Diario dall’India - Prima tappa di un viaggio “fatto in completa autonomia senza la mediazione di agenzie turistiche” alla scoperta di un Paese ricco di contrasti, mistero e fascino. Dai grattaceli di Mumbay all’archeologia rupestre di Ajanta ed E
Katia Graziosi Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2008
In lontananza svettano gli edifici della Mumbay (ex Bombay) moderna. Una leggera brezza che viene dal mare ci accompagna ed è bello indugiare e osservare le famiglie con i bambini che passeggiano lungo la baia e gustano le leccornie dei numerosi venditori ambulanti. E’ domenica sera ed i marciapiedi iniziano a riempirsi di stracci: sono persone – gli intoccabili - che passano la notte nelle strade. E’ la miseria indiana che si manifesta in tutta la sua “normalità”. Nel centro di Mumbay basta girare un angolo e trovi improvvisamente una baraccopoli brulicante di bambini. Le mamme e le nonne sedute in terra davanti alla baracca – costruita con cartoni, teloni vecchi, pezzi legno – che preparano il fuoco, cucinano, lavano i panni sull’asfalto della strada, è una marea di emarginati esclusa dal grande processo di trasformazione economico-sociale in atto nel sub-continente.
Il sole sta tramontando, lo skyline della baia di Mumbay è splendido, i grattaceli si accendono di luci. La spiaggia si riempie di persone, le ragazze ed i ragazzi sono come i nostri: allegri, rumorosi, molti con i jeans e tanta musica in testa.
Sono le sette del mattino e fa caldo. La città è già molto animata. Mentre ci incamminiamo a piedi verso la stazione Victoria incrociamo gruppi di vacche che passeggiano liberamente nelle vie trafficate. Qualcuno si sofferma e le accarezza fra cui un signore distinto in abito blu, sceso da un auto. In una mano tiene il telefonino, nell’altra da un tocco alle vacche: porta bene.
La stazione Victoria è come un bellissimo castello, di architettura indefinibile, un misto di indo-gotico-vittoriano, imponente e spettacolare. E’ collocata in una zona molto verde con ampi viali ombreggiati. Nella piazza antistante vi è un mercato in cui si vende di tutto. Alcuni banchetti con uomini in camicia bianca, seduti. Tengono carta e penna in mano: sono gli scrivani che attendono clienti, qui l’analfabetismo è ancora forte.
Curiosiamo nei saloni della stazione affollatissima e colorata dalle sari delle donne. Gli sportelli delle prenotazioni sono ben organizzati e nonostante le oltre 150 persone avanti a noi, raggiungiamo dopo un’attesa breve, il nostro punto. Sorpresa! Una signora carina avvolta in una sari gialla ci sorride da dietro al vetro e ci fornisce la nostra prenotazione con gentilezza e rapidità. Sono contenta, si incomincia bene.
Ci guardiamo attorno, è una stazione immensa da qui partono treni per il nord e sud India, è il mezzo di trasporto più economico e utilizzato giornalmente da milioni di indiani.
Ecco alcune donne con grandi ceste di vimini e scopine. Raccolgono l’abbondante spazzatura che gli indiani abitualmente gettano a terra; altre, insieme a bambine, percorrono i binari con ceste sul capo a raccattare carte, bottiglie di vetro, plastica ed infiniti sacchettini in plastica che svolazzano ovunque, gettati dai finestrini dei treni. Poi ancora donne a pulire i servizi igienici e tanti venditori ambulanti – uomini – indaffarati a friggere le squisite frittelle di farina di ceci, lenticchie e verdure.
Saliamo sul treno notturno che collega Mumbay con Aurangabad. E’ la nostra prima esperienza di un viaggio in treno in una calda notte indiana. Le carrozze “sleep” di seconda classe sono qualcosa di molto particolare, più che un convoglio passeggeri sembra di stare in una tradotta per carcerati. I finestrini sono piccoli e sbarrati da inferriate, la luce è scarsa e i nostri posti sono vicini ai servizi igienici. Un forte puzzo di urina è nell’aria e viene diffuso dai ventilatori attaccati al soffitto. Le cuccette sono tre per ogni lato e due nel corridoio. Lo scompartimento si riempie di uomini e dal vagone provengono solo voci maschili. Finalmente arriva una signora. Si siede vicino al marito. Ci scambiamo alcune parole e così apprendiamo che la loro meta è New Delhi, noi scendiamo molto prima. Ci sistemiamo con i nostri zaini e telo (in India serve sempre un telo di cotone per tante situazioni). Ci aspettano 7-8 ore di viaggio. Mi accorgo che la signora è sparita. Il marito incrocia il mio sguardo indagatore e mi informa che la moglie si è recata per la notte nell’apposita carrozza per signore. Comprendo perché sono l’unica donna.
Il treno procede lento ed è fermo continuamente in stazioncine buie le cui pensiline sono stracolme di persone o che dormono in terra o che attendono di salire. Tanti passeggeri si siedono ai piedi delle cuccette basse, ovviamente senza il biglietto. Il controllore passa e pare rassegnato.
Questa prima notte in treno ha su di noi un impatto notevole.
Scendiamo ad Aurangabad alle cinque del mattino, stesse scene già viste: bambini, bambini, donne, uomini, in terra avvolti in teli.
Qui ci attendono giorni alla scoperta dell’archeologia rupestre di Ajanta ed Ellora. Un intreccio di mistero e spiritualità difficile da descrivere in una complessità architettonica unica.
Nel mondo indiano la grotta e la montagna alludono da sempre al grembo della terra madre. Le decorazioni scultoree ed i bassorilievi di Ellora celebrano il divino potente Schiva e accanto ai momenti significativi del suo ciclo mitologico incontriamo la sua sposa Parvati. Sono proprio una bella coppia, li troveremo continuamente nel nostro viaggio.
Le grotte di Ajanta testimoniano l’importanza del buddismo ed i trenta magnifici templi scavati nella roccia ed affrescati sono una delle meraviglie dell’India che richiama tantissimi pellegrini dal lontano Tibet. Iniziamo a comprendere qualcosa di questo immenso Paese.
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