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"Diario di un Jihadista italiano", il libro di Sylvia Layla Olivetti

Intervista a Sylvia Layla Olivetti, autrice di un libro che ha suscitato molte polemiche e che si è attirato altrettante critiche

Lunedi, 18/07/2016 -
Scandagliare l'universo del Daesh è il focus del nuovo romanzo di Silvia Layla Olivetti: "Isis Islamic State, diario di un jihadista italiano", (edizioni David and Matthaus, euro 14.90). Un libro scomodo diventato l'anno scorso un vero e proprio caso editoriale. Ne parliamo con l'autrice, da 15 anni convertita all'Islam.



Utilizzare la chiave del romanzo è stata una scelta obbligata considerando l'argomento trattato?

Indubbiamente raccontare l’ISIS dal punto di vista dell’ISIS è una grande responsabilità. Ma è anche in qualche modo un atto di coraggio che comporta inevitabili conseguenze dal punto di vista mediatico. Romanzare un argomento così scottante è un modo più morbido e meno brutale, o anche semplicemente meno presuntuoso se vogliamo, per affrontare il discorso.



Che ruolo hanno le figure femminili?

Le donne del mio romanzo rivelano una femminilità decisa, per nulla sottomessa. Sono donne con storie diverse e diverse motivazioni, culture e vicissitudini. Tuttavia, si tratta di donne che hanno fatto una scelta consapevole, mai imposta dall’uomo. Sono guerriere a tutti gli effetti, ma non smettono mai, nemmeno tra le bombe e il fuoco dei kalashnikov, di essere anche, e soprattutto, Donne. La loro adesione all’ISIS non prescinde mai dall’umanità profonda che contraddistingue l’universo femminile e rivela una sorellanza che, con le dovute differenze, solo le donne del ‘68 sono state in grado di realizzare.



Il tuo è un romanzo distopico, ambientato nel futuro, pensi che per quella data la figura femminile all'interno dell'Islam possa trasformarsi e avvicinarsi ai canoni occidentali?

Non riesco ad immaginare perché mai la donna musulmana debba sentire la necessità di avvicinarsi ai canoni occidentali, che nulla aggiungono alla misera condizione femminile nel mondo. Non considero i canoni occidentali un valore aggiunto all’identità delle donne musulmane. Anzi, nessuna società mercifica il corpo femminile quanto quella occidentale, che in più ha l’ipocrisia di voler parlare di parità dei diritti, negandola nel quotidiano. Basti pensare ai femminicidi commessi ogni anno in Italia e alla discriminazione lavorativa ed economica della donna, che a parità di qualificazione, continua a percepire stipendi più bassi rispetto ai colleghi uomini. L’Islam è sufficiente a garantire alla donna tutto ciò che le serve per la sua piena realizzazione in ogni ambito: da quello lavorativo, a quello della scolarizzazione, a quello familiare. Sono gli uomini musulmani, semmai, che dovrebbero emanciparsi rispetto al loro secolare e bieco maschilismo e cominciare a riconoscere alle loro donne quei diritti che l’Islam garantisce ma che spesso - per ignoranza o per tradizione - preferiscono negare loro. Con il mio disastroso divorzio, che mi è costato infinite battaglie, ne sono l’esempio vivente. Ma questa è un’altra storia e, chissà, magari la racconterò nel mio prossimo libro, tutto al femminile.



A fine giugno le dimissioni dalla segreteria Pd di Milano di Maryan Ismail, hanno riaperto la polemica sull' Islam politico. Il Partito democratico ha appoggiato Sumaya Abdel Qader espressione dell'ortodossia politica interna all'islam a scapito del laicismo di derivazione Sufi della Ismail, che aveva dichiarato che non esiste solo l'Islam politico e che i Musulmani non sono tutti uguali. Che ne pensi?

