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Diritti fondamentali: lavoro, salute, scuola, ricerca

Diritti fondamentali: lavoro, salute, scuola, ricerca

60° Anniversario Costituzione 2 / Diritti - Le interviste all’ex magistrato Felice Casson, poi senatore, e a Mariangela Bastico, già viceministra dell’Istruzione. Il rapporto Ocse-Pisa sulla scuola.

Angelucci Nadia e Rosa M. Amorevole Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2008

60° COSTITUZIONE, lavoro e salute



Intervista a Felice Casson

Al centro la tutela per la persona e per la collettività


Nadia Angelucci



il lavoro deve tendere ad essere a tempo indeterminato per garantire le condizioni fondamentali della persona umana e deve essere sicuro per l’individuo e per la collettività. La nostra Carta definisce la salute come "fondamentale diritto dell’individuo" e come "interesse della collettività"



Il suo libro ‘La fabbrica dei veleni’, nell’ultima pagina, sintetizza nitidamente il suo pensiero: "Non bastano avvocati e tribunali per risolvere i problemi del lavoro, della salute, della sicurezza e dell'ambiente. E' la politica che deve rispondere. Se le istituzioni non rispondono, se la giustizia e l'equità sociale non hanno più alcun significato, se la tranquillità e la sicurezza personali sono divenute una chimera, se le esigenze e le necessità più comuni rimangono inascoltate, si rischia un declivio pericolosissimo. Verso la negazione dei valori etici e sociali, costati lacrime e sangue. Verso la distruzione di ogni forma di uguaglianza, di solidarietà, di democrazia".

L’ex magistrato Felice Casson, poi senatore, ha portato avanti alcune delle indagini più controverse e delicate nella storia della nostra Repubblica: da quella su Gladio a quella legata alle vicende degli stabilimenti petrolchimici di Porto Marghera, un’industria importantissima nel panorama economico italiano sotto accusa con 157 morti di tumore, 120 discariche abusive e 5 milioni di metri cubi di rifiuti tossici.

Con la chiarezza e la lucidità di chi ha conosciuto dal di dentro le problematiche legate al lavoro e alla salute ci aiuta ad analizzare la nostra Costituzione proprio su questi temi.



Una particolarità della nostra Costituzione è quella di porre le fondamenta della Repubblica italiana sul lavoro tanto che si è parlato, tra gli studiosi della giurisprudenza, di “Costituzione del Lavoro”.

Quella fatta dai nostri Costituenti, di includere tra i principi basilari la persona e il lavoro, è una scelta fondamentale e lungimirante che illumina tutta la nostra Carta costituzionale e indirizza in modo determinante i futuri legislatori. Tutta questa attenzione si concretizza negli articoli 1, 2 e nel 4 che è quello che riconosce di fatto il diritto al lavoro. Vorrei sottolineare, nella seconda parte della Costituzione, l’articolo 41 il cui primo comma è molto importante e recita “l’iniziativa economica privata è libera”. Questo ora sembra scontato ma nell’immediato dopoguerra non era così data la convergenza di differenti culture e storie politiche; viene però aggiunto, in maniera molto oculata, un secondo comma che stabilisce “Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Ed è proprio questo capoverso che definisce i contorni del riconoscimento del diritto fondamentale al lavoro: rispetto per la persona, per la sicurezza e per la libertà; in pratica tutti i principi fondamentali della nostra Legge fondamentale.

Questa è la cornice generale che si viene a creare: il lavoro deve tendere ad essere a tempo indeterminato per garantire le condizioni fondamentali della persona umana e deve essere sicuro per l’individuo e per la collettività.



Malgrado le conquiste degli anni passati, un esempio su tutti lo Statuto dei lavoratori, negli ultimi anni c’è stata un’involuzione legata al tema della flessibilità che, nel nostro paese, è stata declinata soprattutto come precarietà.

