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Dietro lo zurià

Dietro lo zurià

Eritrea - Diario di viaggio nel piccolo paese africano

Piccoli Tullia Margherita Lunedi, 15/11/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Novembre 2010

A Nord del Mediterraneo circolano voci poco rassicuranti sul clima di guerra e mancanza di libertà dell'Eritrea, tuttavia la curiosità è stata più forte dei timori e ho intrapreso il viaggio.

Le eritree che ho conosciuto in Italia sono donne non comuni; le giovani, anche se addette a lavori di assistenza domestica, sono quasi tutte diplomate, colte e conoscono almeno 3 lingue: il tigrino, l'italiano e l'inglese. Ciò che mi affascina è il loro attaccamento alle tradizioni, da quelle alimentari a quelle sociali, le feste, le danze, le ricorrenze e soprattutto la loro cortesia e disponibilità. La grazia nei movimenti e la dignità del loro incedere sembrano nascondere un’arcaica e incontaminata forza e superiorità interiore.

Le strade di Asmara pullulano di gente, soprattutto a piedi ed in bicicletta. La metà della popolazione è musulmana, ma le donne vestono indistintamente all’occidentale o in modo tradizionale con lo zurià, un abito bianco, bordato, di cotone-garza a più strati e con una sciarpa bianca tenuta sul collo o sul capo per coprirsi dal sole o dal vento. Ne ho incontrate pochissime in abito nero lungo, alla moda musulmana, e nessuna col velo integrale. Le donne, qui, non tengono il capo abbassato in presenza degli uomini. Sono invece fiere, ironiche e combattive, pur con i modi garbati e privi di aggressività della loro cultura. La donna eritrea si trova ad essere in un mirabile equilibrio tra tradizione e modernità. C’è chi si sente un po’ stretta, ma c’è chi sa apprezzare il senso di protezione sociale che questa condizione garantisce ancora. I legami sociali, parentali, la ‘reputazione’ come vincolo ma anche come salvaguardia, il forte rapporto famigliare e di gruppo hanno preservato di fatto lo sfaldamento sociale e la deriva del degrado, anche all’estero, nelle metropoli corrotte dell’occidente. Non esiste un giro di prostituzione di eritree, è inimmaginabile.

Mbrat, giovane eritrea, mi dice che le violenze sessuali sulle donne sono rarissime perché punite molto duramente. Lei vive sola ad Asmara e sostiene di sentirsi sicura, non minimamente minacciata da eventuali atti di aggressione sessuale.

La sera tardi scendo per le strade della capitale, tra edifici e ville di gusto architettonico italiano dei primi decenni del secolo scorso. L’aria è tiepida e ancora tanti passanti si aggirano tra i locali in chiusura; qualche venditore di belès, fichi d’india, agli angoli dei marciapiedi. Le giovani donne si muovono serenamente anche lungo i poco illuminati viali della città e nei dintorni. Tra i vicoli più scuri si vedono spuntare gli abiti bianchi di donne sole che si dirigono con passo calmo verso casa.



Intervista a Ghennet Tekiè

Ghennet vive e lavora ad Asmara; ha due figlie che si sono laureate di recente e ha lavorato all’estero, in Inghilterra, per 15 anni. 

È vero che dopo l’indipendenza del 1991 la donna eritrea ha ottenuto importanti diritti civili?

Non solo dopo l’indipendenza, anche durante la lotta armata per l’indipendenza, l’emancipazione delle donne eritree era già assicurata. Rappresentavano il 30% dei combattenti, dirigevano dei battaglioni, assicuravano l’assistenza sanitaria e l’istruzione sia dei combattenti che dell’intera popolazione. Attualmente ricoprono cariche ministeriali, di direzione generale, sono medici, ingegneri, piloti di linee aeree interne, informatiche e anche meccaniche. Dal momento che la politica del governo è quella di fornire scuole in tutti i paesi, anche quelli sperduti nelle campagne, le donne della nuova generazione ne approfittano e riescono a completare gli studi superiori. Nel mio caso, per le mie due figlie, dal momento che i livelli secondari e universitari sono gratuiti in Eritrea, non abbiamo versato neanche un Nakfa per i loro studi.

Che cosa è il centro di istruzione e addestramento militare di Sawa? In Italia me ne hanno parlato come di una specie di prigione che terrorizza i ragazzi e le loro famiglie.

Condanno energicamente questa informazione inesatta. Sawa non è un luogo di tortura ma un luogo in cui ragazzi e ragazze svolgono l’ultimo anno delle superiori e in seguito ottengono il diploma. Quelli di loro che superano l’esame vanno all’università. Gli studenti che hanno ricevuto un giudizio elevato ricevono il premio ‘Zagra’ dalle mani del presidente eritreo. Chi invece non supera l’esame ha il diritto di seguire degli ‘stage’ professionali. Il fine del governo è incoraggiare i giovani a studiare e diplomarsi. Tra loro, il numero delle ragazze aumenta di anno in anno e in più i giovani apprendono la scoperta e lo scambio culturale nonché la disciplina. Le mie due figlie sono andate a Sawa come tutti i giovani eritrei. Mio marito ed io siamo andati a trovarle e siamo stati impressionati dalla disciplina che regnava nel campo. Qualche mese più tardi si sono diplomate e sono entrate all’Università. Devo dire che le abbiamo trovate più responsabili e anche molto più mature. Dato che l’Eritrea ha una popolazione poco numerosa, è evidente che i giovani difendano la loro patria contro eventuali aggressioni esterne, per cui sono tenuti ad un addestramento militare di 3 mesi proprio a Sawa.

Sei ottimista o pessimista per il futuro dell’Eritrea?

Benché l’Eritrea attraversi un periodo economico difficile, come del resto tutti i paesi che soffrono la crisi mondiale, io sono molto ottimista sull’avvenire del mio paese. Il popolo e il governo eritreo lavorano duro affinché l’economia del paese sia stabile e duratura.

Qual è il tuo messaggio alle donne italiane?

Le invito a visitare il paese e a vedere con i propri occhi la partecipazione delle donne in tutti i settori economici e anche a vedere la pace che regna nel paese e l’armonia della popolazione.



(15 novembre 2010)

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