Lunedi, 07/02/2011 - Cittadine e cittadini che manifestano davanti al Quirinale il loro sdegno per un premier che si circonda di una corte di adolescenti e si intrattiene con loro in serate orgiastiche, un premier che a sua volta interviene minaccioso contro la magistratura e le questure che offendono la dignità delle sue “ospiti”, sbeffeggiandole, costringendole a spogliarsi e perquisendole come si fa solo con delinquenti e mafiosi.
E infine: appelli, manifestazioni, paginate di firme esposte dai giornali e dai siti Internet per chiedere le dimissioni di un Presidente del Consiglio che si comporta come un sultano. I vizi privati, soprattutto se c’è di mezzo il sesso e se sono così esorbitanti da fuoriuscire dall’intimità, smascherano senza riguardo le pubbliche virtù. Non che Silvio Berlusconi ne avesse molte, abituato a muoversi con disinvoltura tra un versante e l’altro; si potrebbe dire anzi compiaciuto a sicuro di poter contare proprio sulla sua incontenibile vena anti istituzionale per un consenso di massa.
Ma Ruby, l’ultima in ordine di comparsa nella passerella delle frequentatrici abituali delle ville berlusconiane, e la schiera delle “condomine” di via Olgettina, come lei ben remunerate per i servigi resi al premier, potrebbero essergli fatali. Katia G., la protagonista del romanzo comico di Alessandra Faiella, avendo fatto del suo Lato B “da urlo” una “perfetta macchina da guerra” contro l’uomo potente che si serve delle donne a suo piacere, una volta portata a termine la sua impresa eroica-erotica, esclama: “Sarà stata una gran troia, ma ha liberato un paese”. Fuori dall’umorismo sarcastico di Faiella, è questo a cui mira l’ondata di sdegno montante? Cioè che a dare il colpo di grazia al governo Berlusconi siano i corpi delle donne -l’uso e abuso che ne è sempre stato fatto, la storia secolare dello “scambio sessuo-economico” – di cui in Italia non sembrano essersi accorte finora né la cultura né la politica? Là dove non è riuscita l’opposizione parlamentare, a cui non sono mancate certo le occasioni politiche per liberarsi di un primo ministro ritenuto a ragione un pericolo per la democrazia del paese, dovrebbe dunque essere un “fattore” ritenuto tradizionalmente “non politico”, non indagato, e fatto oggetto di attenzione solo quando serve -e cioè il privato, la sessualità, la mercificazione del corpo femminile- a portare fuori dal baratro.
Tenuto conto dell’ignoranza pressoché totale in cui è stata lasciata finora l’analisi del rapporto uomo-donna, come problema politico di primo piano, la messa sotto silenzio della consapevolezza, dei saperi, delle pratiche nate dal movimento delle donne e riguardanti le ricadute del sessismo sulle istituzioni pubbliche, non ci vuole molto a capire che a prevalere nelle manifestazioni di indignazione sarebbero stati gli stessi ragionamenti che finora hanno impedito, sia pure in modo diverso, di affrontare la conflittualità tra i sessi. Primo fra tutti il concetto di “privato”, visto ancora come il luogo “altro” della sfera pubblica, che può, mantenendosene prudentemente o pudicamente separato, proteggerla da passioni, comportamenti poco presentabili, o, al contrario, minacciare di invaderla, contaminarla, incrinarne l’autorevolezza. Di qui l’interminabile diatriba fra chi pensa che la privacy non debba essere toccata, e di chi invece ne fa, all’occasione, un arma per mettere in difficoltà l’avversario. Salvo dimenticarsene subito dopo.
Che il privato sia la vita personale, le relazioni primarie attraverso cui passa la formazione di un individuo, l’impronta che prendono fin dall’infanzia i ruoli contrapposti e subordinati l’uno all’altro del maschio e della femmina - ma anche della biologia e della storia, dei sentimenti e della ragione- resta una verità sepolta, insieme a quella rivoluzione delle coscienze che è stato il femminismo degli anni Settanta. E’ così che Pierluigi Bersani può dire candidamente che lui non chiede di “disquisire su questioni sessuali”, mentre non esita a servirsene, come dimostra l’accoglienza calorosa alla “parole pesanti” del cardinal Bertone, all’ “autorità morale” della Chiesa che, come sappiamo, ha sempre avuto nel controllo della sessualità un ruolo primario. Più laicamente, ma anche più drastica nel liquidare il problema uomo-donna, è stata Nadia Urbinati: non ci troviamo di fronte, ha scritto su Repubblica (21.1.2011), a una questione morale o di peccato, ma di “competenza” a svolgere funzioni che richiedono un contenimento saldo delle emozioni, in particolare del desiderio sessuale, messo sullo stesso piano di “fattori viscerali”, come la fame, la sete, il bisogno di evacuare.
