Strategie private - Una consulenza del lavoro può indirizzare sulle azioni da compiere per vedere rispettati i propri diritti
Melchiorri Cristina Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2008
Gentile dottoressa, ho 35 anni e, fino al giugno scorso, ho lavorato in uno studio professionale nel quale ero impiegata da circa 10 anni e dal quale mi sono licenziata a seguito di una brutta situazione sulla quale le vorrei chiedere un parere.
Mi spiego meglio, io e mio marito, non potendo avere figli nostri, siamo finalmente riusciti ad adottare a fine luglio 2007 una splendida bambina rumena di 5 anni e, dopo un periodo “obbligatorio” di congedo per poter stare vicino a mia figlia, per insegnarle la lingua e farla integrare in un mondo per lei nuovissimo, sono tornata al lavoro. Le premetto che, in quei 10 anni, sono stata il braccio destro dei miei capi, che mi hanno sempre comunicato la loro soddisfazione nei miei confronti, per l’impegno e l’orientamento al risultato. Non le dico la mia sorpresa quando, di punto in bianco, a marzo 2008 mi è stato chiesto di dare le dimissioni con la motivazione “per esubero”, soprattutto perché di lavoro ce n’era e ce n’è tuttora a sentire le mie ex-colleghe. Naturalmente ho rifiutato di andarmene, considerando che le spese sono praticamente raddoppiate da quando è arrivata la bambina.
Oltre al mutuo, affitto e scadenze mensili ci sono da considerare anche altri costi, come è naturale che avvenga in una famiglia con bimbi in età scolare e non mi sembrava furbo accettare di andarmene, senza che mi venisse proposta, almeno, una buona uscita.
Da quel giorno i rapporti, prima sempre cordiali, sono diventati molto gelidi. Per farla breve sono stata “tagliata fuori”. Non mi venivano più affidate le pratiche di mia competenza e queste venivano processate dalle mie colleghe che si trovavano sommerse di lavoro e che, per di più, io non potevo nemmeno aiutare visto che c’erano disposizioni precise. Ho pensato più volte di intentare una causa di lavoro, ma poi mi sono detta che non ne valeva la pena, non volevo farmi il sangue ancora più amaro. Mi sono rimboccata le maniche, ho cercato un altro impiego, sostenuto colloqui e a inizio luglio ho cominciato a lavorare per una piccola casa editrice. A distanza di pochi mesi Le devo confessare che trovo l’ambiente di lavoro molto piacevole e il lavoro in sé molto più stimolante del precedente.
Mi spiace aver avuto la prova che per alcuni una donna, in carriera o comunque sul lavoro, nel momento stesso in cui ha un figlio non venga più considerata “capace di lavorare”.
Lei che ne pensa?
lettera firmata
Cara lettrice, secondo il mio punto di vista c’erano tutte le premesse per intentare una causa di lavoro. Non solo per “ingiustificato motivo” ma anche per “mobbing”, soprattutto considerato il comportamento nell’ultimo periodo. La maternità è un diritto, pertanto è tutelato dalla legge, e in questi anni diversi sforzi sono stati fatti per parificare i diritti dei figli adottivi con quelli dei figli naturali. Da quel che so ti confermo che il Ministero del Lavoro ha affermato di ritenere applicabile anche alle madri adottive e affidatarie il divieto di licenziamento (almeno per un anno dall'ingresso del bambino nella famiglia). Poiché hai dato dimissioni volontarie non so se l’eventuale azione legale, se deciderai di intraprenderla, possa ancora essere intentata.
Il mio consiglio è di rivolgerti ad un consulente del lavoro che sicuramente ti indirizzerà meglio di me sulle azioni da compiere per vedere rispettati i tuoi diritti.
Lascia un Commento