DALLA VIOLENZA SULLE DONNE AL DANNO INDIRETTO SUI BAMBINI
PRESENTATI ALL’UNIVERSITA’ DEGLI STUDI ‘ROMA TRE’ I PRIMI RISULTATI DEL PROGETTO EUROPEO 'VICTIMS', SULLA VIOLENZA DOMESTICA, NELL’AMBITO DEL PROGRAMMA DAPHNE III .
La violenza domestica ai danni delle donne non può non avere effetti dirompenti anche sui bambini, sui figli che assistono, assorbono, introiettano e rimangono profondamente coinvolti in tutto ciò che vivono fra le mura di casa. Così è nata, due anni fa, all’interno del Programma europeo Daphne III in collaborazione con la cattedra UNESCO, l’idea di una ricerca comparata dal titolo: "Il danno indiretto provocato sui bambini che hanno assistito alla violenza contro le loro madri. Studio dei processi di vittimizzazione del bambino e di re-vittimizzazione della madre a causa dell'esposizione del figlio alla violenza", i cui primi risultati sono stati presentati presso l’Università degli Studi Roma Tre, in concomitanza con la Giornata Mondiale contro la Violenza sulle Donne, indetta dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Alla presenza di studenti e giornalisti, è stato possibile ascoltare l’intero gruppo di ricerca italiano, coordinato dalla prof.ssa Sandra Chistolini, ordinario di Pedagogia generale e sociale, e composto dal prof. Roberto Cipriani e dalla prof.ssa Marina D’Amato, ordinari di Sociologia presso l’Università Roma Tre, dal prof. dott. Matteo Villanova, criminologo e neuropsichiatra infantile, e dalla dott.ssa Diana Pallotta, dottoranda di Roma Tre. Le Università partecipanti al progetto di ricerca sono quelle di: Nicosia- (Cipro-Unesco, Università Coordinatrice, responsabile prof. Mary Koutselini, Department of Education), Roma Tre (responsabile prof.ssa Sandra Chistolini), Oradea (Romania) e Presov (Slovacchia).
Il Programma europeo Daphne III ha lo scopo di proteggere le donne, i bambini e le bambine, contro ogni forma di violenza ed è impegnato a promuovere un alto livello di protezione della salute, del benessere e della coesione familiare e sociale. Fra le priorità di Daphne, la prima è quella relativa al contrasto della violenza commessa contro le donne, i bambini e le bambine nel contesto della famiglia, la seconda riguarda la raccolta di dati concernenti i diritti dell’infanzia e la descrizione delle legislazioni nazionali, considerando come punto di partenza la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia.
In tale contesto è nato il progetto ViCTIMS, all’interno del Programma Daphne III, consistente in primo luogo nella realizzazione di una ricerca, volta ad indagare il danno indiretto procurato ai bambini e alle bambine che hanno assistito alla violenza contro le loro madri e lo studio dei processi di vittimizzazione del bambino e di re-vittimizzazione della madre, derivato dalla violenza contro le donne, fisica e psicologica, attuata nella sfera domestica, e dall’esposizione del figlio alla violenza. Dopo aver esaminato quelle situazioni in cui i bambini e le bambine risultavano esposti alla violenza contro le madri, sono state evidenziati i casi in cui fossero riscontrabili carenze nella capacità predittiva e nella sensibilizzazione a tale problematica, anche da parte di gruppi di esperti, quali i professionisti, i funzionari delle istituzioni pubbliche e private, preposte all’intervento nel settore, finanche gli stessi genitori ed insegnanti.
Sono stati utilizzati, per la ricerca comparativa, gli stessi strumenti di rilevazione quantitativa e qualitativa nei quattro Paesi. I risultati qualitativi sono riferibili a tre ampie rilevazioni sul campo.