Rispetto all’attualità vediamo come i principi citati non si siano concretizzati. La legge 30 ha creato delle tensioni e dei problemi perché ha cercato di contemperare delle esigenze a volte anche fortemente contrapposte. Stiamo tuttora vivendo gli effetti dei contrasti del mondo del lavoro e ci sono due questioni fondamentali ancora aperte. Un aspetto è legato alla sicurezza del posto di lavoro: il fatto di dare la possibilità a ogni persona di vivere la propria vita con una occupazione stabile e sicura sia dal punto di vista materiale che da quello sociale, familiare, culturale e anche spirituale. L’altro aspetto riguarda la sicurezza: il lavoratore deve rimanere fino alla fine della sua attività integro fisicamente e psicologicamente. Questo tema è purtroppo oggetto di discussione quotidiane. C’è la sensazione che la sicurezza sul lavoro sia un optional e una sottovalutazione esagerata e inaccettabile del tema. In nome della produzione e del profitto vengono tralasciate, per poche decine di euro, misure di tutela personale che invece sarebbe fondamentale garantire in ogni circostanza.



La nostra Carta definisce la salute come "fondamentale diritto dell’individuo" e come "interesse della collettività". La salute quindi non riguarda solo il singolo ma tutta la comunità nazionale?

L’articolo 32 della Costituzione ha previsto una tutela della salute sia per l’individuo che per la collettività a livello nazionale. Anche questo non è scontato perché c’erano, e ci sono ancora, delle differenze tra Regione e Regione che rendono questo diritto ancora oggi un’esigenza fondamentale. C’è stata poi una modifica costituzionale dell’articolo 117 che ha diversificato le competenza tra Stato e Regioni. Questo, anche se contempla degli aspetti positivi per il coinvolgimento territoriale di altri soggetti pubblici, ha dato però la sensazione che la salute fosse relegata in un ambito secondario.



Lei si è occupato molto, anche in veste di magistrato, di tutela della salute nelle fabbriche e della salute pubblica…

La sicurezza delle fabbriche e la tutela della persona partono soprattutto dai luoghi di lavoro e quindi dalla tutela del singolo, del gruppo di lavoratori e della popolazione che abita nella zone circostanti alle fabbriche. Vorrei ricordare, perché me ne sono occupato, le vicende dei siti petrolchimici: Porto Marghera ma anche Augusta, Brindisi, Porto Torres, Assèmini, Mantova, Ferrara, Terni, Torino che ci danno la misura di quanto sia importante tutelare all’interno della fabbrica il singolo e all’esterno la collettività. Purtroppo quando è stata scritta la Costituzione non si è pensato alla tutela dell’ambiente, che è stato messo in secondo piano rispetto ai più pressanti diritti sociali ed economici.



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60° COSTITUZIONE, scuola e ricerca



Intervista a Mariangela Bastico

”Non c’è nulla di più ingiusto che fare parti uguali tra diversi”




Nadia Angelucci



la nostra Costituzione ci ha regalato una scuola pubblica, di qualità e che non lasci indietro nessuno



Mariangela Bastico ha da poco concluso la sua esperienza come viceministro dell’Istruzione. Una prova che ha affrontato con passione ed entusiasmo, senza dimenticare la complessità del mondo della scuola. ‘noidonne’ l’ha invitata a ragionare insieme sul diritto all’istruzione e le sue applicazioni nel nostro sistema di educazione dei cittadini.



In quali articoli della nostra Costituzione si trova il nucleo fondamentale del diritto all’istruzione e quale è stato il lavoro fatto attraverso di essi?

L’articolo fondamentale è il 3, dove è stabilito il principio di uguaglianza formale e sostanziale con la rimozione degli ostacoli di ordine sociale, culturale ed economico. Dovremmo ripartire da una scuola che sia capace di dare opportunità a chi non ne ha, rimuovendo gli ostacoli. Tutto ciò è stato praticato con grande sapienza e determinazione da Don Milani nella scuola di Barbiana, che è stata un’esperienza e una riflessione di portata straordinaria che ha ancora molto da dire alla scuola. Nel libro ‘Lettera ad una professoressa’, oggi drammaticamente attuale, diceva: ”non c’è nulla di più ingiusto che fare parti uguali tra diversi”. Da questo è iniziato il mio personale impegno, come viceministro, per reimpostare una scuola pubblica, di qualità, che non lasci indietro nessuno. Bisogna attuare quel principio di pari opportunità che i padri costituenti hanno sapientemente sancito. Le differenze sociali, nel nostro paese, invece di assottigliarsi si stanno accentuando e un gran numero di ragazzi abbandona e non arriva alla superiori. Recenti ricerche europee hanno collocato l’Italia agli ultimi posti per quanto riguarda la mobilità sociale: stiamo diventando un paese in cui il destino delle persone è segnato della famiglia in cui si nasce. La scuola ha quindi perso quella funzione, che per alcuni anni ha avuto, di far passare da una condizione ad un’altra, di dare una speranza di vita che non fosse schiacciata sul destino originario. La nostra esperienza di governo si è concentrata su tutti i gradini della scuola da quella dell’infanzia e le elementari, ripristinando il tempo pieno che restituisce ai bambini diverse opportunità e possibilità di apprendere e allungando la scuola dell’obbligo cosicché i ragazzi non debbano scegliere, a tredici anni, se continuare a studiare o scegliere un percorso di formazione professionale.