La politica non mi interessa. Non intendo commentare le lotte intestine e le ripicche di chi ha giocato al gioco delle sedie ed è rimasto in piedi quando è stata spenta la musica. Considero Maryan Ismail e Sumaya Abdel Qader come due facce della stessa medaglia. Quando ci si candida si accetta di giocare a testa o croce e bisogna prendere la politica per quel gioco d’interessi che è, nel bene e nel male. Poi, che la Ismail definisca Sumaya Abdel Qader “ortodossa e oscurantista” mi fa francamente sorridere. Tutto si può dire di CAIM e di UCOII, che Sumaya rappresenta, tranne che costituiscano il baluardo dell’ortodossia dell’Islam in Italia. Non mi rappresenta il laicismo della Ismail tanto quanto non mi rappresenta il cosiddetto “Ramadanpensiero” di Ucoii e CAIM.



All'uscita del libro hai ricevuto critiche feroci, eppure è un romanzo..

Non mi aspettavo una reazione diversa. Sono sempre stata consapevole di avere scritto un libro scomodo, provocatorio, una spina nel fianco dell'Occidente che però non risparmia critiche al mondo musulmano. Sono stata accusata di fare propaganda all’ISIS e di essere una terrorista (anche in diretta tv al tg delle 20.30). Eppure, sono cittadina di un paese che è stato "Charlie" e che difende a spada tratta la libertà di pensiero e di parola. Spesso, però, chi ha frettolosamente giudicato il mio libro negativamente, non lo aveva nemmeno letto. E quale peso possono avere i pregiudizi di chi non è andato oltre il titolo? Il mio libro ha superato un’inchiesta dell’FBI, una della polizia svizzera e ha ricevuto l’ok delle autorità italiane. Mi pare sufficiente.



Ti è stato rimproverato di aver dato voce a un Jihadista, Oussama Khachia, che non è un personaggio di fantasia..

Troppo facile parlare per partito preso senza cognizione di causa. Ripeto, prima di esprimere giudizi bisogna leggere il libro e seguire l'intreccio. Ho fatto una ricerca a tutto campo. Credo anche che se fossi stata una giornalista tutto questo non sarebbe successo. E se non indossassi il velo probabilmente non avrei scatenato polemiche. Certo, la scelta di mettere in copertina una foto di Oussama Khachia e di fargli firmare la postfazione ha scatenato prevedibili polemiche, soprattutto dopo la notizia della sua morte. Ma non m’interessa: lo rifarei altre 1000 volte. E’ stato trattato come un criminale non essendolo e ho voluto dargli diritto di replica.



Come rispondi a chi ti accusa di avere avuto contatti con un terrorista e di aver dato spazio alla sua propaganda nel tuo libro?

Che non considero, né mai ho considerato, Oussama Khachia un terrorista. Era un uomo scomodo, questo sì, perchè non scendeva a compromessi e non aveva paura di dire ciò che pensava, anche quando le sue idee lo portavano a subire attacchi pesanti da parte dei media. Ma non era un pazzo fanatico, né tantomeno un terrorista: esprimeva con educazione ed equilibrio i suoi pensieri, che potevano anche non essere condivisibili, e portava avanti ciò in cui credeva con coerenza e senza timore di critiche. Aveva un altissimo senso della giustizia e proprio questo lo ha portato, dopo l’espulsione (non per terrorismo, attenzione, ma per mero sospetto che in futuro potesse essere avvicinato da qualche brutto soggetto. Ne approfitto per ringraziare la ridicola legge Alfano che prevede la possibilità di espellere persone per bene leggendo il futuro tramite consultazione della sfera magica), a scegliere di sacrificare la sua vita per il popolo siriano. I terroristi sono altri, sono coloro che mettono le bombe negli aeroporti e nelle metropolitane.



Quanta invenzione e quanta cronaca c’è nel tuo romanzo?


Più che parlare di invenzione e di cronaca, parlerei di informazione e controinformazione. E’ un romanzo che offre spunti di riflessione, in modo diretto e brutale. La guerra è violenza e il lettore ne deve sentire il sapore, altrimenti non capirà mai perché è sbagliata. Il mio romanzo spiega anche il welfare state creato dallo Stato Islamico, che qui in Occidente non viene mai raccontato e che all'origine del supporto delle popolazioni locali.

Infine, bisogna avere l’onestà di dire che nessun romanzo è mai davvero finzione: perché, semplicemente, la finzione si nutre della nuda realtà, ne è l’estensione naturale. Non ci può esserci alcuna finzione senza realtà.



Emanuela Irace

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