Viaggio in Russia/3 - Terza ed ultima tappa del nostro viaggio in Russia accompagnate da Cristina Carpinelli *
Bartolini Tiziana Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2006
"Il processo di aggiustamento strutturale dell’economia e di deregulation del mercato del lavoro ha danneggiato in modo particolare le donne. Ad esempio, da tempo le Ong femminili avevano denunciato la pressione che la progressiva alterazione del mondo del lavoro in Russia esercitava sulle donne: i processi di privatizzazione spingevano in direzione di un’industria monostrutturata e verso un’organizzazione del lavoro impostata su tre rigidi turni, di cui uno notturno. L’impossibilità di combinare tempi di lavoro e tempi di famiglia, ma soprattutto il divieto di svolgere il lavoro notturno per quelle donne con figli di età inferiore ai sei anni, costringevano quest’ultime a scegliere l’unica soluzione possibile: il licenziamento. Il veto sul lavoro notturno sancito dal codice del lavoro del 1995 che, in condizioni di crescita e di espansione del mercato del lavoro, rappresenta un giusto principio di tutela, si era in realtà ritorto contro le donne (circa il 70% della manodopera turnista), poiché le escludeva da una grande fetta del mercato del lavoro, in un momento in cui in una famiglia uno stipendio medio non era sufficiente a mantenere due individui al livello minimo di sussistenza. Con la revisione del codice del lavoro del 2002 è di nuovo introdotto il lavoro notturno per le donne, esteso anche a quelle incinte. Una scelta certamente triste ai nostri occhi, ma non per la maggioranza delle donne russe che, a causa dei nuovi assetti organizzativi delle industrie, rischiavano di essere estromesse in massa dal mercato del lavoro”. Questa la premessa da cui parte l’analisi di Cristina Carpinelli.
Ma come è cambiato il mercato del lavoro in Russia?
Se l’industria leggera e quella manifatturiera, dove numerose sono le maestranze femminili, non sono state particolarmente colpite dai processi di deindustrializzazione e di riconversione produttiva, le industrie un tempo privilegiate, come quella pesante e quella militare, dominate da risorse di lavoro maschili, hanno, al contrario, subito un grave tracollo. Ciò ha causato due ordini di fattori: 1) gli uomini hanno teso a rimpiazzare le donne in quei settori o rami della produzione a forte predominanza femminile e che non sono stati penalizzati dal nuovo corso economico; 2) le donne occupate nei settori prevalentemente maschili del complesso militare-industriale (aviazione, difesa, ecc.) sono state le prime ad essere licenziate, poiché occupavano posizioni marginali che, per effetto della modifica della domanda sul mercato del lavoro, non erano più necessarie. L’espulsione delle donne dal mercato del lavoro ha prodotto un mutamento nella struttura delle donne adulte non occupate, con redditi al di sotto del minimo di sussistenza: se negli anni Ottanta erano le donne in maternità o impegnate nella cura dei figli a rappresentare la quota di popolazione femminile più povera, ora essa è costituita da donne disoccupate o temporaneamente senza un lavoro.
E’ vero che il tasso femminile di disoccupazione nascosta è molto alto?
Prima del 1998, l’inasprimento della politica monetaria aveva contratto la domanda aggregata, inibendo il mercato interno e, di conseguenza, gli investimenti in nuovi beni e servizi. Questa politica di stabilizzazione se da un lato aveva fatto diminuire i tassi inflativi, dall’altro aveva bloccato la crescita e la creazione di nuovi posti di lavoro alternativi a quelli che venivano nel frattempo eliminati con il piano di chiusura delle imprese statali. Poiché non era stato contemporaneamente introdotto un sistema di protezione sociale per coloro che dovevano abbandonare le imprese e i settori in declino, molti lavoratori, in attesa che le fabbriche fossero definitivamente smantellate, avevano preferito mantenere il posto di lavoro anche a salario zero piuttosto che entrare nel “pool” dei disoccupati manifesti. L’aggiustamento strutturale ha prodotto la flessibilità verso il basso dei salari e la comparsa di un numeroso esercito di disoccupati nascosti - di cui più del 50% è costituito da donne - che dal punto di vista della capacità economica non si discosta molto dai disoccupati manifesti, dato che i livelli minimi salariali sono quasi pari ai sussidi di disoccupazione. Molte lavoratrici non sono espulse dalla fabbrica, poiché i loro salari sono così insignificanti da non indurre i datori di lavoro ad intraprendere scelte di razionalizzazione della produzione o d’investimento, allo scopo di “risparmiare” sulla manodopera. In un clima del genere, non c’è da stupirsi se anche la prostituzione è diventata per molte donne una vera e propria occupazione a tempo pieno o parziale. Non solo una ristretta minoranza, ma anche molte casalinghe e studentesse sono disponibili a prendere in considerazione questo tipo di mercato. E’ impossibile valutare il reddito proveniente da questo settore dove fioriscono la prostituzione criminale, sotto il controllo delle organizzazioni illegali, la prostituzione nazionale, quella esercitata all’estero (che comunque produce un ritorno di valuta straniera), ma anche una prostituzione “domestica” che serve per arrotondare le entrate o per garantirsi alcuni beni di consumo. Chiuderei con un’osservazione fatta da Marina Piazza - che condivido - secondo cui “Se la transizione della Russia al libero mercato segna il passaggio ‘dal consumo senza merci alle merci senza consumo’ verrebbe da dire che i corpi femminili fanno eccezione. L’espulsione dal mercato del lavoro e la pressione di una povertà sempre più pesante e con sempre meno prospettive di uscita per le donne, ha trovato un incastro perverso con un’altra modalità di fuoriuscita dalla miseria, quella della prostituzione, che ha messo a mercato con profitto ciò che dal mercato è stato espulso come forza lavoro ma recuperato come merce”.
