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Dall’auto-narrazione alla scena: 'Io non sono di qui'

Dall’auto-narrazione alla scena: 'Io non sono di qui'

Lo spettacolo di Laura Fatini, dal 9 all'11 novembre al Teatro 2 di Roma, racconta le donne migranti nella rassegna romana Sguardi S-velati. Intervista alla regista.

Lunedi, 05/11/2012 - Scritto e diretto dalla giovane regista Laura Fatini lo spettacolo Io non sono di qui, nato dall’esperienza di un laboratorio di autonarrazione promosso dalla Nuova Accademia degli Arrischianti di Sarteano (Si), andrà in scena dal 9 all’11 Novembre al Teatro Due di Roma, all’interno della terza edizione della rassegna teatrale d’essai ‘Sguardi S-velati: punti di vista al femminile’, curata da Ambra Postiglione e Annalisa Siciliano. La manifestazione intende promuovere una convergenza tra esperienze diverse per cultura, età, rapporti sociali e familiari, ove la figura femminile non costituisce solo una ‘tematica’ quanto piuttosto un ‘punto di vista’, un’ottica a 360° per esplorare storie e sentimenti universali. Il laboratorio, cui hanno partecipato, con le loro storie, donne migranti che vivono nei piccoli paesini della provincia di Siena, costituiva una delle attività di ‘Migrant Women’, fra i vari eventi finanziati dal Fondo FEI (Fondo Europeo per l’Integrazione di cittadini di Paesi terzi), nei territori di Siena, Firenze e Grosseto, tra 2010 e 2011, e non prevedeva uno spettacolo finale. Invece le cose sono andate diversamente: ‘le storie che via via venivano raccontate erano molto affascinanti, esotiche e familiari allo stesso tempo - racconta la regista - e il modo di raccontarle, la passione e il calore che avevano nelle parole delle loro protagoniste erano così veri che ho pensato di tirarne fuori uno spettacolo, e di far parlare direttamente loro, sul palco”. In scena due delle partecipanti ai laboratori, Suse Oliveira e Annamaria Venturini, sono protagoniste insieme a tre attrici, Francesca Fenati, Maria Pina Ruiu e Flavia del Buono, nel dar voce a questi racconti, instaurando tra la donna e il viaggio un nuovo rapporto, in cui il viaggio dura una vita e, di per sé, può diventare più importante della mèta. Per info: www.arrischianti.it; http://teatrodueroma.wordpress.com/sguardi-s-velati.

Noidonne incontra Laura Fatini, autrice e regista dello spettacolo Io non sono di qui.



Come nasce il tuo interesse per le donne migranti e qual è il tuo percorso con loro?

Alcuni anni fa, in occasione della Festa della Toscana, che per tema aveva Europa, Europae, ho lavorato ad un progetto che si occupava di donne migranti: era un laboratorio di auto-narrazione, grazie al quale ho incontrato molte donne che si erano trasferite nella mia zona (provincia di Siena) per differenti motivi: lavoro, curiosità, necessità, amore. A loro piaceva raccontarsi e, superata la timidezza iniziale, è nato un bel gruppo che parlava di tutto, dalla famiglia, alla cucina, al lavoro e di come apparissero, ai loro occhi, l’Italia e gli italiani. Ho ripreso questo lavoro, con nuove donne, nel progetto Migrant Women, elaborato dall’associazione Il Grifo e il Leone- ilCAntinonearte Teatri di Montepulciano, del quale ha fatto parte anche la mia compagnia teatrale, finanziato dal Fondo FEI 2009. Il mio ruolo principale è stato quello di coordinatrice, stimolando il confronto su alcune tematiche che venivano proposte ad ogni incontro: uno spettacolo finale non era proprio previsto!



Raccontaci la tua esperienza nel laboratorio di auto-narrazione con le donne migranti: contenuti e significati. Perché hai scelto di far salire sul palco proprio quelle donne?

Non è facile raggiungere le migranti e farle partecipare a simili laboratori: per trovare il coraggio di lasciare la propria casa, talvolta la famiglia, il proprio Paese, molte chiudono i ricordi in fondo al cuore e li lasciano lì senza toccarli, per non ferirsi. Per questo, all’inizio, non sapendo la storia che ogni donna migrante ha alle spalle, propongo di portare oggetti che rappresentino i loro Paesi, e l’Italia, così da far scaturire i racconti e le emozioni da qualcosa di tangibile, a cui ritornare come appiglio, se prende il sopravvento la nostalgia, o la tristezza. Chiedo alle partecipanti di parlarmi prima dell’Italia, attraverso i sensi (i profumi che hanno scoperto, i sapori, i suoni…), poi arrivo ai Paesi di provenienza e infine alle loro storie: non le forzo a parlare di loro, ma aspetto che siano pronte ad aprirsi. Sono molto attenta a far sì che gli incontri si concludano con un sorriso. A questo laboratorio ha partecipato anche una migrante italiana in Francia, che mi mandava via e-mail i suoi contributi, e si manteneva in contatto con il gruppo tramite social network. Il gruppo che poi è confluito nello spettacolo era da subito pronto a parlare di esperienze dure, la morte dei genitori, la partenza, la difficoltà di integrarsi: l’idea di portarle sulla scena mi è venuta naturalmente, anche perché una di loro è stata ballerina, una clown e un’altra è musicista. Già di per sé una compagnia teatrale! Anche se non tutte sono sul palco durante lo spettacolo, ognuna è presente con la propria storia.



