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Diritti umani e Illuminismo

Diritti umani e Illuminismo

- L’importanza della libertà spirituale nelle chiese e del dibattito che suscita

Stefania Friggeri Venerdi, 03/04/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2015

Il 7 febbraio, lo stesso giorno in cui i fanatici musulmani insanguinavano Parigi, è uscito il romanzo di M. Houllebecq “Submission”, ovvero la sottomissione della Francia all’islam: nel 2020 i partiti di centrosinistra, per evitare la vittoria di Le Pen, stringono alleanza con la Fratellanza Musulmana francese il cui leader viene eletto presidente. La Francia diventa una società patriarcale e misogina, ma soddisfatta: diminuisce la disoccupazione perché le donne, che non portano più la minigonna, escono dal mondo del lavoro, la dedizione femminile al lavoro di cura rende obsoleta la previdenza sociale, si afferma la poligamia: una donna giovane e desiderabile per il sesso, una sposa matura e robusta per i lavori domestici. Quanto al governo, Ben Abbes chiede solo il ministero dell’educazione attraverso il quale potrà influire sulla sensibilità e sul pensiero dei giovani (in Italia, a parte Berlinguer, il ministero dell’istruzione è stato sempre ricoperto da un cattolico). Dalle pagine di “Submission” esce la voce di Cassandra? La storia ci insegna che l’incontro fra i popoli, a parte i casi terrificanti di genocidio, sempre produce un meticciato culturale, anche quando l’integrazione appare contro natura, come nel caso dell’incontro fra il razionalismo e l’apertura alle diverse fedi del mondo grecoromano, pagano, e lo spirito intollerante del monoteismo cristiano.



E oggi, di fronte al fenomeno dell’emigrazione dai paesi islamici, è più realistico parlare di incontro o di scontro?
anche perché la stragrande maggioranza dei migranti non proviene da paesi in cui opera la laicità, principio fondante della democrazia, ma da paesi dove il potere politico è conteso fra le diverse chiese (sciiti, sunniti, wahabiti, fratelli musulmani, salafiti….) e le lotte interne all’islam ricordano quelle interne alla cristianità che hanno insanguinato l’Europa secoli fa (vedi la guerra dei Trent’anni fra cattolici e protestanti o i Pellegrini del Mayflower che, per salvarsi dalla persecuzione religiosa hanno varcato l’oceano e fondato la prima colonia degli Stati Uniti dove non a caso convivono senza contraddirsi la laicità dello Stato e un grande rispetto per la religione). Le vignette francesi, infatti, non sono state pubblicate negli USA, un paese la cui cultura non è stata alimentata da quella pagana della Grecia antica dove Aristofane nelle “Rane” nominava gli dei con parole empie ed oscene; e questo mostra la sua disomogeneità con l’Europa, in particolare con la Francia di Rabelais dove la satira è vissuta come ossigeno del pensiero critico e sintomo di salute democratica.



Charlie Hebdo è la rivista di un paese dove da secoli si fa politica anche a colpi di matita e dove è forte l’eredità degli illuministi (Voltaire: “Se Dio non ci fosse bisognerebbe inventarlo”, Diderot: “Infatti l’hanno inventato”);
le sue battaglie culturali sono dirette contro il potere, in primo luogo militare, sbeffeggiando e mettendo alla gogna anche le chiese. Ma ora, dopo la tragedia, ci si interroga intorno alla dicotomia classica fra il diritto alla critica e l’offesa: è legittimo criticare tutto, anche la religione? Per i giornalisti di Charlie Hebdo sì, perché anche la religione (una costellazione di dogmi patriarcali e sessuofobici che devastano le intelligenze con la superstizione e i pregiudizi, che producono servilismo ed infelicità con l’ossessione del peccato e della punizione eterna) è un luogo di potere. E infatti, nonostante il rischio, la rivista ha continuato a pubblicare vignette provocatorie ed irriverenti. In Italia l’idea che le religioni debbano godere di una protezione speciale è diffusa (anche se non hanno fatto scandalo le parole di Ratzinger e Woytila che hanno bollato l’aborto come il “genocidio dei nostri giorni”, ovvero: chi abortisce è una SS) e infatti alcune forze chiedono di tracciare un limite al diritto di fare satira alla religione. Ma una norma certa potrebbe diventare il cavallo di Troia per depotenziare la libertà di espressione, come è già accaduto per altri diritti quando vengono tagliati a fette, ed infatti le sentenze che toccano i diritti sono attese con particolare pathos perché rispecchiano la dialettica sempre in evoluzione fra il sentire comune e le istanze aperte al nuovo. Ma nell’atmosfera creata dagli attentati si è diffusa l’autocensura e forse i fanatici pensano di aver vinto, non avendo compreso che nel mondo globalizzato il loro vero nemico è il desiderio di emancipazione femminile: da un lato c’è la dottrina delle teologhe che propongono una diversa interpretazione del Corano, dall’altro ci sono le emigrate che cercano di promuovere un cambiamento all’interno della famiglia e diventano sempre più scomode per i loro mariti. E a noi tocca supportarle senza avere la presunzione di insegnare loro cosa devono fare.



Mi piace sottolineare la curiosità culturale e l’apertura mentale dimostrate nella ricerca di un confronto con altre donne che riflettono e argomentano il femminile dal punto di vista dei credenti e delle chiese. Noi abbiamo scelto altri approdi e non dimentichiamo il peso delle religioni nel soffocare ogni espressione di libertà e creatività femminile. Sappiamo bene che i diritti dell'uomo, o meglio i diritti umani non sono stati regalati all'umanità dalle chiese - né cattolica, né riformate - ma sono un frutto dell'illuminismo. E sappiamo che da lì vengono via via le faticose e non scontate conquiste delle donne. Tuttavia la libertà spirituale è germogliata anche nelle chiese, producendo frutti stimolanti anche per noi, anche ma non solo, sul tema del conflitto di genere e delle divisione del potere fra i generi. La ricchezza del dibattito, il contributo di molte donne intellettuali credenti ci incuriosisce, ci intriga, ci pone un interrogativo. A noi può sembrare che il confronto dentro la chiesa, sul tema del femminile o su altri temi, debba essere più lacerante e meno componibile perché la libertà di pensiero si trova contro dogmi e verità assolute. Scopriamo d'altra parte che l‘appartenenza a una comune famiglia-chiesa, partendo dalla base comune di verità e fede, consente confronti ricchi di stimoli e soprattutto pericolosamente vicini e in sintonia con quanto le donne laiche cercano di elaborare nel mondo politico e sociale.

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