Venerdi, 17/07/2020 - Sono mesi e settimane, con un accelerazione negli ultimi giorni, che la notizia e la riflessione sull’irrefrenabile calo delle nascite in Italia occupa sempre più spazi nell’informazione e considerazioni sulla gravità che comporta per il futuro del paese.
I numeri sottolineano il progredire della tendenza negli anni e oggi le morti superano le nascite, arrivate al minimo storico dall’unità d’Italia; se, come avverte l’ISTAT, le nascite dovessero scendere al disotto delle 400.000, il fenomeno racconterebbe il declino a precipizio del futuro del Paese.
Le motivazioni, assai pessimistiche e convincenti, spiegano che questi dati sono dovuti a mancanza di occupazione, all’aumento esponenziale dell’emigrazione di giovani in altri stati comunitari e non (trasferendo all’estero e con successo il loro destino) e ancora - per contrappasso - la diminuzione dell’immigrazione verso l’Italia accompagnata dalla diminuzione della natalità degli immigrati presenti. È un insieme che desta serie preoccupazioni, aggravate dall’accelerazione dei problemi portati dal coronavirus.
Il grido d’allarme sul futuro del paese - come ha affermato il Presidente Sergio Mattarella - richiede l’assunzione di ogni iniziativa tesa a invertire la tendenza e a fermare l’indebolimento del tessuto sociale che potrebbe minacciare l’esistenza stessa del Paese e di un’Italia che si identifica con le famiglie che rappresentano, sotto la definizione convenzionale di demografia, la sua infrastruttura portante.
Ed è a questo punto che la parola famiglia - data la gravità della situazione, condizionata anche dal Covid 19, e contemporaneamente l’urgenza di impostare risposte e progetti adeguati a frenare prima e invertire subito dopo la tendenza in atto - andrebbe decodificata e interrogata quale cellula primaria della società, prendendo atto delle sue componenti concrete ognuno con le proprie specificità: uomo, donna, padre, madre, figli.
Ed allora chi governa questo paese, da tutte le angolature (governo in carica, istituzioni pubbliche, culturali, politiche, etc) dovrebbe avere il coraggio di identificare come inizio della ricerca di approfondimento delle ragioni - da aggiungere ai numeri e alle letture che offrono - una innovativa e coraggiosa inchiesta di massa. Quasi un censimento di idee e opinioni, richieste e suggerimenti che interroghi le donne. Sono le donne infatti quelle che in modo provocatorio mi piace definire “le intellettuali organiche sui problemi della natalità”.
Per quanto l’argomento possa risultare provocatorio per molti e persino per molte, per quanto siano prevedibili commenti e valutazioni forse il tema merita una riflessione.
Sono le considerazioni delle donne tutte, ma in particolare delle giovani in età fertile, come le definiscono le statistiche, da ascoltare nei loro progetti, aspirazioni e difficoltà. Sono le giovani che le vedono confrontarsi tra desideri e dura realtà, tra il desiderio di lavoro e famiglia, tra sane ambizioni di successo e di solida vita quotidiana, e tanto d’altro, che possono dare una visione ricca e complessa, un approfondimento importante che va aldilà di ciò che è già noto e che non basta per capire e superare anche le ragioni della paura di procreare.
Non è superfluo ricordare e accettare l’idea che sia la donna ad affrontare in prima persona la nascita di un figlio e che valuti ancor prima che col proprio compagno la sua personale responsabilità, i condizionamenti, le conseguenze immediate e future sull’intreccio dei desideri e aspirazioni per la propria vita nella complessità da affrontare tra famiglia e lavoro, aspirazioni personali e responsabilità proiettate nel futuro tenendo conto costantemente dell’equilibrio di una vita complessa tra privato e pubblico, famiglia e società.
Interrogare le donne in primis per tornare poi all’uomo e all’intero nucleo famigliare, forse può almeno con onestà aiutare a scrivere per la società l’autentico decalogo di quel che bisogna fare, e di cosa tener conto da parte dei poteri costituiti, per costruire un cantiere adeguato a riprogettare un inversione di tendenza urgente in termine di natalità.
Mi piace ribadire, consapevole della provocazione insita in questa definizione estremizzata, come siano le donne “le intellettuali organiche” riguardo ai problemi della natalità. E che forse è questo il momento storico, dopo decenni, che il valore sociale della maternità sia dalle donne preso in carico e posto anche come elemento di contrattazione e di potere, con la ricchezza e complessità che il pensiero femminile ha maturato e che oggi può essere condiviso alla base delle riflessioni necessarie per frenare la decadenza dell’Italia minacciata dalla denatalità e dalle ragioni che la determinano. Occorre fare questo tenendo conto, davvero, del riconoscimento dovuto alle donne nelle famiglie di aspirare ad una vita complessa, dove si possano intrecciare a pieno diritto famiglia maternità, lavoro, prospettive e ambizioni private e pubbliche. Nella consapevolezza che la realizzazione di uno sviluppo del paese che veda affiancati donne e uomini, oggi necessita uno strappo non più rinviabile della valorizzazione e utilizzazione degli originali saperi femminili e della visione femminile del mondo per dare vigore ad una autentica ripresa solida, economica e non solo. Non si tratta di un piacere da fare alle donne, ma di considerarle necessarie.
I numeri che l’ISTAT fornisce sono determinanti, e determinante è la loro interpretazione e lettura ma nella convinzione che la conoscenza ravvicinata dei protagonisti quotidiani della realtà offrono quel di più senza il quale la svolta non riesce. E oggi è ora di accettare l’idea che il riconoscimento del sapere femminile può rappresentare una possibile carta vincente per uscire dalla crisi innegabile del paese.
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