Movimenti / 4 - Quarto appuntamento della riflessione su reti e associazioni femminili e femministe. La testimonianza di una protagonista storica del movimento romano
Anita Pasquali Lunedi, 04/10/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2010
Con la lucidità propria di una lunga attenzione e la libertà di chi può parlare senza paura di rompere amicizie, militanze, frequentazioni, Giancarla Codrignani nel numero di maggio non solo pone la domanda sulla ormai riconosciuta abnorme frammentazione del “movimento delle donne”, ma esamina brevemente quanto è accaduto ad un asse di questo movimento che è l’UDI. In un passaggio dice che abbiamo confuso l’indipendenza con lo scioglimento, nel lontano 1983, ed è una delle verità. Sembra farlo risalire (tanto per cambiare) ad una sottesa compiacenza del PCI... NO. La scelta fu di un gruppo dirigente di donne forti e sperimentate che non resse l’urto del femminismo e pensò che la libertà e l’incidenza delle donne potesse diventare (o rimanere) potente senza radici, senza fare i conti con le istituzioni, senza nemmeno l’esame profondo di come già l’UDI fosse (pur restando una organizzazione verticale) cambiata nella contaminazione con il femminismo stesso nelle sedi e nelle realtà soprattutto delle grandi città. Si reggeva, e come, la difficile e splendida ‘storia dell’autonomia dell’UDI’.
Si coniò come forma fondamentale dell’associazione lo strumento della assemblea autoconvocata ormai in netta decadenza non solo nel movimento studentesco ma anche nel movimento delle donne. ‘Leader’ e gruppi dirigenti non esistevano, non avevano i passaggi del consenso e delle forme diverse dell’agire democratico. Nei fatti c’era un gruppo dirigente ‘occulto’ che in realtà ‘custodiva’ l’intoccabilità delle scelte dell’82.
Comunque sparirono i diritti, i pensieri e le esperienze di oltre 100mila iscritte e soprattutto sparirono le occasioni proprie delle assemblee, dell’analisi della realtà civile, sociale e culturale delle donne e la ricerca delle strade dell’agire politico per modificarla. Cosa che solo un’organizzazione politica può fare. La Libreria delle donne di Milano ogni tanto lanciava un suo manifesto autorevole e affascinante che aveva come perno il comportamento, il pensiero per singole donne, individualmente colte a prescindere dalla realtà sociale.
In genere questo e altri gruppi esprimevano la ricchezza e la forza nella relazione tra donne con la realtà dell’esplodere del lesbismo finalmente alla luce. L’arena era il simbolico.
I problemi della rappresentanza interni ed esterni furono azzerati: ‘nessuna donna poteva rappresentare un’altra donna’. Si abolì naturalmente e giustamente il tesseramento. Per fortuna ci restò l’impegno e la costruzione di un archivio (prezioso), ma con un archivio non si costruisce una politica, un orizzonte, un futuro. Di quella scelta non si è mai potuto fino in fondo parlare. Ogni richiamo era, è, taciuto e cancellato come coda di una dipendenza ai partiti della sinistra. Intanto, con le P.O, si sono rovesciati i pesi: nelle istituzioni si elaborava e attuava politica e rappresentanza mentre il ‘movimento’ era fuori. Questo non vuol dire che il concetto, ed anche i percorsi delle Pari Opportunità, non abbiano una valenza importante e una giustificazione. Nello scioglimento o nel ricomporsi dei partiti presenze e pratiche preziose interne di donne scomparvero finché iniziarono i governi senza storia, senza storie di donne.
E siamo alle escort.
Non si tenne conto che il cammino e la pratica di autonomia di pensiero e di pratiche nell’UDI era ormai radicato fortemente e si trattava di darle semmai una cornice di sviluppo ulteriore con una ricchezza di forme e di rapporti e con una organizzazione in grado di costruire conoscenza e strategie per gli obiettivi e i collegamenti capaci di assemblare una forza, un legame con i centri antiviolenza e con le mille forme di aggregazione femminile e di guardare al Parlamento, ai Consigli comunali, alle istituzioni culturali come interlocutori ineludibili dei progetti, delle idee, dei ‘modelli’.
Nonostante tutto, la situazione di cui parla Giancarla mentre ci pone il problema della quasi invisibilità politica del movimento delle donne, ci sottolinea l’enorme ricchezza della presenza femminile nel campo culturale e sociale e anche politico con miriadi di forme organizzate.
L’UDI nel ricostruirsi nel 2003 ha avuto un tema forte: ‘Impariamo a dire noi dopo aver imparato a dire io’. A me sembra però che essa è oggi, stretta nel ‘complesso’ di dover dimostrare di non essere di sinistra, di non essere istituzionale, di essere autonoma e separatista.
É tempo di congresso per l’UDI: si può, aprendo a tutto il mondo delle donne che ci sta, aprire un grande dibattito su che cosa e come vogliamo e dobbiamo essere come soggetto politico fondante del modo d’essere di una democrazia “paritaria”?
Tantissime donne - sindacaliste, lavoratrici, intellettuali, insegnanti, giornaliste, attrici, scrittrici, registe, ricercatrici, scienziate - possono oggi essere interessate a costruire per le donne una nuova forma di soggettività politica autonoma?
Esse sono una ricchezza sempre meno invisibile che si evidenzia ‘persino’ nella politica. (Vedi la potenza delle parole di Rosi Bindi, il protagonismo di singole deputate e giornaliste. Vedi la forza assunta dal termine ‘dignità femminile’).
Forti anche dei legami, dei rapporti che con la Campagna del 50E50 e della Staffetta contro il Femminicidio abbiamo costruito, possiamo costruire una UDI come un centro che si irradia e si collega con i nuovi mezzi tecnici (bella la novità della operazione ‘womenpedia’!) cambiando quello che oggi mi appare una forma di tesseramento pesante e accentrato e che peraltro non ha regole di rappresentanza. C’è di fronte a noi un passo essenziale che riguarda direttamente il concetto di democrazia paritaria e la libertà, che è il cambiamento radicale della legge elettorale che oggi toglie la libertà di scegliere e dare significato al concetto di rappresentanza e di genere. Noi abbiamo con giusta scelta presentato una legge in merito e di cui non abbiamo quasi più parlato. (Come facemmo nell’82 con la legge contro la violenza sessuale...). 50E50 non può restare solo una cornice. Oggi è il tempo, di fronte e dentro il Parlamento e nelle Regioni, di essere protagoniste doppiamente interessate ad intervenire per non subire nuove elezioni dove siamo merce da scegliere e non protagoniste del nuovo esercizio di libertà, di parità nell’esercizio del potere pubblico e di una nuova cultura di donne e uomini senza violenza, senza razzismi e omofobie, guardando non solo intorno a noi ma al mondo che ora è diventato uno e ha dentro, centrale, il problema della concreta libertà femminile.
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