La prima rilevazione riguardava le numerose testimonianze raccolte in seguito a denunce formalizzate dai funzionari di Polizia e da altri Uffici pubblici e privati, fonti che hanno offerto documenti anonimi con finalità di ricerca. La seconda rilevazione concerneva le interviste individuali e in Focus Group rilasciate da donne-madri vittime di violenza domestica e divenute testimoni privilegiate della ricerca con la narrazione biografica della loro storia di vita (dalla quale è emersa la consapevolezza sul danno indiretto provocato nei figli presenti durante gli incidenti accaduti in casa) La terza rilevazione, infine, ha avuto come campione un numero cospicuo di minori, maschi e femmine, in età 9-11 anni: ai bambini sono stati applicati tre strumenti di analisi per la percezione di sé e delle dimensioni di socializzazione scolastica. All’insegnante di classe è stato rivolto un questionario per la trascrizione complessiva del comportamento del bambino in aula entro il tempo identificato come significativo. I bambini sono stati divisi in due grandi sottogruppi omogenei per età, classe frequentata, sesso: bambini scelti a caso e bambini esposti a violenza.
Il contatto diretto con le donne in parte conferma i dati internazionali e nazionali su: tipologia e ragioni della violenza, atto di denuncia, livello di tolleranza. Le variabili di status socio-demografico (età, istruzione, residenza, professione) spiegano la differenza di reazione delle donne. Nel 100% dei casi la donna-madre, inizialmente, sopporta la violenza per i figli e per difendere l’unità del modello patriarcale di famiglia. Prevale l’occultamento della violenza per ragioni socio-culturali.
Sono state sentite 100 madri italiane (le straniere sono state escluse dal campione perché collocate in situazioni troppo differenti nei diversi paesi), fra interviste e focus-group, da cui sono state selezionate 30 interviste, e 40 bambini vittime di situazioni di violenza domestica (segnalati ai ricercatori dalla Polizia e dai Centri Antiviolenza), e 40 bambini scelti a caso come gruppo di controllo. Nelle interviste, le donne hanno avuto modo di riflettere sul danno indiretto provocato ai figli. Il valore pedagogico della ricerca emerge dall’azione di indagine e di sensibilizzazione al rispetto dell’infanzia e alla necessità di sostenere i soggetti a rischio con materiali di sostegno per esperti, genitori, insegnanti. Il progetto infatti intendeva portare beneficio alle madri, ai genitori, ai bambini e alle bambine di 9-11 anni, ed agli alunni a rischio frequentanti la scuola primaria.
La forma indiretta del danno indagato riguardava, in particolare, l’identità e la percezione dei minori e la loro possibile tolleranza del comportamento di violenza, l’adozione di comportamenti di violenza verso gli altri, i risultati scolastici e la loro visione della madre e del suo modello di ruolo. Il danno indiretto è stato studiato dalla prospettiva esperienziale del figlio, secondo la percezione della madre che la narra, e dalla parte della madre che esprime con i suoi sentimenti, i suoi pensieri, le sue emozioni, la coscienza e gli atteggiamenti che derivano dall’esposizione dei bambini alla violenza. Le percezioni dei bambini sono state esaminate con strumenti di rilevazione usati nelle scuole elementari e medie, in particolare attraverso un questionario sull’autopercezione e sulla consapevolezza degli insegnanti.
“Si nota già dai primi risultati della ricerca - ha affermato il prof. Roberto Cipriani - una certa evasività nelle risposte da parte di soggetti che dovrebbero spiegare come stanno le cose e l’approccio prevalente è quello di negare, di non far sapere che esiste una situazione drammatica ma il turning point si ha quando la violenza raggiunge i figli, allora l’atteggiamento di silenzio comincia a sgretolarsi e la madre inizia a porsi delle domande. Fra le conseguenze possibili per i minori è quella che da grandi rinunceranno a formarsi una famiglia, pensando che potrebbe essere esposta a rischi analoghi”.
