Castelli Alida Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2007
Leggendo i giornali, quando il Senato ha approvato, in prima battuta, la legge che modifica le norme che hanno regolato fino ad ora le modalità di attribuzione del cognome per i figli, (nati nel matrimonio s’intende, perchè per quelli naturali le cose già vanno diversamente) si è capito che si era scatenata una rissa. Non si commenterà questo “furore sacro” che ormai si propaga nel nostro Paese ogni volta che si nomina la parola “famiglia”, perchè sarebbe troppo scontato rilevarlo, anche se non può non preoccupare ammantato come è di ideologismi e riproposizione di modelli di famiglia che non esistono più, o meglio non sono mai esistiti se non forse nella pubblicità. Cosa pensare di chi vede uno “scardinamento della famiglia” anche nella questione dei cognomi?
Quello che mortifica è vedere che ancora una volta nel nome della famiglia si difende il patriarcato più becero, quello più retrivo, quello per intenderci del proprietario terriero per il quale la sua “robba “ deve continuare nel suo nome, al figlio maschio se possibile.
Perchè, l’uso di due cognomi per una stessa persona, quello del padre e quello della madre, toglie quell’alone, o meglio quella crosta, che di fatto nelle famiglie identifica la cosiddetta mascolinità, il tramandare in eterno “qualcosa”, se non si ha niente, pazienza almeno il cognome c’è: l’importante è che sia quello paterno.
Antiche tradizioni di trasmettere il nome, non solo il cognome, in alcune parti del Paese non sono ancora sopite. Certo se nasce una femmina (purtroppo?) le sarà dato il nome della nonna (paterna s’intende), ma vogliamo mettere, se nasce un maschio: nome e cognome del nonno? Non ho nessun pregiudizio verso la tradizione, e verso la continuazione di nomi tradizionali di famiglia - meglio del resto che quelli derivati dall’ultima soap-opera - ma non ho potuto fare a meno di pensare a questi comportamenti immaginando le future discussioni sui cognomi tra futuri genitori. Tra futuri genitori ma anche tra futuri nonni.
E a chi l’ultima parola? Questo è un bel dilemma sul quale la ministra Bindi avrebbe voluto spuntare almeno alcune armi di ricatto o peggio di liti. Invece niente, nessun obbligo, o c’è l’accordo o niente, oppure addirittura l’ordine alfabetico. I senatori, a prescindere dal loro schieramento politico, si sono divisi scegliendo in poche parole la cosiddetta “libertà”. Certo le donne sono cresciute, si sanno imporre, ma possiamo figurarci una futura madre, (che magari pensa anche al parto) che si mette a cavillare sul cognome?
Del resto davanti all’ufficiale dell’anagrafe ci va uno solo, il padre, la madre di solito sta letto, dopo un parto più o meno facile, ad allattare il suo bambino. Alla continuazione della specie, e del cognome, ci pensa il papà!
(29 marzo 2007)
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