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Diritti e unioni civili, c’è un’Italia che aspetta

Diritti e unioni civili, c’è un’Italia che aspetta

Emilia Romagna - Alcune distanze tra la politica nazionale e la vita delle persone sono sempre più difficili da accettare

Lunedi, 01/08/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Agosto 2011

In tema di unioni civili l’Emilia-Romagna, come altre regioni e comuni italiani, “si è messa avanti”, con l’accesso paritario ai servizi o con albi volontari delle coppie di fatto, in attesa che a Roma aprano gli occhi su una società cambiata da decenni.



La consapevolezza di un’alba

di Rita Moriconi, consigliera regionale PSI – Gruppo PD



Pubblico questa lettera perché, come concreta storia di vita, credo che valga di più di tanti progetti di legge che giacciono dimenticati in Parlamento o dei molti articoli di giornali che servono solo ad imbellettare le campagne elettorali senza che poi, in concreto, si sia fatto mai qualche passo avanti.



“Cara Rita,

ho deciso di scriverti questa lettera perché tu possa essere consapevole, insieme a me, e far sapere, che esiste un’Italia che aspetta un diritto tremendamente banale: quello di poter stare insieme e basta. So che questi problemi li può risolvere chi sta a Roma, ma non ne posso più di sentir parlare soltanto dei processi di Berlusconi o del calcio: ho bisogno di parlare di un problema reale!

In più di dieci anni di convivenza con il mio compagno molti sono stati i momenti in cui qualcuno ci ha chiesto se eravamo una coppia e ci ha fatto fare strani giri burocratici perché non eravamo regolarmente sposati. Tutto si era sempre risolto per il meglio, solo l’occhio stanco di qualche impiegato che ci guardava storto perché gli complicavamo il lavoro, niente di più. Ci sentivamo confortati dal vedere intorno a noi tanti altri nella nostra condizione, quasi che il numero facesse la forza, senza essere davvero consapevoli che può bastare un ostacolo inaspettato a fermare un percorso di vita; e proprio nei momenti più delicati, quelli in cui si deve scegliere per l’altro, allora scopri, crudelmente, di essere solo e che il diritto si ferma dove non arriva la carta bollata. Noi siamo cresciuti nei combattivi anni ’70 e di diritti civili se ne parlava nelle piazze, nei bar e in casa e sembrava che il cammino verso la conquista di nuove forme di convivenza avesse la strada spianata: bisognava soltanto aspettare… Allora ci siamo messi insieme pensando che, prima o poi, avremmo potuto regolarizzare la nostra unione. Poi gli anni sono passati, con momenti felici e bui, in cui abbiamo condiviso ogni cosa: il letto, il bagno e la cucina, che sono sempre il vero banco di prova per ogni coppia.

Una notte il mio compagno si è sentito male e siamo andati al pronto soccorso. Nulla di grave, un banale attacco di appendice, che però presupponeva un’operazione da fare urgentemente. Allora è arrivata la domanda: lei è parente? Beh molto di più in realtà, viviamo insieme da 10 anni…. Ma non c’è un parente prossimo con cui io possa parlare? Guardi, il mio compagno ha tanti cugini che vede con gioia tutti gli anni a Natale, ma che non sanno nulla di lui, dei suoi disturbi, delle sue analisi del sangue….Ci sono sempre io al suo fianco in queste cose…siamo una coppia, tutti i giorni, non solo per le serate con gli amici! Quel primario mi ha guardato con gli occhi di chi ha già visto molte situazioni simili nella sua carriera e, senza battere ciglio, mi ha parlato dell’operazione, mi ha permesso di aspettare fuori dalla camera operatoria e di assistere il mio compagno nei giorni successivi. Per questo l’ho ringraziato di cuore e continuo a ringraziarlo, rallegrandomi di aver avuto fortuna in quell’alba in cui ho capito di non essere nulla di fronte alla legge per chi ha vissuto con me per oltre 10 anni. Ma ti sembra possibile Rita che, nel 2011, in un Paese che riteniamo civile, non ci possa essere un altro modo per affrontare questi problemi se non affidandosi soltanto al buon cuore altrui? D.”



A tutti quelli che vivono esperienze come questa, che siano coppie eterosessuali o omosessuali, dico chiaramente che così non può funzionare! Non è possibile, oggi, non trovare forme di contratto che autorizzino compagni e compagne a prendersi cura dei loro cari, proprio perché credo fermamente che l’amore sia un VALORE prima di ogni contratto. E’ tempo di far sentire la vostra voce FORTE E CHIARA ed è tempo che la POLITICA SI MUOVA e dia soddisfazione a quel milione circa di coppie non sposate che vivono la loro vita tutti i giorni e si prendono reciprocamente cura l’un l’altro. Per parte mia farò tutto quello che è in mio potere per portare avanti questa battaglia con SERENITA’, CONVINZIONE E FERMEZZA, perché in amore non c’è serie A o serie B, ma solamente il diritto di stare vicino alla persona che si ama e questo vale oltre e di fronte ad ogni credo, convinzione o pregiudizio.









