Dalla giovanissima uccisa a quella usata: due tipi di potere distruttivo che celano un disturbo dissociativo e di personalità, che avvelena il sistema sociale di riferimento
Martedi, 02/11/2010 - Occorre parlarne, non tanto per giudicare le gesta degli esseri umani in preda a istinti tutt’altro che umani, quanto per non rischiare di assuefarsi alle violenze emergenti. Pur indignandoci, ormai non ci stupisce più tanto l’idea di una violenza consumata tra le mura “domestiche”, forse a causa della frequenza che caratterizza tali efferati episodi. Ci stupisce forse il collegamento tra la perdita del senso umano-etico della vita e ci sconvolge l’impotenza rispetto al male. Sull’omicidio e sul presunto concorso in omicidio di Sarah si deve fare ancora chiarezza, ma la fragilità di una bambina ci fa sentire maggiormente il problema della disparità tra il bene e il male. Il mondo che per Sarah era ancora bello diventa in un attimo irreversibilmente persecutorio. Un male che si serve con l’immagine emblematica del buio di una cantina –anche se poi sembra essere quello di una civile abitazione-, quasi a caratterizzare quanto la potenza degli istinti possa coincidere con il buio dell’anima, proprio come quella di un essere senza cuore. Chi ha ucciso Sarah ha smarrito il senso dell’Io, l’unica dimensione che ci differenzia da altre specie. Evitiamo paragoni con gli animali, perché ci sono cani impazienti di manifestare i propri istinti, che si ritirano dignitosamente rispetto al rifiuto di cagne non in calore o sterilizzate. Il cagnolino di Sarah aspettava immobile, dietro la porta della casa degli orrori, il ritorno della sua padroncina. Al contrario dell’uomo che perde il senso dell’Io, per diventare una macchina distruttiva, alcune specie animali, come il cane, si stanno invece umanizzando....
I riferiti sogni-incubi narrati dal presunto omicida “coprimi che ho tanto freddo” rappresentano ancora l’immagine-urlo della sua coscienza, che tenta di elevarsi dalla dimensione più bassa dell’abisso a quella di essere vivente.
Le donne, di fatto, sono ancora vittime e talora, carnefici, di una società deviante, nella quale uno dei valori dominanti è l’esercizio del potere sul corpo femminile con l’annientamento della stessa persona. Un annientamento che passa inevitabilmente dalla famiglia e dai “valori” che la società offre o impone ancora alle donne.
Come poi una giovane donna possa volere l’annientamento di un’altra è un mistero ancora più grande della violenza subita da parte di un uomo. È pur vero che anche tra donne, come in tutte le relazioni umane, si può provare odio, rivalità, una competizione esasperata, se manca un quadro affettivo di riferimento che porti una forza temperante, riequilibrante, come quella che dovrebbe sostenere un buon modello materno.
L’ipotesi più verosimile è come se al posto del pensiero e della parola subentrasse un’azione cieca, una volontà slegata dal cuore e dalla ragione. Quello del male è un volere disumano, che in questi ultimi tempi troppo spesso si è visto nei fatti di cronaca. Sarebbe più facile amare, ma è come se a certe persone mancasse la parola amore, il significato e il significante. C’è un precipizio verso l’abisso della mancanza del senso della vita, del senso dell’altro, dello spazio dell’altro, della parola e dei pensieri dell’altro. Al posto dell’Uomo –essere umano- che impersona il volto di tutti gli esseri umani è subentrato un vuoto profondo, colmato di azioni inconsulte, semplificate dalla logica del male, che attecchisce maggiormente dove le categorie difettano, dove la famiglia diventa il “crimine” o l’Inferno.
Il linguaggio semplificato dei media e di una certa politica ha creato una difficoltà crescente di elaborazione, di alfabetismo relazionale.
Troppo facile etichettare o giudicare, occorrerebbe forse iniziare a colmare i vuoti della miseria umana, spirituale, sociale. Recentemente, in un luogo pubblico, ho assistito -non in silenzio-, ad una scena di immotivata violenza psico-fisica di una madre su un bimbo di circa tre anni. In queste spiacevolissime occasioni ci si rende conto del grado crescente di analfabetismo sociale, e dei presupposti indispensabili per evitarne il conseguente impoverimento. Tale depauperamento è descritto molto bene da Eugenio Scalfari in un articolo del 31 ottobre su La repubblica: “ E’ stato messo in moto un vero e proprio processo di diseducazione di massa che dura da trent’anni avvalendosi delle moderne tecnologie della comunicazione e deturpando la mentalità delle persone e il funzionamento delle istituzioni.
Lo scandalo «bunga bunga» non è che l’ennesima conferma di quella pedagogia al rovescio”.
L’articolo continua sulla necessità di interrompere il percorso di una “rovinosa gestione governativa” per evitare “la rovina sociale e il degrado morale”.
La violenza che caratterizza un’azione delittuosa è un gesto anti-sociale che desta ancora molta indignazione per il fatto di impedire la vita e un futuro alla vittima. Sembrerebbe invece meno grave la violenza del potere, quella che attraverso una reiterazione, si serve di un’altra persona per trasformarla in merce di scambio o in oggetto di consumo, mentre sarebbe opportuno soffermarsi sui danni altrettanto gravi che tali abitudini possono causare sia alla persona, sia al sistema sociale. Scalfari recita: “Quello che sta accadendo lo dimostra e lo conferma: quest’uomo è gravemente ammalato, l’attrazione verso donne giovani e giovanissime è diventata una dipendenza che gli altera la mente e manda a pezzi i suoi freni inibitori”.
Il DSM-IV – Il Manuale per la Diagnosi Statistica dei Disturbi Mentali- in alcuni punti che descrivono il Disturbo Narcisistico di personalità recita: “1) Ha un senso grandioso di importanza (per es.,esagera risultati e talenti, si aspetta di essere notato come superiore senza un’adeguata motivazione)
… 4) richiede eccessiva ammirazione
5)ha la sensazione che tutto gli sia dovuto, cioè, la irragionevole aspettativa di trattamenti di favore o di soddisfazione immediata delle proprie aspettative
6)sfruttamento interpersonale, cioè si approfitta degli altri per i propri scopi”.
Più che sulla cura della persona affetta dal Disturbo Narcisistico di Personalità, noi donne dovremmo soffermarci sull’opportunità di tutelare i nostri diritti, come donne mature, capaci di intervenire costruttivamente, cioè di attivare la capacità dell’Io di restare centrato, in equilibrio, senza cadere negli incantesimi di modelli vuoti di significato.
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