Torna la tesi di Veronica Lario: un uomo “che non sta bene”, affetto da una patologia individuale, comportamenti compulsivi che lo rendono inadatto a rivestire una carica per la quale serve, come dice Urbinati, lucidità “cognitiva e pratica”. Che lo si consideri un campione assoluto o una vittima del suo stesso machismo, si resta comunque intrappolate dentro quella personalizzazione della politica che è, al medesimo tempo, lo zoccolo duro del successo di Berlusconi e il terreno franoso che potrebbe ingoiarlo. Di certo, nessuno può illudersi che, insieme al suo potere si eclissi l’immaginario sessuale che fa da supporto alla civiltà maschile dominante da secoli, e che le donne stesse hanno inconsapevolmente fatto proprio.
E’ per questo che l’appello alla moralità, che ha preso forme diverse –dai richiami soft di Napolitano a comportamenti “più sobri”, al rispetto dell’etica pubblica, fino alle condanne più esplicite del tipo “si vergogni”- è destinato a riscuotere adesioni immediate e trasversali agli schieramenti politici, ma anche a confermare ambiguamente pregiudizi esistenti e duri a morire. Un’idea di libertà sessuale malintesa e storpiata dalle leggi di mercato, una rivoluzione del linguaggio che ha dato la stura a un universo verbale tenuto finora sotto controllo, coesistono oggi con residui di una morale cattolica che vede nel sesso il peccato originale della specie umana. La sessualità sembra che offenda la legge divina più della guerra, della fame, dello sfruttamento e di qualsiasi altra ingiustizia sociale. La deriva scandalistica, quando al centro della riprovazione morale ci sono comportamenti erotici, è prevedibile, così come l’oscillazione ambigua tra sdegno e voyeurismo.
E’la sequenza imbarazzante dei messaggi contraddittori che sono passati insistentemente negli ultimi giorni, alternando voci concitate di disapprovazione morale con corpi femminili seducenti, destinati a muovere desideri, invidie, segrete complicità col “peccatore”. A parte qualche eccezione, la campagna che si è andata allargando intorno ai risvolti penali del caso Berlusconi-Ruby, non ha avuto per le giovani donne implicate negli intrattenimenti del premier il riguardo che ci si sarebbe aspettati nel momento in cui si invoca da più parti una “rivolta” a difesa della dignità delle donne. Trasformate in merce di scambio, oggetti di piacere, trastullo del sovrano, ma pur sempre donne che hanno scelto di essere in quel luogo, di fare della loro bellezza una fonte di guadagno. Si può dire che scegliere non significa di per sé essere libere di scegliere. Ma questo è un ragionamento molto diverso dal definirle sbrigativamente “vittime” o volgarmente “puttane”, dal proiettare su di loro l’umiliazione che le donne hanno subìto per secoli in quanto donne, o dall’attribuire alla loro civetteria l’origine prima del degrado morale di una società.
L’insofferenza nei confronti del governo Berlusconi, e in generale l’imbarbarimento che ha prodotto la confusione tra politica e spettacolo, tra stile di vita personale e ruolo pubblico, tra merito e gradevolezza estetica nella scelta di parlamentari e ministri, può anche darsi che trovi nella sbracata, boccaccesca scenografia dei passatempi del premier, nel suo modo di pensare le donne felici di offrire i loro servigi erotici in cambio di doni, denaro e carriere, l’occasione per un fronte comune trasversale a tutte le forze politiche, a donne e uomini. Ma non si dia a una mobilitazione giusta e augurabile per impedire la perdita di fondamentali conquiste democratiche, il vessillo di una crociata contro il corruttore sessuale di minorenni, o l’imprimatur di una “rivolta” delle donne contro il potere che le ha tenute storicamente in una condizione di marginalità. Finché lo sdegno non si estende a tutti gli aspetti del privilegio e della violenza maschile -da quella manifesta degli stupri e degli omicidi domestici, a quella che passa non vista nella disuguale responsabilità famigliare di uomini e donne, nelle discriminazioni sul lavoro- , dovrebbe venire il sospetto che delle donne ci si preoccupi quasi sempre solo quando servono.
Questa vicenda la dice lunga su quanto si sia immiserito il femminismo dal momento che si è attestato su piccole conquiste di emancipazione –leggi di parità o di tutela- anziché continuare nella ricerca di un’autonomia di pensiero, rispetto ai modelli interiorizzati, e arrivare ad imporre, in tutti i luoghi in cui le donne sono presenti, un’analisi del sessismo, delle sue molteplici implicazioni, economiche, politiche, culturali.
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