Gli articoli 33 e 34 della nostra Carta costituzionale sanciscono alcuni principi molto importanti. A che punto siamo nella loro applicazione?

L’articolo 33 – l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento - definisce il principio fondante del ruolo dei docenti e colloca gli insegnanti all’interno dell’istituzione scuola con un principio di libertà. Questo è il grande valore della scuola pubblica. Un percorso di formazione vera per i ragazzi deve essere fondato sul pluralismo, specialmente oggi che viviamo in un mondo di straordinaria diversità. In questo mondo globale dei contrasti la scuola deve dare degli strumenti di istruzione ed educare all’autonomia e alla criticità.

Il 34 sancisce il principio di obbligatorietà dell’istruzione. In questo i Costituenti sono stati di una sapienza grandiosa. Gli otto anni di frequenza obbligatoria sono stati un valore determinante, anche nella crescita della società italiana; proprio per seguire il cammino della società abbiamo deciso di portare a 10 anni la scuola dell’obbligo. L’altra grande intuizione di quell’articolo riguarda i capaci e meritevoli anche se privi di mezzi economici: si mette al centro un principio di merito. Il diritto all’istruzione è un diritto personale e fondamentale per costruire il proprio futuro e sviluppare la propria identità. Per questi motivi bisogna impegnarsi per valorizzare il merito ad esempio con la modifica degli esami di stato e l’indispensabile recupero dei debiti scolastici.



Gli ultimi rapporti OCSE vedono l’Italia in fondo alle classifiche per quanto riguarda competenze e saperi. Come commenta quei dati?

Ci sono chiari segnali di allarme. I nostri ragazzi hanno livelli di competenze che si collocano nella parti basse della graduatoria con elementi di grande preoccupazione come le differenze tra realtà del Nord e del Sud, tra i licei e l’istruzione tecnica e professionale, tra la scuola elementare, in cui le rilevazioni su bambini di 9 anni ci danno risultati di eccellenza, e quello che viene dopo, in cui le rilevazioni a 15 anni ci fanno crollare in fondo alla classifica. E’ una fotografia dai grandi chiaroscuri e questo ci induce ad un intervento massiccio. Avrei voluto che in Italia si aprisse un dibattito culturale intorno a quei dati, sulla scuola che vogliamo. Come possiamo permetterci che il nostro paese rischi di avere una generazione di giovani totalmente ignorante quando tutti i paesi del mondo investono sui saperi e sulle competenze?



C’è poi un altro fenomeno inquietante, legato alla ricerca e all’Università, che è quello della fuga dei cervelli…

Il discorso che facevo prima sugli investimenti nella scuola tocca a maggior ragione la ricerca e l’Università in cui l’Italia è fanalino di coda. Anche in questo campo c’è una filiera: si investe sul sapere, sull’Università e sulla ricerca per avere un forte corrispettivo nello sviluppo e nell’occupazione. Non è solo la quantità di investimenti ma anche la capacità di finalizzarli meglio. Manca, soprattutto nelle Università, la valorizzazione del merito e i cervelli fuggono perché non trovano le opportunità per poter mettere a frutto le proprie intelligenze, capacità e competenze. Teniamo i giovani troppo a lungo fermi nelle Università. Non investiamo sulle intelligenze, sul merito e sui giovani e quindi rischiamo di ripiegarci.