Qual è la situazione attuale in relazione alle discriminazioni di genere nel mondo del lavoro?
Durante la transizione, l’occupazione femminile ha subito radicali cambiamenti con un’accentuazione dei casi di discriminazione diretta e indiretta: diminuzione dell’occupazione delle donne in età da lavoro, tendenza verso una crescita della segregazione orizzontale e verticale (concentrazione della manodopera femminile nei settori e nelle professioni meno retribuite e qualificate, accesso privilegiato per gli uomini ai lavori con mansioni e responsabilità superiori), tendenza verso un gap crescente tra i salari delle donne e quelli degli uomini, propensione alla disparità di trattamento nelle politiche di reclutamento e violazioni nel campo dei diritti e delle tutele sociali, in modo particolare nel settore privato. Esistono, ad esempio, prove documentate che i datori di lavoro delle imprese private sono reticenti ad accordare i congedi parentali. Negli anni Novanta, in Russia, più di due terzi delle donne con diplomi d’istruzione superiore sono tornate al lavoro prima di aver concluso il loro periodo obbligatorio di assenza per maternità, per non perdere il posto. La transizione ha, inoltre, reso più visibile la vulnerabilità delle donne russe, favorendo forme di corruzione e di sfruttamento sessuale. Sono in aumento, ad esempio, i casi di molestia sessuale nei confronti delle donne, quando questi sono legati alla possibilità di ottenere o mantenere un lavoro. Vi sono, infine, discriminazioni maggiormente legate al contesto russo. Il mercato del lavoro, in Russia, si sta sempre più orientando verso la concentrazione di un sesso o dell’altro in specifiche industrie e settori dell’economia, in correlazione ai livelli salariali retributivi condizionati dai nuovi orientamenti del mercato. Laddove i salari sono in netta crescita vi è la tendenza a sostituire le donne con gli uomini. Soprattutto in quei rami utili alla new economy, come quello bancario e assicurativo o quello relativo alle tecnologie dell’informazione e comunicazione. Laddove, al contrario, vi è una netta tendenza a corrispondere bassi salari, come nella sfera dei servizi, si favorisce la concentrazione di manodopera femminile.
Quanto ha influito il crollo del sistema di welfare sulla vita delle donne russe?
Il crollo del sistema di welfare ha colpito doppiamente le donne: sia in qualità di maggiori operatrici del Settore sia in qualità di maggiori fruitrici. Durante la transizione sono stati decimati i posti di lavoro di medici e insegnanti che nel passato sovietico erano diventate professioni quasi femminili. Questo crollo ha, inoltre, influito sulla vita delle donne russe, poiché il processo di aggiustamento strutturale ha prodotto una separazione tra il sistema di welfare e la fabbrica. Bisogna tenere presente che la fabbrica in Russia non costituisce solamente un luogo di produzione, essa costituisce anche un sistema sociale relativamente integrato, attraverso gli spacci interni, la rete di dispensari, di scuole, di asili per bambini e di campeggi, gli alloggi per i lavoratori. Quello che ancora rimane di legame tra fabbriche e protezione sociale assume oggi delle importanti implicazioni in un contesto economico in cui, con la chiusura delle fabbriche, molti nidi aziendali sono scomparsi. Alcuni di questi sono stati privatizzati, ponendoli al di fuori delle possibilità finanziarie di molte famiglie, con il risultato che le donne sono state spinte di nuovo dentro le mura domestiche.
* Esperta della società russa e della transizione verso un nuovo sistema politico ed economico e autrice del libro “Donne e povertà nella Russia di El’cin” (ed Franco Angeli)
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