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Dall’autorità all’autorevolezza

Dall’autorità all’autorevolezza

I padri, oggi / 2 - Le vecchie imposizioni lasciano il posto al dialogo e a una nuova disciplina fondata sul rispetto

Emanuela Irace Domenica, 27/05/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2012

“Il primo confronto con mio figlio l’ho avuto a 14 mesi, quando una sera decise di non farsi addormentare. Mia moglie era stremata, era così tenace quel pianto, Eugenio stava provando la sua forza. Entrai in camera sua e per più di mezz’ora gli sussurrai una ninna nanna. Non lo presi in braccio né lo portai nel lettone e alla fine lui si addormentò. Mi ero opposto al suo pianto, ero stato fermo e gli avevo trasmesso la mia autorità”. In psicologia si dice “contenere”, quel modo di governare la debolezza senza manipolare. Alessandro Politi è un padre fermo, autorevole e autoritario. Cinquant’anni, analista politico con il gusto dell’arte, lavora a quegli impianti geopolitici che costruiscono la sicurezza degli stati. Ha un figlio di dieci anni e la consapevolezza di quanto sia difficile il ruolo di educatore. “L’autorevolezza è un materiale composito che ha bisogno di tante componenti. La capacità di comando fa parte di queste. Comandare significa saper far rispettare le regole. E un figlio deve capire subito che a casa sua è un principe e non un re. Sono convinto che per educare bisogna anche essere costrittivi. Non sempre le cose che servono piacciono ai bambini”. Attenzione per le regole e lealtà nello scambio, Alessandro è il primo ad osservare i divieti che impone al figlio. Una questione di coerenza e una abitudine alla vita per la quale servono anche scapaccioni. “Ne ho ricevuti da mio padre e ne ho dati, oggi non servono più, basta uno sguardo o una sgridata. C’è una base di empatia con mio figlio che ho costruito negli anni. Anche attraverso la riscoperta della mia fanciullezza. Quando si è padri si scoprono tante cose ma soprattutto si ha l’opportunità di riscrivere la propria storia di figlio. Con una bambina sarebbe stato diverso. I maschi devono essere accolti dal proprio padre, le bambine riconosciute”. Registri diversi legano maschile e femminile. La seduzione femminile, evidentissima nel rapporto col padre, segue nel maschio un percorso diverso. Fatto di giochi e sfide intellettuali. Una relazione centrata sulla lealtà. “Il rispetto della parola data è fondamentale, così come la trasparenza, non bisogna deviare con scuse che possono confondere il bambino, se non voglio comprargli un giocattolo glielo dico direttamente senza raccontare balle. Noi maschi siamo meno complessi. Anche le nevrosi che si hanno col padre sono più esplicite, ovvie, rivelabili. Con la madre è tutto più sottile, sotto traccia, non detto. I maschi vivono per decenni senza aver capito la parte oscura della propria madre o senza volerla riconoscere, con un padre è il contrario. Il fantasma della madre è più persistente perché si nasconde nelle pieghe di una relazione forte fisicamente ma meno esplicita intellettualmente”. Presenze familiari che incidono fortemente sulla crescita del figlio, fantasmi di antenati che condizionano la centralità del ruolo maschile, è la tesi di Ottavio Rosati, psicanalista, allievo di Moreno - fondatore dello psicodramma, base della psicoterapia dei gruppi - che ha elaborato per la famiglia un approccio trans-generazionale, centrato sulla sindrome degli antenati. “Uno dei fattori della crisi della paternità è dovuto allo strisciante rifiuto della figura maschile nell’inconscio della donna. È la madre che fa il padre, consentendo col suo comportamento, nel bene o nel male, l’avvicinamento del figlio alla figura paterna. Spesso, nel passato di famiglie problematiche, ci sono i fantasmi degli antenati: segreti