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Da Letizia Battaglia a Nan Goldin. Venticinque artiste raccontano lo sguardo delle donne in fotograf

Da Letizia Battaglia a Nan Goldin. Venticinque artiste raccontano lo sguardo delle donne in fotograf

A Venezia la Casa dei Tre Oci ospita la mostra Sguardo di donna. Venticinque fotografe, diverse per provenienza e formazione, raccontano il mondo.

Martedi, 22/09/2015 -
Tra le artiste esposte alla Casa dei Tre Oci a Venezia in comune c’è solo la macchina fotografica. Diverse sono le provenienze culturali e le esperienze di ognuna. Non a caso, e a dispetto della singolarità del nome, il presupposto di Sguardo di donna è l’esistenza, tra le donne in fotografia, di una pluralità nello sguardo. Difronte a situazioni che possono in fondo essere state simili – la morte, la violenza e le discriminazioni, i conflitti – le scelte estetiche e le forme della narrazione mostrano la presenza di un’irriducibile differenza. Lo si comprende bene a osservare le artiste in mostra. Da Letizia Battaglia a Nan Goldin, da Yoko Ono a Sophie Calle, sull’esistenza è sempre svelata la particolarità di un punto di vista.



Che siano ritratti posati e scene di reportage, fine art o denuncia, Sguardo di donna sottolinea le non numerabili possibilità del mezzo fotografico; dietro un occhio che legge - e che in questo è già parziale - sta la capacità della fotografia di essere interprete privilegiata di storie e, con queste, delle vite che le animano. Perché come racconta Diane Arbus, in mostra con la celebre Girl in her circle costume, la fotografia è uno svelare segreti, un racconto che custodisce memorie. E nel suo caso, a essere portati alla luce sono la diversità folle, il perturbante, il diverso. Che sono l’inequivocabile segno dei suoi lavori. È la turista dell’inferno, ricorda Susan Sontag.



Tante le questioni affrontate. Di Martina Baccigalupo sono scelti i volti della serie Hito. Da sempre legata al tema dell’identità e del doppio, Baccigalupo fotografa coppie di gemelli, affascinata dalle piccole e sottili variazioni che li possono allontanare dalla totalità di un’identificazione. L’indagine sulla formazione del sé definisce anche i lavori di Yelena Yemchuk. Davanti al suo obiettivo, ci si mette in posa; i soggetti scelgono un’auto-rappresentazione, si compongono in una posizione dei corpi per definirsi come coscienze.



La tematica del corpo guida il lavoro di Donna Ferrato e Bettina Rheims. La prima fotografa la liberazione sessuale degli anni Settanta, per poi passare al racconto, e alla denuncia, della violenza domestica. Con il lavoro Living with the enemy, la Ferrato mostra la realtà delle donne che vivono con compagni che le picchiano. In I am unbeatable passa all’altro lato della storia, quello delle liberazioni. In Gender Studies, dove approfondisce il precedente Modern Loves, Bettina Reihms fotografa, reclutandoli tramite i social network, «that have become men, men that have become women and a third gender; those that preferred not to choose a sex and exist as both, adopting a dual identity». Di nuovo il corpo come identità ma anche come scissione e transizione.



Non può mancare lo sguardo di Letizia Battaglia. Lei, simbolo della fotografia che denuncia. Che fa prendere coscienza davanti alle violenze e alla morte. Nei suoi scatti, la rivolta silenziosa della dignità restituita ai morti ammazzati. Perché, in fondo, nelle foto della Battaglia a prevalere è sempre il riscatto. Come testimoniano i suoi ultimi progetti che reinterpretano i vecchi scatti, li virano verso la poesia e la bellezza in un atto di purificazione.



Non di secondaria importanza l’allestimento curato da Antonio Marras. Lo stilista recupera oggetti e abiti di scena dal deposto del teatro della Fenice e compone percorsi della memoria. Ridefinisce lo spazio; le storie lette sulle pareti rimandano ai racconti articolati nelle sale. Creano ponti e compongono nuove relazioni.

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