Va ripresa la cultura di un femminismo che a Pekino aveva aperto indicazioni di percorso giuridicamente ancora esigibili come dovute. Da noi, ma non senza "le altre"...
Domenica, 29/03/2020 - Bisogna mantenere l'attenzione sui nostri interessi di donne perché il coronavirus non può contribuire a rendere più gravi i danni con l'aggiunta della segregazione famigliare che non sempre favorisce la buona convivenza soprattutto nei casi in cui si è nevrotici o ci si maltratta o si deve impazzire con tre bambini che seguono le lezioni "da remoto" con un solo pc e due smartphone. Abbiamo sentito dire che siamo meno vulnerabili e che saremo le prime, visto che dopo gli anziani sono i maschi tout court ad essere "soggetti fragili" a tornare al lavoro: dopo tanta quarantena sarà liberatorio riprendere ad andare fuori, se sia anche promozionale non si sa.
Comunque, volevo parlare di noi per non interrompere il filo dei ragionamenti e tenerci pronte a recuperare senza farci respingere indietro anche dal virus. Ogni tanto racconto delle mie amiche suore comboniane di Verona: questo mese dedicano l'ultimo numero di "Fem Magazine" a fare memoria dei 25 anni dalla Conferenza di Pekino e fanno un bilancio delle applicazioni dei diritti allora proclamati e seguiti, anno dopo anno, da rituali relazioni dei governi che debbono informazione alle Nazioni Unite dello stato di applicazione dei medesimi. Per quel che ho visto in giro, non è sentita come una grande data, a partire da me, non subito pronta a capire dove andava a parare la copertina della rivista - la foto di tra bellissimi neonati (due bimbe e un maschietto sognanti con i loro occhietti chiusi e pronti a vivere il loro futuro già dispari per genere) e il titolo Discriminate prima di nascere. E' uno choc: "Può apparire incredibile, ma dal 1970 al 2019 in Cina e India sono state abortite quasi 45 milioni di donne".
Il dato risulta dal concorso di ricerche delle Università di Singapore e del Massachusset e del Dipartimento degli Affari Economici e Sociali dell'Onu e dimostra che la Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne - adottata dall'Assemblea generale dell'Onu nel 1979 sull'onda della Conferenza di Pekino, che concludeva il ventennio dedicato dalle Nazioni Unite alle donne - non viene rispettata.
Persiste anche nelle nostre società - speriamo che sia solo un ricordo - il pregiudizio secolare che vuole disvalore partorire una figlia femmina, ma è terrificante l'uso tradizionale che in Cina e in India (ma non solo, visto che nel mondo arabo c'era voluto Muhammad per vietarlo) portava in passato all'infanticidio delle bambine. Purtroppo nel mondo moderno induce all'eliminazione selettiva del feto femminile dopo la diagnosi dell'ecografo. Le amiche suore (che, essendo religiose, non si sono sognate di tirare in ballo l'aborto) ci aiutano a fare i conti "a partire dalle altre" perché, come illustra con ampia documentazione la direttrice Paola Moggi, "i conti non tornano". Con il titolo "Speriamo che sia femmin...ista" - la parola "femminismo" non è la più gradita dal papa - l'argomento Pekino è stato affidato alla penna critica di Marinella Perroni del Coordinamento delle Teologhe Italiane e docente dell'Università Sant'Anselmo, che, partendo dalla solennità degli impegni presi internazionalmente a Pekino, mette in primo piano la concezione stessa del potere:"non si tratta di redistribuire un po' più equamente i posti di potere tra maschi e femmine se l'accesso delle donne non comporta un ripensamento di come esso viene esercitato in ogni ambito che è fondamentale per la vita".
Va dunque, messo in discussione il soggetto neutro universale ed esigere "il pieno diritto di cittadinanza in tutti i mondi del vivere e del pensare" senza dare per acquisita la fine dell'androcentrismo e del patriarcato.
Pensando alla "città delle donne" di Christine de Pizan dell'inizio del Quattrocento "perché il femminismo otto-novecentesco ha dovuto ripartire da zero": quale responsabilità, diciamo noi, dell'Illuminismo e delle rivoluzioni? Pekino non è stata un'illusione e non è mancato il progresso; ma il Global Gender Gap Index dice che la discriminazione è ancora lì, in termini di diritti non applicati, di diritti alla salute, all'istruzione, al lavoro, al voto, ma anche di sessismo, di abusi e maltrattamenti, di matrimoni infantili, di assenza di autonomia personale.
Le fortunate non bastano a giustificare le politiche governative "un passo avanti e due indietro", che finiscono per influire anche sul mondo delle donne, oggi più pronte a solidarizzare con le proteste di strada che non con le proposte riformatrici. Soprattutto va ripreso il ragionamento critico sulla cultura di un femminismo che a Pekino aveva aperto indicazioni di percorso giuridicamente ancora esigibili come dovute. Da noi, ma non senza "le altre".
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