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Rapporto Ocse-Pisa



Una scuola da rimandare




Rosa M. Amorevole

Ai primi posti per livello di istruzione, Corea (97% dei giovani ha un diploma di scuola secondaria), Norvegia (95%), Giappone e Slovacchia (94%). Agli ultimi posti, Italia, Turchia, Messico, Portogallo, Usa e Gran Bretagna.

L'Italia, però, si mantiene in testa alla classifica per quanto concerne le ore di insegnamento agli studenti di età compresa tra i 7 e i 14 anni, circa 8.000 ore, contro una media globale di 6.852 ore. Resta basso, però, l'investimento annuo sul Pil dell'istruzione: meno del 5% in Italia, contro il 6,1% degli Usa e il 7% della Danimarca.Matematica, scienze ma anche comprensione e lettura: gli studenti italiani non riescono a migliorarsi, anzi si confermano fanalino di coda dell'Unione Europa e i tra i piu' ''somari'' a livello dei paesi Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico).

La pagella per la scuola italiana viene dal prestigioso rapporto Ocse-Pisa (Progress in International Reading) 2006, giunto alla terza edizione, che fotografa la situazione degli studenti di 15 anni di età in 57 paesi di tutto il mondo. L'Italia è al 33° posto per competenze di lettura, al 36° per cultura scientifica, al 38° posto per quella matematica. Quello che il rapporto evidenzia è, soprattutto, l'alto numero (un quarto o più) di studenti che hanno raggiunto un risultato sotto il livello 2, in pratica l'insufficienza. Per quanto riguarda la cultura scientifica, in cima alla lista figurano gli studenti della Finlandia, paese in cui tutti gli alunni raggiungono livelli di buon rendimento. Dietro l'Italia si piazzano Portogallo, Grecia e Israele. Fra i Paesi al di sotto della media Ocse, oltre all'Italia, si posizionano Croazia, Slovacchia, Lituania, Norvegia. E peggio dei nostri ragazzi, oltre ai coetanei di Portogallo e Grecia, fanno gli studenti di Bulgaria e Romania fra gli ultimi entrati nella Unione Europea.

L'Italia si posiziona al 33° posto per quanto riguarda la lettura, sotto la media Ocse nella classifica che vede ai primi cinque posti Corea, Finlandia, Hong Kong, Canada e Nuova Zelanda. Di paesi dell'Unione Europea, soltanto Repubblica Slovacca, Spagna e Grecia hanno fatto peggio del nostro paese, oltre alle nuove entrate Bulgaria e Romania. Per quanto riguarda la differenza tra maschi e femmine, le ragazze di tutti i paesi interessati dalla ricerca hanno fatto meglio dei loro coetanei: in particolare, per quanto riguarda l'Italia lo scarto è di 41 punti a favore delle studentesse.

Per la cultura matematica. Nella classifica ai primi cinque posti si trovano Taiwan, Finlandia, Hong Kong, Corea e Olanda. Peggio dell'Italia, tra i paesi dell'Unione europea soltanto la Grecia che si posiziona al 39° posto e Bulgaria e Romania. Anche per la cultura matematica, come per la capacità di lettura, almeno un quarto degli studenti che hanno partecipato al progetto non ha raggiunto la ''sufficienza'' del secondo livello di conoscenza. Come per le altre due rilevazioni Ocse-Pisa, anche per quella matematica i risultati ottenuti nel 2006 sono peggiori di quelli del 2003. A differenza della classifica per capacità di lettura, per la matematica i ragazzi si sono comportati meglio delle loro colleghe studentesse.

Rispetto al livello regionale, sopra la media dell'Ocse c'é solo il nord. Gli studenti dei licei hanno conseguito mediamente risultati migliori rispetto ai tre ambiti di indagini (scienze, matematica, lettura) con un punteggio più alto di quello di istituti tecnici e professionali. Estrapolando i dati, emerge che gli istituti tecnici del nord-ovest e del nord-est si collocano al di sopra della media europea, dimostrando un livello di preparazione assolutamente migliore di quello dei loro colleghi delle altre regioni d'Italia. Secondo le prime analisi, i dati suggeriscono "l'immagine di una scuola che da un lato continua a non riuscire a coltivare le eccellenze, dall'altro assiste ad uno slittamento verso il basso del livello medio di prestazione degli studenti, almeno per quanto riguarda l'ambito della lettura".





(18 marzo 2008)

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