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Da Lampedusa a Lucca, un cammino di libertà

Da Lampedusa a Lucca, un cammino di libertà

Migranti - Era un agriturismo ed è diventato una casa-rifugio: per 15 migranti Agrilago è accoglienza e costruzione di autonomia. L’esperienza di Maria Annunziata Bizzarri

Dalla Negra Cecilia Mercoledi, 19/09/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2012

“Gentile ospite: questa casa non è un albergo. Se stai cercando camere insonorizzate, servizio-bar e ascensori questo non è il sito giusto”. Sembra strano, perché è il portale di un agriturismo. Eppure Agrilago, piccola e affascinante struttura immersa nel verde della Val di Lima, in Toscana, è un mondo magico. Nato come azienda agricola nell’area di Casoli Val di Lima, nel comune di Bagni di Lucca, borgo montano in provincia di Lucca, è passato presto dall’essere luogo di recupero dei ‘frutti dimenticati’ della terra e di vacanze per ospiti provenienti da tutto il mondo, a centro di accoglienza per rifugiati in fuga dal conflitto in Libia. A raccontarci come, è Maria Annunziata Bizzarri, presidente regionale per la Toscana di ‘Donne in Campo’, componente della Confederazione Agricoltori Italiani (CIA) che, oltre a promuovere l’imprenditorialità al femminile nel campo dell’agricoltura, è impegnata a preservare tradizioni rurali, territorio e biodiversità con un occhio sempre attento alla cultura del biologico. Agrilago apre le sue porte nel 1997, quando Maria Annunziata decide di cambiare vita e, dalla città, trasferirsi fra le montagne lucchesi. Recuperando le tradizioni agricole del posto, avvia una produzione di marmellate biologiche e, parallelamente, l’accoglienza turistica con i suoi 15 posti letto. “Già da anni avevo intenzione di aprire il settore all’agricoltura sociale, rivolgendomi alle donne vittime di violenza e facendo diventare l’agriturismo una casa-rifugio. Per questo, in collegamento con i servizi sociali, ho presentato un progetto alla Regione Toscana. Poi, nel maggio del 2011, tutto è cambiato”. Perché in quella primavera esplode il conflitto in Libia, e migliaia di migranti, originari della Costa d’Avorio e dell’Africa sub sahariana, che a Tripoli avevano cercato fortuna, vengono costretti alla fuga o letteralmente cacciati dal paese. “In molti casi - racconta Bizzarri - si tratta di persone che hanno subìto veri e propri rastrellamenti: prelevati dalle proprie case, privati dei documenti di identità, sono stati messi su qualche barcone e mandati via, senza neppure sapere dove fossero diretti. In tanti sono arrivati a Lampedusa, ma non avevano idea di essere in Italia”. È a quel punto che arriva la telefonata della Regione Toscana: le chiedono se è disposta ad accoglierne alcuni “solo per qualche settimana, avevano detto. In realtà li ospitiamo ancora, ma va bene così”, sorride Maria Annunziata. “È iniziata un’avventura che dura ancora oggi. Abbiamo annullato tutte le prenotazioni della stagione estiva e riconvertito i posti letto che gli sono stati destinati. Uno dei laboratori dove producevamo marmellate è diventata una cucina collettiva, perché la cultura passa anche dal cibo, e farli nutrire secondo le loro tradizioni ci è sembrata una forma di rispetto”. È così che un agriturismo, immerso in un borgo montano da 35 anime, è diventato luogo di accoglienza, centro di scambio, trampolino di integrazione. “Sono arrivate persone provenienti da paesi diversi: dal Ghana al Mali passando per Nigeria, Ciad, Pakistan e Bangladesh. Abbiamo avuto modo di capire le profonde differenze che caratterizzano le diverse comunità, anche nel ruolo attribuito alle figure femminili. Per noi, come donne, inizialmente non è stato semplice farsi capire: alcune culture sono matriarcali, altre considerano la donna senza voce in capitolo. Ma la situazione con il tempo si è assestata”. Per dare sostegno, formazione e accoglienza è stata necessaria la convergenza di tanti impegni: dalla Questura alla Protezione Civile della Provincia di Lucca, dalla Prefettura all’Azienda sanitaria, per un progetto di accoglienza alle vittime di violenza che, in emergenza, è stato trasformato e quindi finanziato dal Ministero dell’Interno. “Il lavoro agricolo e la produzione continuano: certo, non abbiamo più l’agriturismo. Ma l’esperienza di crescita e scambio reciproco che stiamo vivendo è insostituibile”. Nonostante le difficoltà iniziali, Maria Annunziata non ha dubbi: è un’esperienza che ripeterebbe. “Tanti mi hanno preso per matta. Mi avvertivano che avrei perso la mia clientela con questa scelta. Io dico che è possibile, ma probabilmente ho acquistato clienti nuovi, se così si può dire, molto più vicini al lavoro di agricoltura sociale che porto avanti sin dall’inizio”. Dopo una prima fase di assestamento un po’ burrascosa - “vivo nella casa di fronte alla loro: all’inizio era una richiesta continua” - Maria Annunziata e le sue collaboratrici hanno organizzato assemblee settimanali per regolare il quotidiano dei 15 nuovi ospiti, rispondere ad ogni esigenza, aiutarli. “Ma abbiamo investito moltissimo nel percorso di costruzione dell’autonomia: imparare la lingua e inserirsi nel tessuto sociale, per poter pensare di costruire la propria vita una volta lasciato l’agriturismo”. E se in un borgo montano tanto piccolo parlare di avvenuta integrazione è avventato - “su 35 abitanti 15 persone provenienti dall’Africa sono un bell’impatto” - certamente grandi passi avanti sono stati fatti per “smontare il pregiudizio dello straniero ladro, pericoloso e cattivo. Loro hanno iniziato a partecipare alla vita del paese, il paese ha capito la loro correttezza”. Le persone sono persone, e quando un’ospite ghanese di Agrilago ha dato alla luce il suo bambino, che ha voluto chiamare Samuele, la disponibilità della gente lucchese non si è fatta attendere: “Appena le abbiamo chieste sono arrivate carrozzine, vestitini, giocattoli. Le donne sono sempre pronte ad aiutare”. Se domandi ad Annunziata quanto c’entri, in questa esperienza, il suo essere donna, circondata e supportata da altre donne, ti risponde semplicemente “tutto”. Prendersi cura dell’altro e vederlo crescere “è una grande soddisfazione e un nostro tratto caratteristico. Non voglio fare demagogia, ma che noi donne si abbia una predisposizione all’attenzione verso quello che ci circonda è un fatto. È un approccio diverso, che abbiamo verso l’azienda, i prodotti della terra, gli altri esseri umani”.

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