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Dal pacifismo al 'matriottismo'

Dal pacifismo al 'matriottismo'

Madri e guerre - Da Fatema Mernissi a Tamara Chikunova, da Cindy Sheehan alle Madri di Plaza de Mayo, una riflessione sul valore del materno, con le opportune distinzioni e sfumature

Providenti Giovanna Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2006

Questo “grande enigma, grande tabù”, così definisce il materno la scrittrice marocchina Fatema Mernissi, accostandolo al velo delle donne da lei raccontate, e senza mettere in dubbio che la maternità è un fatto di donne. Eppure molte sono state, e continuano ad essere, le usurpazioni maschili alla madre: attraverso una cultura che ne nega il valore, o lo esaspera nella mistica patriarcale, o anche attraverso una eccessiva medicalizzazione del momento del parto, fino ad arrivare al recente tecnicismo del momento della procreazione.
Su questi temi le femministe non sono tutte d’accordo tra loro. Ma si stanno impegnando a rifletterci, come mostra, tra l’altro, il ciclo di incontri organizzato dal Circolo della Rosa di Milano, dal titolo "Tra il matricidio e il monumento alla madre: la politica delle donne" (www.libreriadelledonne.it). E come mostra la tendenza di sempre più donne a recuperare il valore della naturalità di procreazione e parto, contrastando l’eccesso di progresso scientifico e scegliendo di stare dalla parte delle “madri selvagge”.
Ma procediamo con ordine: tra le femministe, c’è chi per evitare di cadere nella retorica maschilista della maternità preferisce evitare l’argomento, chi invece si appella al potere della madre, all’ordine simbolico della madre, per recuperare una cultura femminile dalla radice.
E una analoga contraddizione si ritrova tra le pacifiste: da una parte coloro che aborriscono la medaglia al valore militare appuntata sul petto della madre del soldato caduto e dell’altra le donne che, proprio a partire dal simbolo della madre donatrice di vita, si oppongono alla guerra e a ogni forma di violenza. Tra queste ultime sono molte coloro che hanno fondato organizzazioni politiche di una certa influenza nel loro paese. Come le “Madri dei Soldati Russi”, nata negli anni Novanta, e recentemente diventata un partito politico, attiva nel denunciare le violenze fisiche e psicologiche cui sono sottoposti i militari di leva e le disumani condizioni dei soldati mandati nella guerra in Cecenia. La stessa equazione madre=vita usa l’associazione “Madri Contro la Pena di Morte e le Tortura”, fondata nel 2000 da Tamara Chikunova, in un paese come l’Uzbekistan, in cui ogni anno vengono eseguite più di 200 condanne a morte, e dove l’organizzazione delle madri, con le sue denunce coraggiose ha dato luce ad un nuovo indirizzo politico di opposizione al regime. Motivando il suo attivo impegno, Tamara Chikunova, madre rinata ad una nuova consapevolezza in seguito alla esecuzione capitale del figlio, dichiara: "Non riesco a permettere a me stessa di lasciarmi andare, perché penso che nessuna madre debba sopportare le mie stesse sofferenze. Mi rivolgo a voi a nome di tutte le madri dell'Uzbekistan e di ogni parte del mondo, perché questa violenza contro la vita umana possa essere cancellata".
Il lutto materno, da cui scaturisce solidarietà e sorellanza tra donne, l’appello in nome di tutte le madri del mondo, ed anche la forza sempre più emergente e politicamente significativa, di queste organizzazioni che stanno nascendo in paesi difficili, come Russia e Uzbekistan, richiama le più note battaglie delle Donne in Nero e le Madri di Plaza de Mayo, nata in Argentina ai tempi dei desparecidos, ed oggi divenuta una importante organizzazione politica a livello internazionale. E richiama la storia del femminismo pacifista americano, fin dai tempi della fine della Guerra Civile, in cui, come pochi sanno, fu stabilita come ricorrenza di protesta la “festa della mamma”, da parte di madri che avevano perduto i loro figli in guerra. Molti gruppi di donne pacifiste americane – come ci ricorda Maria G. Di Rienzo nei suoi molti articoli scritti sull’argomento - riconoscono quale loro ispiratrice colei che, nel 1870, lanciò questa idea scrivendo il “Proclama del Giorno della Madre”: Julia Ward Howe, la quale così si pronunciava un secolo e mezzo fa: "I nostri figli non ci verranno sottratti affinché disimparino tutto quello che noi siamo state in grado di insegnare loro sulla carità, la pietà e la pazienza. Noi donne di una nazione proviamo troppa tenerezza per le donne di una qualsiasi altra nazione, per permettere che i nostri figli siano addestrati a ferire i loro".