non detti, abusi sessuali, furti, omicidi, violenze che inconsciamente pesano sul presente della coppia genitoriale. Il femminile ha sempre usato un sottopotere latente di manipolazione e influenza all’interno della famiglia. Spesso l’abuso di potere esercitato dalle madri a danno dei figli passa attraverso il discredito del padre, esautorato dal proprio ruolo per ragioni che a volte non hanno niente a che vedere con quell’uomo o quella donna ma che vengono dal passato”. È un’aria che si respira, una modalità di ragionamento e un senso di essere al mondo che investe la relazione paterna. Se per Ottavio Rosati è l’inconscio familiare a pesare sul futuro dei figli, per Lorenzo Hendel è il rispetto e la disciplina a formare gli adulti di domani. Documentarista e regista, viaggiatore e autore Rai, Lorenzo, 60 anni, ha percorso tutte le fasi della paternità - con tre figlie femmine tra i 12 e i 20 anni, avute da altrettante mogli - e un senso poetico che incanta sullo schermo, e stupisce dietro ai fornelli, quando inventa ricette per tutti i giorni o fa le marmellate. “Per l’accudimento abbiamo avuto ruoli intercambiabili. Mi sono occupato di pannolini e bagnetti come le loro madri e ho aspettato con gioia il momento del biberon. Un’esperienza magica quella del primo nutrimento e poi delle pappine. Oggi cucino e faccio marmellate. All’inizio le mie figlie si stupivano che i padri dei loro compagni non avevano mai fatto una conserva. Ho spiegato loro che c’è un mondo là fuori orientato sulle convenzioni e sulla differenziazione dei saperi tra i sessi. Oggi sono orgogliose delle mie marmellate e dell’apprezzamento che ricevono dai loro amici”. Lorenzo è stato un “ragazzo padre” e tra un matrimonio e l’altro si è occupato a tempo pieno delle figlie, “anche un mese da soli durante le vacanze, oggi stanno da me per tre giorni alla settimana”. Il trucco, spiega, è responsabilizzare le più grandi e dividersi i compiti, una capacità organizzativa fondata sulla disciplina. “Ci sono metodi costrittivi che formano il carattere e insegnano l’autodisciplina. Con le mie figlie ricorrevo alla cintura dei pantaloni per legarle alla sedia, come si fa in macchina con quelle di sicurezza. Avevano due anni e a tavola era un continuo alzarsi, io invece volevo che rispettassero l’importanza del pranzo. È un rituale, come dormire ciascuno nel proprio letto. Anche camminare scalze è una cosa che non ho mai permesso, per igiene, per non ferirsi e per una forma di rispetto verso la parte più trascurata e nascosta del proprio corpo”. Un rapporto intercambiabile e a tutto tondo quello di Lorenzo, tranne che per il corpo. “Quando comprano vestiti si rivolgono alle madri, dicono che io non sono capace. Stessa cosa per la nudità, è qualcosa che adesso, che sono grandi, non riesco proprio a sostenere, né la mia né la loro, per me è un tabù”. Se baci e abbracci sono nella norma e rappresentano l’entrata in scena del corpo del padre per tutti, resta il pudore del mostrarsi nudi. “I paesi nordici hanno un diverso concetto del corpo - dice Ottavio Rosati - culturalmente sono abituati a mostrarsi nudi, anche in famiglia, la nudità fa parte del loro corredo abitudinario, in Italia no”. Una questione di pudore per Alessandro Politi, ma anche di approccio sessuofobico. “Oggi il corpo del maschio si è liberato. Non è più come ai tempi di mio padre. Una volta c’era la paura di accarezzare per timore che il figlio diventasse gay. E poi c’era un’estrema ritrosia e pudore ad entrare nella sfera intima, che doveva restare fuori dal rapporto, per essere scoperta autonomamente dal figlio quando arrivava il momento. Oggi mi pare tutto molto più fluido, ma da questo punto di vista ancora non so come mi comporterò, Eugenio ha solo 10 anni”.





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