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Dalle donne la forza delle donne!

Dalle donne la forza delle donne!

Io sto con Lucia - Riflessioni dell’UDI di Pesaro dopo la sentenza della Corte d’Appello per la violenza subita da Lucia Annibali. “Sul banco degli imputati non si era mai seduto né era stato mai nominato il vero responsabile della violenza: la cul

Redazione Venerdi, 03/04/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2015

Quando il 25 novembre scorso, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, è stata comunicata la data del Processo d’Appello, abbiamo chiamato immediatamente Lucia Annibali per dirle che saremmo state in Ancona, come a Pesaro, al suo fianco. Queste nostre ultime vicende hanno inizio con l’aggressione a Lucia il 16 aprile 2013, avvenuta nella sua casa di Pesaro. Dal primo presidio fatto davanti al tribunale di Pesaro (30 aprile 2013) eravamo sicure di essere di fronte all’ennesimo caso di Femminicidio, anche perché Lucia ai suoi primi soccorritori aveva fatto il nome del mandante. Non si trattava di semplice aggressione per furto, ma la ragione risiedeva nella relazione con L.V., finita per volontà di Lucia. L’uso dell’acido ci ha rimandato a pratiche di paesi lontani dalla nostra cultura occidentale, ma ha confermato la stessa natura della violenza, la volontà lucida di segnare il corpo delle donne che si sottraggono al controllo maschile. Lo abbiamo scritto in tanti documenti e volantini distribuiti nelle piazze, ribadito con la “Staffetta delle donne contro la violenza” del 2009 e in occasione dei “25 novembre”. Ma nel corpo martoriato di Lucia abbiamo colto tutta la gravità del gesto e questo ci ha spiazzate. Ed è stata proprio Lucia ad aprirci lo spiraglio per continuare una battaglia che altrimenti avrebbe potuto segnare una sconfitta delle donne. Abbiamo quindi unito la nostra forza che era lì rappresentata dai nostri corpi e dalle nostre parole politiche a quella di Lucia che per prima l’aveva esercitata trasformando l’azione violenta dal solito gioco di “vittima-carnefice” in un’azione di forza con la denuncia del colpevole e con l’esibizione del suo volto devastato dall’acido.



Ne abbiamo parlato molto all’UDI e abbiamo distinto il fronte strettamente personale connotato da aspetti propriamente emozionali come: solidarietà, sostegno, affetto, comprensione del dolore, ma anche sdegno e rabbia. Ognuna si è sentita in questo madre, sorella, figlia con un sentire empatico chiaramente espresso. Siamo partite da qui, ovvero dai corpi, i nostri e quelli delle altre, li abbiamo visti, confrontati, non ci è mai sfuggito di mente che parlare del corpo di Lucia significasse parlare del nostro corpo, vissuto in uno spazio e in un tempo determinato.

I presidi dell’UDI hanno messo in moto qualcosa che, all’inizio, non era previsto; hanno dato vita a uno spazio di libertà inedita in cui è stato possibile esercitare, in modo altrettanto inedito, un tipo di forza che, unendosi a quella personale-soggettiva di Lucia, ci ha consentito di riuscire a pensare e scrivere. Alla fine “io sto con Lucia” è stato il segno con cui abbiamo voluto farci riconoscere. La forza agìta ha permesso a tutte di sentirsi più forti.



Dal fronte collettivo, inteso come bisogno di un ambito in cui pensarci e di uno spazio simbolico di rappresentazione, siamo pervenute alla constatazione che spesso le donne nella loro azione politica sono più prese dalle pratiche che dalla ricerca del senso della costruzione della propria rappresentazione collettiva. Qualcuna di noi si è chiesta se ne valesse la pena, se cioè la nostra presenza in Tribunale portasse valore aggiunto. Collettivo per noi ha significato costruire una attenta azione preceduta da un confronto tra noi franco e profondo che ha rafforzato la convinzione delle motivazioni e delle parole che tutte eravamo autorizzate a usare con un senso di libertà e misura, stare con le altre donne dell’UDI a parlare, ricercare, discutere e prepararsi per essere sempre presenti alle udienze in tribunale, ci ha permesso di avere chiaro che cosa davvero significhi condivisione. La capacità di cogliere l’altra è stata la pratica, faticosa a volte, ma necessaria per costruire un’immagine collettiva efficace. La mediazione tra noi ha smussato gli spigoli che ognuna si porta dentro, con rigore e verità abbiamo cercato di decostruire lo stereotipo che spesso emerge nel parlare di femminicidio.



Dopo la sentenza della Corte d’Appello del 22-23 gennaio 2015 siamo uscite dal tribunale con la sensazione che non tutti i conti tornassero, e non tanto per le pene comminate, quanto per la consapevolezza che sul banco degli imputati non si era mai seduto né era stato mai nominato il vero responsabile della violenza: la cultura patriarcale. Finché i processi non terranno conto di questo nessuna pena sarà misurabile o sufficiente. Abbiamo bisogno di una giustizia che sappia nominare la specificità della violenza di genere e di un apparato istituzionale preparato ad individuarla, giudicarla e codificarla.

Continueremo a essere vicine a Lucia anche per il processo in Cassazione che si terrà a Roma fra circa un anno.



UDI di Pesaro









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