Oggi, negli Stati Uniti, emerge la figura di Cindy Sheehan, che, con la semplicità di una madre addolorata che chiede la causa per cui suo figlio è morto, ha ultimamente denunciato a chiare lettere i risvolti dispotici e totalitaristi di uno stato democratico come gli USA. In particolare Sheehan fa ricorso al concetto di “matriottismo”, di origine femminista, in contrapposizione al patriottismo radicato nel patriarcato. Mentre i patrioti, spesso inconsapevolmente, vanno a morire in guerre che servono a riempire i conti in banca di pochi, “i matrioti combattono le loro battaglie quando devono, ma non fanno uso di violenza per risolvere i conflitti”. E scrive ancora Sheehan: "il matriottismo si situa all’opposto, non per distruggere, ma per portare assieme lo yin e lo yang, e gettar fuori di bilancia il militarismo connesso al patriottismo. Non tutte le persone sono madri, ma c’è una verità universale che nessuno può contestare, per quanto ci si metta (e credetemi, alcuni lo faranno), e cioè che tutti hanno una madre. Le madri danno la vita e, se il bimbo è fortunato, le madri nutrono la vita. Se un uomo ha avuto una madre che ha nutrito la vita, allora ha già una base di “matriottismo”. Un matriota maschio o femmina ama il suo paese, ma non al punto di dire “sto con il mio paese che abbia ragione o abbia torto”... il matriota sa che il suo paese è in torto nell’aver ucciso migliaia e migliaia di innocenti esseri umani, e deve risponderne. Un vero matriota non lancerà mai una bomba atomica, o bombe al fosforo bianco, radendo al suolo città e villaggi, e non controllerà aeroplani a migliaia di chilometri di distanza per uccidere uomini, donne e bimbi innocenti" (Cindy Sheehan, 22 gennaio 2006, inviatomi da M.G. Di Rienzo).
Questo tipo di contrapposizione posta da una donna come la Sheehan, non appartenente alla militanza femminista, ma nata in un paese in cui il femminismo è storicamente radicato, ci ricorda una insindacabile, pur se piccola, verità: il tipo di materno cui fanno appello le molte donne che, a partire dal loro essere madri, protestano contro la guerra, la pena di morte e le ingiustizie sociali, non è il materno della mistica e della retorica patriarcale. Di più: è una concezione ed una pratica della maternità, intesa come scelta e non come destino, possibile solo a partire dalla progressiva liberazione compiuta dalle donne grazie al femminismo e grazie ad una loro attiva e significativa partecipazione alla vita politica e sociale. In via parentetica, vale forse la pena ricordare che le donne nei ruoli decisionali, intorno al 50% durante il regime sovietico, sono sotto il 10% nell’ex Urss di oggi, in cui l’opposizione politica di associazioni indipendenti di donne sta diventando sempre più importante.
Le donne che si oppongono alla violenza in quanto madri, donatrici di vita, sono quel "corpo sociale che trova una qualche sintesi", scaturito grazie alla assunzione di una nuova coscienza politica, cui fa riferimento Luisa Muraro nel suo L’ordine simbolico della madre, dove leggiamo anche: "Prima della politica delle donne, molta esperienza femminile era corpo selvaggio. Per questa esperienza, che è fuori dall’ordine sociale o vi è dentro ma infelicemente, c’è solo un ordine simbolico possibile: il riferimento all’autorità della madre. Questa rappresenta infatti il principio che ha in sé la più grande capacità di mediazione, poiché riesce ad immettere nel circolo della mediazione il nostro essere corpo insieme al nostro essere parola".
Non la mistica della maternità, ma la madre, come corpo sociale o corpo selvaggio, ci interessa valorizzare. Mettere insieme corpo e parola, dolore e denuncia, pratica e teoria. Come quando a idee antimilitariste e femministe si accostino concrete pratiche di disobbedienza nonviolenta, come fanno le organizzazioni delle madri nelle varie parti del mondo. E questa mi sembra una buona ragione per appellarsi al materno, distinguendosi dalla retorica faziosa dei movimenti conservatori e cattolici.
(28 giugno 2006)

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