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Dallo stupore alla rabbia...

Dallo stupore alla rabbia...

Una Malga, una famiglia che ha deciso di " viverla" e di farne partecipi gli altri rendendola Malga Didattica, un sistema economico che rischia di affossare ogni scelta di "decrescita" migliorativa

Giovedi, 04/08/2016 -
Ho già scritto di Sonia e Luca e della loro Malga didattica sul cartaceo di ottobre 2015.

Oggi dopo aver passato più tempo con loro, dopo averli visti lavorare (o forse è più giusto il vecchio “faticare”, dopo aver percepito quello che riescono a trasmettere ai bambini che ospitano e soprattutto dopo aver condiviso con loro i momenti che scandiscono il tempo in Malga sento il bisogno di parlarne ancora.

Giorno dopo giorno sono passata dalla meraviglia alla rabbia e vi spiego il perché: credo sia assolutamente ingiusto che per tenere vive delle radici e una qualità alimentare che tutti dovrebbero conoscere ci siano persone che nel 2016 siano obbligate ad essere schiave del proprio lavoro. Per schiavitù intendo dover lavorare 7 giorni su 7, dall’alba a notte, in tutte le condizioni fisiche. Per schiavitù intendo non poter essere certi di farcela a coprire gli impegni economici perché la burocrazia e le leggi ti schiacciano. Per schiavitù intendo quelle catene sottili che ti fanno tener duro fino a quando il corpo ce la farà, mentre basterebbe poter assumere qualcuno per trasformare le catene in altri posti di lavoro.

Tutto questo in nome di che cosa?

Della libertà! E questo controsenso è la cosa più sfacciatamente crudele di questa storia e di tutte le storie simili a questa che ci sono in agricoltura, in artigianato, in arte, in tutti quei mestieri che vogliono passare un messaggio che non sia omologato al sistema.

Libertà di rispettare la terra.

Libertà di rispettare gli animali.

Libertà di portare avanti quei principi che nel nostro mondo del profitto sembrano diventati cose per poco furbi.

Produrre latte sano e formaggio di ottima qualità ad esempio dà molto meno guadagno che procurarselo di industria e spacciarlo per prodotto di malga…

Sonia e Luca lo insegnano ai bambini il rispetto per il cibo facendoli camminare sul sentiero di produzione che dalla terra arriva in tavola.

Insegnare vuol dire faticare il doppio, ma questo permette che resti traccia nel futuro di questa filiera alimentare genuina. Filiera che profuma di erba ma puzza anche di letame, accende il gusto di piacere ma sala il corpo di sudore, dà la gioia di seguire lo scorrere delle stagioni e delle ore ma la spezza privandoti del tempo “personale”. Poi c’è il non riconoscimento della fatica e della professionalità da parte di chi potrebbe magari agevolare le cose, la presunzione di poter dare giudizi e l’arroganza di decisioni prese senza conoscere le situazioni una per una.

Questo mi fa talmente arrabbiare! Credo ci sia un assoluto bisogno di tenere vive certe possibilità di decrescita che rimportino l’uomo ad ascoltare quello che

più non sente, lo aiuterebbero a ritornare umano. E credo che certe scelte di vita in questa direzione vadano sostenute con tutti i mezzi possibili perché diventino virali.

Sia in campagna che in città, sia in montagna che al mare. Se scelte di vita “altre” come quella di Sonia e Luca vengono fermate da meccanismi economici messi in essere senza pensare al valore aggiunto che quelle scelte danno ai prodotti, se non si trovano scappatoie per aiutare chi vuole continuare il proprio mestiere alla “maniera” antica ( e questo non vuole assolutamente dire rifiutare il presente e i mezzi a disposizione per attuare al meglio il proprio lavoro) allora si permette al mondo di far spegnere goccia a goccia nuove possibilità di futuro per tante persone.

Uno stagista al quale qualcuno ha chiesto perché ha scelto questa strada faticosa e difficile ha risposto: “Con la terra almeno si mangia” Sarebbe bello riuscire a far sì che questa certezza possa restargli senza naufragare nella cecità del presente che fa mangiare “altri” sul lavoro di chi la terra la cura.

Passano in una stagione estiva circa 120 bambini in Malga Fossa di Sarone, alla fine della settimana di soggiorno tanti di loro si stupiscono per essere “sopravvissuti” tanti giorni senza il mondo virtuale. Al posto di schiacciare tasti hanno cantato, parlato, fatto il formaggio, spalato letame, preparato le verdure, gli gnocchi, la pasta per loro e per altri visitatori. Hanno imparato la “cura” quella cosa che il Piccolo Principe spiega così bene: … Addio disse la Volpe “Ecco il mio segreto. E’ molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale e’ invisibile agli occhi”.

“L’essenziale e’ invisibile agli occhi”, ripete’ il piccolo principe, per ricordarselo.

“E’ il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa cosi’ importante”.

“E’ il tempo che ho perduto per la mia rosa…” sussurro’ il piccolo principe per ricordarselo.

“Gli uomini hanno dimenticato questa verita’. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa…”

“Io sono responsabile della mia rosa…” ripete’ il piccolo principe per ricordarselo.

[..]

“Da te, gli uomini”, disse il piccolo principe, “coltivano cinquemila rose nello stesso giardino…” e non trovano quello che cercano…”

“Non lo trovano”, risposi.

“E tuttavia quello che cercano potrebbe essere trovato in una sola rosa o in un po’ d’acqua…”

“Certo”, risposi.

E il piccolo principe soggiunse:

“Ma gli occhi sono ciechi. Bisogna cercare col cuore”

Il Piccolo Principe



Antonella Iaschi

La fotografia è gentilmente concessa da Villiam Covasso

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