Lunedi, 22/04/2013 - Alessandria, l’11 di aprile, mi accoglie al solito piovosa, ma il clima non scoraggia oltre settanta persone, che si ritrovano nella bella sede della Ristorazione sociale.
Con me c’è Francesco Pivetta, che ha scritto la postfazione di Uomini che.. e a presentare la serata anche Claudia Deagatone, compagna di strada nell’avventura di Altradimora.
Il posto dove siamo per la serata è circondato da orti zuppi d’acqua, pieni di promesse in boccio, ed è organizzata dall’associazione Tessere le identità e dalla compagnia teatrale Stregatti: l’occasione porta con sé la sorpresa di una prima lettura pubblica strutturata di parti del libro; due attivisti dell’associazione scelgono di dare voce alle riposte più brevi, quattro per domanda.
Succede sempre così: quando si legge un testo questo si riscrive un’altra volta, assume un diverso aspetto, si arricchisce di nuove e inedite sfumature, e la sensazione che provo è proprio questa: sorpresa e quieto spaesamento. Il libro, in questi tre mesi di prime presentazioni e occasioni pubbliche, ha preso vita autonoma e direzioni inaspettate.
Le persone sedute ascoltano nel buio le voci di uomini che interpretano i pensieri di altri uomini, e i dubbi, le incertezze, i dolori, le amarezze e le scoperte che compongono, (e che sono la struttura del libro), diventano allo stesso tempo poesia, denuncia, vincolo.
Porto qui l’immagine visiva con la quale mi piace racchiudere uno dei significati del libro: è concentrata nella scritta sul muro di un palazzo, vista passando in autobus a Genova: “Basta fatti, vogliamo promesse”.
E’ chiaramente un ossimoro, e per questo funziona: se infatti è tremendamente vero che i fatti ci consegnano un rosario di dolore e violenza nelle relazioni tra donne e uomini allora questi fatti non li voglio. Sono, siamo, in cerca, almeno, di promesse, promesse di un possibile, qui e ora, cambio di rotta. Questo inedito gesto di relazione e dialogo, fatto di parole e emozioni, che ha dato vita al libro, ne è, spero, un piccolo pezzo.
E veniamo al 20 aprile, la data della prima della piece teatrale Manutenzioni - uomini a nudo, l’atto unico costruito insieme a Laura Guidetti e Ivano Malcotti.
La conferma della felice intuizione che abbiamo avuto, (sull’iniziale suggerimento di Francesca Sutti, nostra web mistress e attrice), nel decidere di mettere mano al materiale del libro e ricavarne uno spettacolo teatrale è venuta a febbraio quando, in meno di un mese e mezzo, abbiamo costruito la piece.
Il testo si è infatti praticamente scritto da solo: è bastato immaginare le situazioni concrete nelle quali immettere le varie gradazioni di impatto emozionale del contenuto del libro.
Il tavolino di un bar; due ping pong verbali; due monologhi; due momenti corali di lettura dei cinque uomini che prendono la parola, un momento introduttivo e uno di chiusura dell’unica voce femminile; il cerchio della fiducia, la pratica di affidamento che spesso propongo nei gruppi di formazione per introdurre elementi fisici e di contatto che stimolino la riflessione su corpo, tabù, aspettative nelle relazioni. Si forma un cerchio stretto di corpi, una persona si mette al centro e si lascia andare, affidandosi al sostegno delle altre persone, che la sospingono e impediscono che cada.
Sono bastate tre prove a formare il gruppo attoriale, (oltre a me cinque uomini, dei quali tre sconosciuti prima di questa occasione e che mai avevano calcato la scena) che il sabato sera del 20 aprile, nella sala della Società di mutuo soccorso di Sussisa, piccolo paesino sulle alture di Sori, a 20 minuti da Genova, hanno dato vita alla piece Manutenzioni - uomini a nudo.
Ora qui arriva il difficile.
Per quanto la vita e l’esperienza, (ormai lunga), di attivismo femminista e politico mi abbiano offerto innumerevoli occasioni di emozione questa ultima è stata molto particolare.
Banalmente perché non ho mai recitato prima d’ora, e come è facile intuire un conto è parlare in un incontro, un dibattito o un’ altra occasione simile, e un altro è attivare una versione di sé in chiave attoriale. Poi perché è successo qualcosa, che è arduo da tradurre in parole.
Per avvicinarmi a qualcosa che comunichi quello che ho sentito posso dire che non è comune che un gruppo di persone che non si conoscono riescano a dare vita a 50 minuti di teatro in tre settimane, e che è altrettanto inusuale che un intero paesino venga mobilitato in questa impresa, che è sì promossa da un gruppo autoctono, ma che vede la scintilla provenire da fuori, (in questo caso il mio libro), e quindi è una entità ‘foresta’, come si dice del dialetto genovese: esterna, e quindi estranea.
La proverbiale banalizzazione dell’avarizia ligure, e peculiarmente quella della città capoluogo, non è, come tutti i luoghi comuni, totalmente priva di elementi di realtà.
La mia città non è particolarmente avara rispetto al denaro, quanto piuttosto è artefice di una chiusura sospettosa e inaridente verso la novità, e refrattaria in modo patologico alla condivisione.
E’ risultata quindi una vera epifania la magica, gratuita, immediata disponibilità da parte di un gruppo prima, e di una comunità poi, a ospitare, diventandone parte integrante, una impresa culturale in origine esterna.
Una proposta culturale di schietto taglio femminista, per giunta, non supportata nemmeno da alcun glamour mediatico, non godendo il libro dell’appoggio fornito da apparizioni in tv o da forti richiami della grande stampa.
Insomma: non è stato solo il fatto che la sala fosse piena, o che la pioggia abbia graziato per qualche ora la zona, favorendo la voglia di mettersi in viaggio anche da fuori, o che tutto si sia svolto senza intoppi, e già questo è un miracolo, vista la natura non professionale di tutta la vicenda.
E’ stato, forse, che quando c’è grazia, armonia e passione qualcosa succede, e quello che succede quando gli essere umani provano a costruire e condividere emozione e pensiero non è mai scontato.
Vi lascio, (mentre a breve parto per un maggio denso di appuntamenti, tra cui ben 5 appuntamenti in Sicilia), con la frase finale della piece, che è a disposizione per essere messa in scena dovunque e della quale presto metteremo dei brani tratti dalla magica ‘prima’ sui siti e nei social network:
”La vita è al 90% manutenzione. Occuparsi di sé, del mondo, delle persone che si amano.
La politica, fare politica per le donne che hanno scelto di dirsi femministe è stato anche questo: manutenzione.
Perché prima della rivoluzione, durante, dopo bisogna rassettare per trovare agio, spazio e benessere.
Così, nella manutenzione, c’è anche l’ascolto.
Perché le parole, quelle sussurrate come quelle urlate, non valgono nulla se non c’è chi le ascolta, e le raccoglie.
Il primo passo per fermare la violenza è riconoscerla, e prima ancora serve alzare gli occhi, guardare chi abbiamo di fronte e ravvisare la reciproca umanità.
Chiedendo a degli uomini sconosciuti un gesto di relazione, di contatto, nel rispondere a delle domande su di loro qualcosa è successo. Le loro parole sono diventate un libro e anche un atto unico in un teatro, per esempio.
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