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Dare voce alle scelte

Dare voce alle scelte

Speciale 60 anni voto alle donne - "La consapevolezza e la determinazione del mio essere cittadina"

Giovanna De Simone Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2006

Quando votai per la prima volta mi pare fosse il 1990, non mi ricordo neanche per che occasione fosse, né tantomeno per che cosa votai. Mi bastava avere l’ebbrezza di quella cartolina tra le mani, che era arrivata a me, proprio al mio nome e cognome, io che avevo sempre ricevuto solo cartoline e lettere profumate nella buchetta marrone dei miei genitori.
La portai anche a scuola, la cartolina elettorale, prima tra le mie amiche a ricevere il diritto di parola nelle questioni importanti. "E allora che voti? Chi voti? Cos’è che scrivi? Che cosa hai deciso?". Non ci pensai proprio quando salii i gradini della mia vecchia scuola elementare, mi scordai di colpo anche di tutto quello che avevo letto e sentito nei giorni precedenti, indossai gli occhiali da vista per sembrare ancora più matura e consegnai tremante la carta d’identità nuova di stampa. Entrai nella cabina sorridendo dentro di me, respirai piano, e diedi al mio segno la possibilità di parlare.
Quando penso che questo anniversario è il passaggio dal silenzio alla voce, quando penso che fino a 60 anni fa alle nonnine che vedo al mercato non gli veniva chiesto che cosa pensavano, che cosa volevano decidere, mi viene da pensare a mia nonna Florinda, vestita coi panni della seppellita in casa, che va per la prima volta alle urne a Maddaloni di Caserta, con la borsetta nuova, accompagnata da mio nonno che la sgrida davanti a tutti perché non si ricorda quello che gli aveva detto di votare. Chissà se lei quella giornata l’ha vissuta come una lotta, come una conquista, come un grido da far sentire più forte degli altri.
Forse quel giorno avrà voluto solo essere invisibile, più invisibile di quello che era stata fino a quel momento, e fuggire nel suo angolo della cucina a friggere.
Mi viene da pensare a mia madre vent’anni dopo a Parma, che andavamo a votare tutti assieme sulla Fiat 128 blu e c’era sempre il sole, e lei, la mia mamma, era sempre vestita bene e sorrideva a mio padre, dicendogli che avrebbe votato l’opposto, sempre l’opposto di quello che avrebbe fatto lui. Chissà come vedeva quel voto, quella voce data anche a lei, chissà se ha mai pensato ai secoli silenziosi, alle lotte, alle grida per potersi fare sentire.
Quando oggi vado a votare, firmo petizioni, autografo adesioni, lo faccio con la consapevolezza e la determinazione del mio essere cittadina, di donna, che gode di diritti e di libertà inviolabili. Il voto per me è un fatto logico, naturale, assimilato. Il non poterne godere, per di più in quanto donna, è un pensiero talmente lontano che non mi scuote minimamente. Quando penso alle donne ammutolite dal burqua mi vengono i brividi, e quando penso al silenzio di mia nonna mi sembra di riferirmi al passato remoto, alla preistoria, ai libri di scuola.
E invece era solo 60 anni fa. Prima io non avevo pensiero, non avevo voce, non avevo scelte. Ero solo corpo. Ero solo bella brutta giovane vecchia madre nonna moglie viva morta. Rabbrividisco ancora, meno male, meno male che sono nata adesso, penso. Poi accendo la TV sul mio programma preferito e spengo l’audio per non ascoltare tutta la pubblicità che lo condisce, e le immagini mi colpiscono come un pugno in bocca.
Ci sono donne semivestite che accarezzano languide un cuscino per fare la pubblicità ai materassi, un uomo in giacca e cravatta presenta il nuovo modello di un automobile ad una conferenza di soli uomini, e sullo sfondo corrono le diapositive giganti di fondoschiena femminili inguainati in pantaloncini stretch e perizomi che si muovono al ritmo di musica.
Abbasso un poco lo sguardo a contemplare il divano blu etnico e mi chiedo piano dove sia finita adesso la mia voce, dove sia andata la nostra croce, su quella scheda elettorale.

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