Dunque, quando la violenza arriva ai figli la madre rompe l’omertà e esce allo scoperto: dalla donna che parla emerge il danno indiretto sul figlio. Il segreto che unisce la madre al figlio, come una sorta di tessuto connettivo, è il ricordo della violenza. La donna vive l’ambivalenza di essere divisa tra la richiesta di aiuto ai servizi socio-educativi e la speranza che i figli potranno dimenticare. Tuttavia il danno recato ai bambini/ragazzi nei primi 15 anni di vita può essere tale da indurli a negare il desiderio di formare una famiglia e di avere una relazione di coppia per paura di ripetere il comportamento di cui sono stati vittime e testimoni.
“La consapevolezza delle mamme e la paura per la vita ed il benessere del figlio esiste in pressoché tutti i casi esaminati (97%, con diversità tra Nord e Sud) - ha affermato la prof.ssa Chistolini - ma la capacità di decodificare i danni della vittimizzazione è maggiore per le donne più istruite, inserite nel mondo del lavoro. D’altra parte esiste la paura della destrutturazione di situazioni esistenti e delle conseguenze possibili, legate alla denuncia (separazioni, allontanamento da casa, ecc.). Alcune di queste donne si ritengono responsabili, inadeguate, si attribuiscono la colpa dei fatti. Nei bambini esposti a violenza, il modello della madre è debole, talvolta vanno male a scuola, commettono atti di bullismo o adottano comportamenti aggressivi appresi in famiglia; le bambine sono in genere più assertive e cercano soluzioni, ma sono anche più esposte al rischio di mercificazione”.
La ricerca, che si è avvalsa della collaborazione di istituzioni come la Polizia di Stato ed i Carabinieri, di Associazioni governative e non governative, Scuole, Associazioni dei genitori e degli insegnanti ed altri Esperti operanti nella formazione e nel sostegno della popolazione a rischio, se da un lato intendeva sensibilizzare e far crescere la consapevolezza (anche attraverso la produzione di materiale transnazionale e differenziato, a seconda del contesto del paese partecipante) del danno indiretto procurato ai figli dalla esperienza di violenza domestica contro la madre, era altresì volta anche a prospettive di prevenzione, al riconoscimento dei fattori di rischio e dei segnali d’allarme, per limitare i danni presenti e futuri ai bambini vittime di violenza diretta o indiretta.
“Spesso non è facile – ha affermato il prof. Matteo Villanova – collegare nuclei di patologie con eventi più o meno eclatanti, ma gli operatori che lavorano con i bambini che hanno visto o subito violenza, devono imparare ad enucleare ciò che non va o che non è andato, imparare a decodificare i disegni dei bambini ed i loro comportamenti, farsi aiutare da persone con specifiche competenze: possono verificarsi disturbi di ogni genere, da quelli del linguaggio, all’iper-attività, al disturbo bipolare e molti altri; in adolescenza può esserci perdita di individuazione, d’identità, la figura paterna manca nel 70% dei casi, alcuni diventano autori di reati, anche a sfondo sessuale, i cosiddetti sex-offenders, oppure si affermano con il bullismo o, le ragazze, con l’iper-seduttività. Chi opera con i bambini e ragazzi con questi problemi si deve attrezzare”.
Cattedra Unesco sugli studi di Genere: “Gender Equality and Women's Empowerment”
L’Università di Roma Tre è partner dell’Università di Cipro e collabora agli studi di genere promossi dalla Cattedra Unesco “Gender Equality and Women's Empowerment”, istituita presso il polo accademico cipriota. La prima Cattedra Unesco a Cipro costituisce un centro di eccellenza per la produzione e la disseminazione della ricerca sulle questioni della parità e della presa di coscienza dei diritti delle donne nelle società contemporanee. Particolare attenzione è rivolta al dialogo creativo e al superamento di atteggiamenti di discriminazione negativa che contrastano la parità delle opportunità di crescita delle donne e che sono rilevabili nei contesti socio-economici, educativi e politici di più realtà territoriali.
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