aiace di Sofocle: «Ho solo disprezzo per il mortale che si inganna con vuote speranze».
La risposta migliore dobbiamo cercarla nei piccoli gesti, lucidi e concreti, che solo un pensiero fresco è in grado di compiere.
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