Parlaci del tuo spettacolo ‘Io non sono di qui’ e di come s'inserisce nella rassegna Sguardi S-velati, prodotto dalla Nuova Accademia degli Arrischianti di Sarteano.

Io non sono di qui è il racconto, in forma di monologhi intrecciati, di alcuni momenti della vita di queste donne, mescolato a dei possibili episodi della vita delle attrici che le affiancano. Ho la fortuna di lavorare con attrici che conosco molto bene, e che da subito si sono trovate a loro agio con le donne migranti: così, ho proposto loro di inserirsi nel gruppo, scrivendo per ognuna dei pezzi che in qualche modo le riguardassero. Naturalmente c’è anche molto della mia vita, e del mio rapporto di amore/odio con il viaggio. Tutto questo materiale ha preso forma mantenendo sempre come punto di riferimento la prospettiva femminile sul viaggiare, pensando al muoversi come un’opportunità, anche nel caso in cui lo spostamento derivi da un’esigenza improrogabile, la ricerca del lavoro, di una sistemazione migliore, la volontà di cambiare. Il viaggio, visto con gli occhi delle donne, mi si è rivelato non solo come movimento del corpo, ma anche, e soprattutto, come movimento dell’anima: abitante della sua casa o del mondo, la donna fa del viaggio la cifra della sua esistenza, ricerca nuove prospettive, abbandona il conosciuto per far posto al nuovo, accoglie differenti modi di pensare. La donna, che può fare del proprio corpo una casa, non trova nel mondo un unico luogo al quale appartenere, ma continua a portare con sé la propria valigia, fatta di affetti, sogni, debolezze e speranze: un viaggio che dura una vita, e che, da solo, diventa più importante della mèta.



La rassegna Sguardi S-velati propone una serie di spettacoli in cui la figura femminile non costituisce una “tematica” ma piuttosto un “punto di vista”: non un teatro retorico, fatto di donne o per le donne ma un teatro che, attraverso le donne - attrici, autrici, registe o protagoniste - passa al setaccio problematiche comuni e condivise per raccontarne un aspetto. In questo contesto, Io non sono di qui si inserisce perfettamente! Pensi che le donne oggi abbiano ancora conquiste da fare? Se sì quali? E cosa possono offrire come valore aggiunto a questa ricerca le donne migranti?

Dire che le donne abbiano ancora qualcosa da conquistare è poco. La parità di genere, tanto auspicata dei movimenti femministi, non è stata raggiunta, e non lo sarà finché si parlerà di quote rosa, quasi che la presenza femminile nei settori più importanti della politica, sociali, e dirigenziali in genere debba essere imposta. Le donne che arrivano al vertice (qualunque sia la montagna) si mascolinizzano, rinunciano alla famiglia, o fanno i salti mortali per conciliarla con le giuste aspirazioni lavorative. Eppure io vedo chiaramente come le donne siano il motore della società, siano istruite, curiose, dedite alle arti e alle scienze, e mantengano la caratteristica accoglienza (verso i compagni, i figli, e la società in generale) che le porta ad essere protagoniste silenziose della vita quotidiana. Le migranti aggiungono a queste caratteristiche la conoscenza di altri Paesi, costumi, religioni, modi di vivere: il viaggio che hanno fatto, qualunque sia stata la motivazione, le ha senza dubbio arricchite.



Tu nella vita ti sei mai sentita 'migrante'?

Io adoro viaggiare, ma come dico nella parte finale dello spettacolo, ad ogni spostamento, ho l’impressione che ‘l’anima perda le tracce del corpo, e fatichi a ritrovarlo, di porto in porto’. Questo leggero malessere, che mi fa sentire spaesata e mi fa pensare “io non sono di qui”, si dissolve dopo poco tempo, ma ne ho fatto tesoro per raccontare in questo spettacolo le emozioni di una donna che posa la sua valigia in un Paese straniero per abitarlo. Credo che possiamo sentirci migranti ogni volta che la nostra vita ha una svolta e il futuro è un’incognita: è una sensazione che spaventa, ma è l’unica che permette il cambiamento.



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Laura Fatini vive e lavora in Toscana. Si diploma in Filosofia Politica all’Università di Perugia, con una tesi sul teatro politico di Camus. A 17 anni conosce Carlo Pasquini, regista del Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano (Si) e diventa la sua assistente. Frequenta corsi e laboratori inerenti la pratica teatrale: scrittura teatrale con Ugo Chiti, danza con Grazia Galante e Giorgio Rossi, regia con Beppe de Tomasi, illuminotecnica con Salvatore Mancinelli. Parallelamente collabora con i giornalisti Angela Levi Bianchini e Guido Ceronetti, per il quale disegna le illustrazioni del libro ‘Ti saluto, mio secolo crudele’ (Einaudi, 2011). Un suo testo teatrale, Itaca, è stato pubblicato sulla rivista Cosmopolis (n.2- 2008). Collabora con la rivista francese on line BAT.

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