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DILATARE LA CURA

DILATARE LA CURA

... a partire dagli "Appunti verso lo sciopero femminista e transfemminista dell’8 marzo" di Lea Melandri...

Venerdi, 18/02/2022 - Lo dice Lea Melandri. Con l'inquietante sottotitolo Appunti verso lo sciopero femminista e transfemminista dell’8 marzo, di cui bisognerà pure incominciare a parlare.

Ma resto alla "cura", argomento sempre fondamentale e ancora equivoco perché le convenzioni penetrano nel cervello. Lea fa riferimentoa "quelli di Salary.com" che constatano che, secondo - suppongo - uno specifico valore di mercato, "chi si occupa dei lavori di casa dovrebbe guadagnare 7.000 euro al mese…”; e rilevano che "qualcuna, già negli anni Settanta, ha chiamato il lavoro d’amore un lavoro non riconosciuto come tale e come aggregato della grande economia". Ormai, anche senza quantificare, "sulla violenza domestica si è cominciato a discutere con un certo rilievo dopo che sono usciti rapporti nazionali e internazionali nel merito".

Una prima perplessità mi viene dal riferimento alla "violenza domestica": una casalinga non femminista ritiene che "badare alla casa" non la squalifica: è il "dono d'amore" in cui consiste la sua vita, anche se magari la stanca. Ma qualcosa non mi torna quando Lea arriva a nominare quei "doni" (o servizi) con la parola cura: le donne oggi, sono "consapevoli che con l’emancipazione, l’integrazione nel mondo del lavoro extradomestico, non è venuta meno la responsabilità della cura e del lavoro domestico", tuttavia "stentano ad abbandonare il potere che viene loro dal rendersi necessarie, indispensabili a figli, mariti, padri, ecc. Le cure materne non riguardano solo i figli piccoli - e anche i questo caso, l’accudimento possono farlo uomini e donne, genitori biologici e non biologici -, ma vengono estese anche a persone autonome e in perfetta salute". La cura non è "le faccende" domestiche - il gerundio afferma che "si debbano fare" - e qualcuno che le realizza ci vuole. Il "perché debbano essere le donne?" risale al patriarcato, non alla "cura". Che fa parte dell'etica.

Non è un mio parere: credo che il femminismo debba affermare il valore della propria differenza, che intende solo affermare se stessa, non concorrere. Risulta, infatti, difficile, abbandonare significati apparentemente univoci se stanno dentro i lessici. Ma la lingua è evolutiva non per novità di mode, ma per idee che possono tentare una modificazione del costume, e che hanno a che vedere con i contenuti di termini apparentemente pensati non una volta per tutte. Quando andavo all'Università mi era pacifico che la mamma provvedesse alla casa, al babbo e a me. Se mi avessero detto che sbrigava le faccende non avrei fatto una piega; infatti se per caso mi avessero chiesto che tipo di vita avrei voluto per me avrei risposto "quella di un uomo", e non mi sarei resa conto che se lo pensavo, era perché la mamma mi aveva insegnato che, prima di tutto, viene l'indipendenza; non mi sarei neppure accorta che era il suo vissuto a suggerirle di educarmi diversa. Ma se la casalinga è infelice - salvo i casi di eccessivo peso del "doni d'amore -  è per "la violenza domestica" che è altra cosa.

Le parole possono essere irrimediabili, come quando diciamo "umanità" che "comprende" (o esclude) le donne. La parola cura, invece è solo ancora limitata. Il suo primo significato sarebbe già interessante: è la "cura" che ti dà il medico. Possiamo rievocare l'arcaico "il curato" che ha come missione "la cura d'anime" per cogliere il valore di un lavoro che non si esaurisce nel lavoro impiegato. Non è questione di potere della forza (e infatti Lea sottolinea l'"enorme debolezza" degli uomini che non conoscono il limite e ignorano che la debolezza è un valore intrinsecamente umano.

Quando la mia mamma, casalinga, lavava il mio grembiulino delle elementari e si alzava mezz'ora prima a stirarlo per poi accompagnarmi a scuola, era contenta che io fossi sempre in ordine anche se avevo un grembiule solo. Non era in questione la remunerazione. E suppongo che lo stesso succedesse quando il cibo preparato con relativo entusiasmo veniva gradito. In questi casi entrano in gioco le relazioni privilegiate, l'affettività, il lavoro d'amore. Se la famigerata famiglia non fosse un ammortizzatore sociale che non prevede i servizi come diritto, ne deriverebbe che i lavori non sostituibili dalle macchine (ma forse nemmeno questi), a partire da quelli svolti dal parlamentare e dal sindaco, come di qualunque amministratore pubblico, ma anche privato, dovrebbero contenere la "cura" del "fare in funzione di...." ed essere compiuti affettuosamente. Naturalmente da parte di donne e di uomini. Ma per la cura il magistero è nostro.

 

 


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