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Dal diario testimonianza di MargareteThüring: Ravensbrück

Dal diario testimonianza di MargareteThüring: Ravensbrück

Margarete Thüring Buber Neuman, prigioniera in un campo sovietico nel Kazakistan e nel campo di Ravensbrück

Domenica, 25/01/2015 - Margarete Thüring, originaria di Potsdam, un centro della prussianità tedesca, conoscerà la tragedia della prigionia. Nel 1939, è internata in un campo sovietico situato nella regione di steppe isolata e remota del Karaguanda, nel Kazakistan , accusata di essere una trockijsta. Dal 1940, con l’alleanza tra Hitler e Stalin, molti prigionieri politici tedeschi, imprigionati nei campi sovietici, verranno consegnati alla Gestapo. Così Grete Thüring trascorrerà altri cinque anni nel campo di Ravensbrück. Aperto ufficialmente nei pressi della cittadina di Fürstenberg, a 80 km da Berlino, è un campo concentrazionario per sole donne e bambini: 132.00 le deportate, 92.00 morte. Ubicato in una conca, sul versante settentrionale, sopra una montagnola di sabbia crescevano pini scheletriti. A sud, il terreno si inclinava in un pendio degradante in una palude, poi trasformata in terrapieno. Sopra vi sorsero delle baracche.



Angherie e conforto.



Il triangolo rosso dei prigionieri politici cucito sulla manica sinistra della divisa marchierà la nuova identità di internata: “prigioniera in carcerazione cautelativa, numero 4208”.

Margarete, insieme all’amica Milena Jesenská, scrittrice e giornalista ceca conosciuta nel campo, subirà ulteriori vessazioni e ingiurie dalle stesse prigioniere politiche perché accusata di infamare lo stalinismo.

Poco tempo dopo il suo arrivo, sarà nominata dall’ispettrice generale “capocamerata del blocco 2”, quello delle asociali. “Detestavo tenerle in prigionia con le minacce e con gli ordini”. Difficoltà aggravate anche dalla convivenza in una clima di disprezzo diffuso, nello stesso blocco, per le svitate - “i gioiellini”- per le epilettiche, le alcolizzate, le zingare. Molte si rifacevano sulle compagne per i maltrattamenti subiti. Annota sul diario: “Appena assunta una carica, addirittura adottavano il gergo delle SS, diventando un loro strumento esecutivo”.

Un odio di calci e insulti accoglierà al suo rientro una zingara fuggitiva. E dopo i trambusti si attendevano gli unici momenti di conforto: l’arrivo della posta una volta al mese, o miseri acquisti allo spaccio. Oppure in refettorio sferruzzare lana grezza per farne un paio di calzettoni. Invece la domenica pomeriggio ascoltare pazienti i truci canti militari, per sentire infine un concerto di Schubert o Mozart e muoversi al ritmo della musica in mezzo allo stradone.



Solidarietà.



Grete perderà il posto di capocamerata per aver difeso un’anziana donnina che di notte aveva rubato un pezzo di pane. Sarà nominata capoblocco del blocco 3, quello delle Testimoni di Geova, triangolo viola. Accolta dalle prigioniere con una scodella di zuppa di cavoli, insieme a volti umili e sorridenti, sguardi di benevolenza mista a soggezione, era angosciata: come fare a vigilare su un’organizzazione dalla precisione millimetrica? Saranno le prigioniere a svelare a Margarete i sotterfugi da mettere in atto durante le ispezioni del comandante.

Intanto, si convinceva del suo compito: rendere sopportabile l’esistenza. L’arrivo di Grete , per le Testimoni, inaugurerà un’era di serenità. Erano le più richieste dalle SS per l’attaccamento al dovere. Si ingraziavano i superiori: finestre, pavimenti, tavoli, travi ripulite fino all’ultimo granello di polvere, secchi e pentole luccicanti. Nella fede, la loro forza di sopportazione senza perdere la dignità umana. Ogni forma di organizzazione statuale erano convinte fosse opera del demoniaco. Imperativo: il rifiuto di ogni azione a sostegno della guerra. La peggior punizione non poter studiare la Bibbia. Ma dall’autunno del ’42, nel nuovo convoglio diretto ad Auschwitz, inseriranno tutte le testimoni di Geova che non avevano abiurato.



Complicità.