UNA “VIA EMILIA” AL PROBLEMA DEI DIRITTI

di Paola Marani, consigliera regionale PD



Lo scorso giugno la Corte di Cassazione ha riconosciuto per la prima volta il diritto al risarcimento danni alla compagna e ai figli di un uomo rimasto vittima di un incidente. Si tratta di una sentenza storica, che equipara la famiglia “legittima” alla famiglia di fatto in un Paese dove il codice civile non contempla nessuna forma di tutela a chi convive more uxorio, nonostante oggi queste coppie siano ormai 1 milione e un bambino su 5 nasca fuori dal matrimonio. Sono passati alcuni anni da quando il Parlamento ha affrontato seriamente la questione, senza peraltro alcun esito concreto. Tanto che si sono mossi Regioni ed Enti locali, pur nel limite dei poteri di cui dispongono, consapevoli di esigenze reali che vanno soddisfatte per un principio di equità difficilmente negabile. Per ora i disegni di legge nazionali, comprese le proposte di iniziativa regionale alle Camere, che investono tutti gli aspetti delle unioni civili - successioni, lavoro, fisco, previdenza, locazione, norme penali, ecc. - giacciono nei cassetti parlamentari; mentre i provvedimenti varati dalla Regione Emilia-Romagna riguardano l’accesso ai servizi pubblici e non, come il dibattito ha spesso travisato, il tema dei diritti civili che è di competenza esclusiva dello Stato.

La Regione ha agito dunque con provvedimenti concreti di pari opportunità che partono dal riconoscimento dei diritti della persona e della pluralità di forme di convivenza e dal principio di non discriminazione, contenuti nel suo Statuto. Dove si legge: «La Regione (…) opera per affermare il riconoscimento della pari dignità sociale della persona, senza alcuna discriminazione per ragioni di genere, di condizioni economiche, sociali e personali, di età, di etnia, di cultura, di religione, di opinioni politiche, di orientamento sessuale» e, all’art. 9: «La Regione (…) riconosce e valorizza (…) la funzione delle formazioni sociali attraverso le quali si esprime e si sviluppa la dignità della persona e, in questo quadro, lo specifico ruolo sociale proprio della famiglia....». Queste parole non sono enunciati, ma il frutto di una politica locale maturata nei decenni e che ha introdotto criteri paritari in tutto il nostro sistema socio-assistenziale, educativo ed economico. Mi limito ad esempi recenti che possono contribuire ad estendere esperienze positive.

La legge regionale 12 del 2004, nel definire i requisiti per l’accesso all’edilizia residenziale pubblica, sancisce: «...Possono essere considerati componenti del nucleo familiare anche persone non legate da vincoli di parentela o affinità, qualora la convivenza istituita abbia carattere di stabilità e sia finalizzata alla reciproca assistenza morale e materiale. Tale ulteriore forma di convivenza deve, ai fini dell’inclusione economica e normativa del nucleo familiare, essere stata instaurata da almeno due anni dalla data del bando di concorso ed essere dichiarata in forma pubblica con atto di notorietà.»

Poi la legge regionale 22 dicembre 2009, n. 24 “Legge finanziaria regionale 2010” non ha fatto altro che sviluppare questi principi. In particolare l’art. 48 recita: «I diritti generati dalla legislazione regionale nell’accesso ai servizi, alle azioni e agli interventi, si applicano alle singole persone, alle famiglie e alle forme di convivenza di cui all’art. 4 del decreto del Presidente della repubblica 30 maggio 1989, n. 223 (Applicazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente).» Ecco delineata la politica della nostra Regione per le famiglie, che si sostanzia nel sostegno ai nuclei familiari e alle persone, senza discriminazioni relative all’orientamento sessuale ed allo status giuridico delle coppie, ma con un’articolazione degli interventi sulla base dei reali bisogni. Così facendo abbiamo applicato nell’accesso ai servizi i principi non discriminatori del “Trattato di Lisbona”, estendendoli per la prima volta anche alle persone transessuali e transgender. Anche gli Enti locali fanno la loro parte. In alcuni Comuni della regione si sono istituiti i Registri delle Unioni Civili, che hanno un valore più che altro simbolico. A Bologna la parità per le coppie di fatto, anche dello stesso sesso, con quelle sposate ha avuto un riconoscimento formale nel 1999, quando l’allora sindaco Vitali istituì l’“attestato di famiglia affettiva”, una forma di registro basato sulla legge anagrafica.

Credo che il passo ulteriore, quello che solo lo Stato può compiere, non possa aspettare oltre. Senza stravolgimenti o modifiche costituzionali, vanno estese a tutto il territorio nazionale alcune basilari garanzie alla persona che, in tema di assistenza sociosanitaria, fruizione dei servizi e tutela civile, metta sullo stesso piano chi è sposato e chi decide di unire la propria vita a quella di un altro individuo senza vincolo matrimoniale. Lo faccia il Parlamento, senza “delegare” alla magistratura una responsabilità che è prima di tutto politica.



(15 agosto 2011)



(REDAZIONALI)

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