Riforma epocale o regalo ai boss? Alfano, Maroni, Lupi ne sono entusiasti. Don Luigi Ciotti un po' meno. E per i cambiamenti del certificato antimafia se ne parla tra due anni.
Martedi, 18/10/2011 - Riforma epocale o regalo ai boss?
Dal 13 ottobre è in vigore
il nuovo codice antimafia
di Paolo Gatto
Figlio dell’ex ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e di Maroni, attuale titolare del dicastero dell’Interno, il nuovo codice antimafia è entrato in vigore il 13 ottobre. Alfano l’ha definito “un agile strumento di lotta”. Per Maroni si tratta di “una riforma epocale”. Maurizio Lupi nel suo blog, preannunciando erroneamente al 7 settembre l’entrata in vigore delle nuove norme, ha inneggiato non senza enfasi: “Più sicurezza col nuovo codice antimafia. Maggiori responsabilità per i prefetti, più fiducia e meno burocrazia per le imprese, una banca dati nazionale che raccoglie la documentazione contro le organizzazioni criminali”.
Se per l’ex guardasigilli della Giustizia è un punto di forza che per i creditori terzi “in buona fede” sia previsto che dalle proprietà o dal materiale sequestrato sia preventivamente estratta la parte spettante al creditore, sempre che non sia frutto di attività illecita, per don Luigi Ciotti, che della questione se ne intende, si tratta invece di un clamoroso passo indietro.
Chiudendo la recente due giorni “Mafie al Nord”, organizzata da Libera nella sede del Gruppo Abele a Torino, rivolgendosi ad una qualificata platea costituita da addetti ai lavori formata da magistrati, giornalisti, forze dell’ordine, studiosi, operatori sociali, oltre ai tre sindaci di Torino, Milano e Genova don Ciotti ha segnalato quelle norme che a suo modo di vedere “complicano terribilmente la vita degli amministratori dei beni”. Ad esempio quella che decreta la “prescrizione” cioè la decadenza automatica del provvedimento di confisca se entro 18 mesi una sentenza d’appello non conferma il primo grado. Sull’argomento, in effetti, l’ultima relazione della Corte dei conti ha evidenziato che dal momento del sequestro, “servono ancora tra i 7 e i 10 anni per giungere alla confisca definitiva dei beni e al loro successivo riutilizzo e che oltre la metà dei beni confiscati alle cosche resta inutilizzata per la lentezza delle procedure”. “Sappiamo bene,” ha commentato don Ciotti, “che quei signori possono permettersi ottimi avvocati, che sanno molto bene come fare scadere il tempo”.
Anche la sostanziale assimilazione del procedimento di prevenzione (ossia sequestro più confisca) a quello fallimentare è oggetto di non poche riserve: il giudice della prevenzione deve accertare se il mafioso oggetto del provvedimento di confisca ha dei creditori, esattamente come un giudice fallimentare. Se i creditori sono in buona fede, vanno pagati. Questo significa vendita all’asta a prezzi inferiori al reale valore per pagare anche micro-crediti. Così allo Stato va molto meno del valore iniziale del bene e oltretutto si registra una deviazione nelle finalità dell’azione anticrimine perdendo di vista il principale obiettivo che inizialmente consisteva nella sottrazione del bene alla criminalità e andando invece per una strada del tutto estranea e diversa: quella del soddisfacimento dei creditori “in buona fede”. Anche il caso di revoca del provvedimento di confisca nell’ipotesi di errore suscita critiche e perplessità. Prima era lo Stato a liquidare i danni. Da oggi sarà compito dei comuni, con quali fondi non è dato sapere.
Per il resto il nuovo codice antimafia rimette le mani e in un certo senso riorganizza altri aspetti non secondari dell’intera materia con specifico riferimento alle infiltrazioni mafiose nelle imprese fornitrici della Pubblica Amministrazione. Leggi e norme che nell’ultimo cinquantennio sono state le colonne portanti della legislazione antimafia sono integralmente o parzialmente abrogate. Spariscono ad esempio le leggi numero 423 del 1956 e la 575 del 1965 (quella del nulla osta antimafia attestato per le imprese e riportato nei certificati delle Camere di commercio).
Non tutte le novità introdotte dal nuovo codice sono immediatamente operative. Entro sei mesi l’art. 99 del Codice prevede che vengano emanati i regolamenti per la disciplina delle modalità di funzionamento, di accesso, di autenticazione, di autorizzazione e di consultazione della «banca dati unica della documentazione antimafia».
Nell’ottobre del 2013 entrerà in vigore il Libro II (Capi da I a IV) che contiene le disposizioni sui certificati antimafia per gli appalti, oggetto di una recente polemica tra i ministri Brunetta e Maroni. I certificati antimafia seguiranno per altri due anni l’attuale regime di rilascio. Al fine di prevenire infiltrazioni mafiose nelle aziende a partire dall’ottobre 2013 i controlli antimafia saranno più ampi. Dagli attuali amministratori dell’azienda lo Stato passerà a controllare anche i direttori tecnici e i componenti gli organi di controllo nonché i loro familiari e conviventi di fatto. Anche i maggiori poteri conferiti ai Prefetti vedranno di fatto la luce fra due anni. Un po’ più ravvicinato nel tempo dovrebbe essere il varo della stazione unica appaltante, struttura specializzata sul territorio alla quale sarà facoltativo aderire per l’espletamento delle gare d’appalto. Sarà comunque il riscontro dei fatti a dirci in un ragionevole arco temporale quanto di buono e quanto da affinare ci sia in questo codice nato con l’ambizione della svolta epocale che solo fra ben due anni vedrà il primo avvio di una completa attuazione.
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