Con Margarete, le “macina-Bibbia” potevano intonare i loro canti, far sparire i volumi in nascondigli sicuri. Ormai, infrangere i divieti era diventato normale. Insieme escogiteranno un “sistema di scambio”: presentare rapporti gonfiati ai controlli, così le più debilitate sarebbero rimaste a rotazione nel blocco, sottraendosi al duro lavoro. Mettere una sentinella e al segnale, dalle stufe far sparire pentolini e scodelle con il caffè. Oppure rispondere decisa ai rapporti con un elenco fasullo di dieci squadre, e i numeri tutti improvvisati. A Grete toccherà per punizione anche il lavoro alla catena di montaggio nella sartoria numero1. Il timore per le quote di produzione, il disagio di non essersi mai trovata tra le mani una moderna macchina da cucire elettrica. Troverà nell’istruttrice un’alleata: ad una macchina libera, le cuciva una bella quantità di pezzi e li ammucchiava vicino alla sua macchina. Pure nelle baracche, filiali della Siemens, si lavorava per il Reich. Pressante la preoccupazione quotidiana di racimolare del cibo, e la sorvegliante: “Vada nella stanza di servizio a gettare questo pacchetto nel cestino, ma prima ci guardi dentro”. La prescelta ci trovava panini imbottiti. Nell’infermeria, le donne scampate allo stanzino della morte venivano curate dalle stesse prigioniere. Ripulivano, spalmavano pomate sugli eczemi, fasciavano piaghe. Ma si procuravano la febbre per avere un certificato di servizio interno. Anche Milena falsificherà prelievi di sangue: risultavano sane prigioniere “incurabili”, altrimenti destinate alla camera a gas. E in breve tempo molti saranno i casi illegali di malate non registrate.



Amicizia.



Milena raggiungeva Grete nel blocco delle Testimoni. Accovacciate sul “terreno dello spirito”, chiacchieravano separate dalla rete. Le fughe quotidiane nella conversazione, un vero nutrimento: “Ci si concentra su un punto fuori di sé astraendolo dalla fame, dal terrore e dalle atrocità quotidiane del campo”.

Un legame amicale salvifico. E la forza di vivere per raccontare. Una volta libere, avrebbero scritto insieme le memorie sulla schiavitù della deportazione. Milena Jesenská, malata, morirà a Ravensbruck il 17 maggio 1944. Opprimente la prostrazione di Grete per aver perso la ragione di sopravvivenza, mentre intorno aleggiava un’atmosfera tempestata di morte. Per le donne arrivate al campo incinte, nuove arrivate, la Gestapo incaricherà Rosenthal, l’ufficiale medico delle SS, di estirpare dal campo quei “frutti della vergogna razziale”. Poi all’inizio del 1945, il trasporto a Mauthausen di tutte le prigioniere NN e delle madri ebree e zingare con i loro figli.



Preparativi di libertà.



Ma con l’avanzare dell’armata sovietica le SS si sarebbero dileguate. Preannuncio di libertà avere addosso pezzi di stoffa e capi di vestiario sottratti alle scorte delle SS. Gli zaini, l’articolo più ambito. Il timore: e se i russi fossero entrati nel campo prima degli americani o degli inglesi? Poi autobus bianchi cominciano a scaricare pacchi: la guerra è finita. La Croce rossa internazionale assume la direzione del campo. Allora, via verso il mondo senza filo spinato!

“I sensi reagiscono impreparati al riscoperto gusto di vivere”. Potersi sedere su un’asse di legno delle lavandaie per togliersi di dosso la polvere della strada. Immergersi nel ruscello fino alle ginocchia con l’acqua corrente che accarezza la pelle è una rinascita. “La prigionia getta in un pozzo di disperazione, ma la ripresa avviene con sorprendente rapidità”.

E il lento e faticoso ritorno a Thierstein, in Baviera, con un carretto tirato da cavalli, regalo di un soldato americano. Poi tappe in bicicletta, con le caviglie scricchiolanti e fasciate, e in treno fino a Gottingen, con biglietto ottenuto come ex deportata e il certificato di rilascio a brandelli. Passata la frontiera bavarese bisogna sperare che tutto non sia stato distrutto.

Sarà la vista dei tetti delle case tipiche della brughiera e poi il campanile di Thierstein a instillare la speranza. Infine, la vecchia fontana sulla piazza del mercato, in lontananza la casa abitata dei nonni, e ormai la certezza: il fazzoletto bianco di una contadina, in cortile la sorella, e sul pianerottolo con la ripida scala di legno, il saluto della madre con la voce provata dagli anni.

Margarete Thüring classe 1901, morirà nel 1985 a Francoforte sul Meno, in Germania.





Margarete Buber-Neumann, Prigioniera di Stalin e Hitler, Il Mulino, 2005

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