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Dal Kerala al Tamil Nadu

Dal Kerala al Tamil Nadu

Diario dell’India / quarta tappa - Donne sempre impeccabili avvolte nelle sari colorate e complicata da indossare, anche se impastano con le mani riso e salsine, imboccano bambini o trasportano i mattoni sul capo nei cantieri edili

Katia Graziosi Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2008

Nei giorni che trascorriamo a Benaulin, sulla costa occidentale, troviamo un’India completamente differente. Questa è una parte del Paese colonizzato dai Portoghesi. Ne rimangono a testimoniare le tante chiese cristiane, le case, le croci disseminate nelle campagne e anche davanti alle abitazioni private. Qui si è sviluppata la piccola imprenditoria femminile delle guesthouse. Quella in cui noi alloggiamo è gestita da Caroline, una simpatica e grassoccia signora: ci racconta che questo luogo era solo un borgo di pescatori fino a pochi anni fa, poi con l’arriva di un turismo soprattutto giovane e con poche pretese tutti hanno ingrandito le loro case e sviluppato forme di accoglienza familiare adatte a chi viaggia in libertà con danaro limitato. Caroline parte al mattino sul suo motorino per il mercato e ritorna carica di sporte. La sua anziana mamma è costantemente seduta sui gradini davanti a casa con il rosario in mano: prega e presidia l’edificio, ma per ogni problema si va da Caroline, l’unica della famiglia che parla inglese. Qui la sari è scomparsa, le donne indossano abiti coloratissimi e corti, mi ricordano le donne dei Caraibi. La spiaggia di Benaulin è lunghissina e larghissima, costeggiata da alte palme e da capanne che offrono, come i nostri bagnini, ombrelloni e cibo. Il tutto convive con i pescatori le cui barche grezze e pesanti di legno con il lungo galleggiante a lato, sono sparse sulla spiaggia. E’ mattino presto, la notte è passata tra i fischi dei treni quasi ininterrotti: abbiamo dormito in un alberghetto di fortuna nell’edificio della stazione di Coimbatore. Ancora assonnati attendiamo il trenino a vapore che ci deve portare in montagna a Oty. La stazione è già movimentata il nostro treno è completo, i seggiolini sono in legno. Per fortuna arriva il venditore di chai – il thé sapientemente miscelato con latte e aromi vari. La cosa bella dell’India è che ovunque ti trovi c’è sempre qualcuno che vende del cibo con tanto chai. Oty è in montagna, è il luogo della frescura in cui si rifugiavano i Maharaja e successivamente gli inglesi nei lunghi mesi in cui le pianure diventano invivibili per il grande caldo, qui l’India ha un altro volto, il cattolicesimo convive con religioni e antiche tradizioni quali l’adorazione del bue, sovente rappresentato nei tempietti che si incontrano in campagna. La signora che ci accoglie nella sua guethouse è alta e carina e porta capelli corti. E’ la prima donna che incontriamo con un taglio all’occidentale. Il suo nome è Mary e ha un vistoso pancione che annuncia un parto vicino. E’ figlia di padre inglese e madre indiana, la sua casa ha un’atmosfera anglosassone e non manca il caminetto per le fredde serate. Qui si viene anche per fare tracking nei villaggi più in alto ove sono le piantagioni di thè. Anche noi siamo qui per questo. Percorriamo alcuni punti panoramici e poi ci tuffiamo nelle belle coltivazioni di thè che si presentano come tante siepi di camelie. Lì incontriamo le raccoglitrici: donne indigene di bassa statura, con le solite ceste sul capo, le loro piccole mani scelgono le foglie pronte per il thè. E’ un lavoro che richiede attenzione e abilità. Ecco improvvisamente una scuola: bambine e bambini giocano ed in lontananza udiamo un’allegra musica, proviene da un villaggio. Mentre ci avviciniamo gruppi di ragazze ben vestite e sorridenti ci vengono incontro: si sta festeggiando un matrimonio e tutto il paese è in festa. Ecco gli sposi agghindati con ghirlande di fiori ed altri ornamenti e tantissimi bambini rumorosi che si rincorrono. Siamo di nuovo su un treno. La meta è la località dell’estremo sud Rameswaram. I nostri compagni di viaggio sono una giovane coppia con due bambini uno di tre anni ed uno di cinque mesi. Ci prepariamo ad affrontare la notte. Un lungo foulard viene adibito ad amaca per accogliere il bambino piccolo mentre l’altro è sistemato nella cuccetta con la mamma ed il papà si corica sul pavimento. Nel frattempo tengo in braccio il piccolino: èun amore, ha la carnagione scura, senza capelli e con i rossi segni sacri sulla fronte. Mentre lo coccolo i miei pantaloni si bagnano di pipì. Ridiamo tutti. Da quanto tempo non sento la pipì calda di un bambino? Non lo ricordo. Qui i pannolini costano molto, vengono venduti in confezioni ridotte di dieci pezzi e normalmente ai bambini viene legato un leggero straccetto che quanto è bagnato basta metterlo al sole per pochi minuti per essere riutilizzato. Durante le diciotto ore di treno lo stracceto è spesso legato alle sbarre del finestrino ad asciugare. Il treno corre nella notte indiana fra continui fischi e soste obbligate causa il binario unico. Pur con la carrozza piena di bambini la notte è silenziosa, non si odono pianti. E’ stupefacente come le donne allevano i bambini con nulla. Non ho mai visto un passeggino neppure nelle grandi città, le mamme tengono sempre i bambini più piccoli in braccio o legati sulla schiena. La cosa che continua a stupirmi è che queste donne avvolte nella sari, spesso di seta o di organza, abbastanza complicata da indossare, impastano con le mani riso e salsine, imboccano bambini, non usano posate, eppure nonostante ciò sono sempre impeccabili anche quando trasportano i mattoni sul capo nei cantieri edili. Dal vetro dei finestrini passano volti di donne che sorridono da enormi manifesti. Sono le candidate alle imminenti elezioni dello stato del Kerala. Poi un susseguirsi di bandiere rosse sbiadite dal sole e i simboli della falce e martello. Ma dove siamo? I nostri compagni di viaggio ridono e ci spiegano che il Kerala ha una radicata tradizione di sinistra e che sono oramai cinquanta anni che la popolazione sceglie governi con coalizioni comuniste a seguito di libere elezioni. Ci dicono pure che questo stato è considerato il più avanzato dell’India per gli interventi in campo sociale, per buona scolarità, discreta assistenza sanitaria e reddito procapite fra i più alti del paese. Che meraviglia ! Il nostro viaggio è ormai al termine. In questo luogo in cui convivono templi induisti con moschee e chiese cattoliche, troviamo venditori di immagini sacre: da Gesù Cristo a Schiva e Parvati, dalla Madonna al Budda. E’ la scoperta di una popolazione con un alto senso della tolleranza religiosa, le diversità si mescolano e nel loro insieme danno vita ad un grande popolo. Alla base di tutto ciò è la laicità dello Stato Indiano che ha consentito di far convivere – nonostante grandi difficoltà – le differenze e di considerarle un grande punto di forza per tenere unita la nazione. E’ qualcosa su cui noi occidentali abbiamo molto da imparare.

(31 marzo 2008)

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