Giovedi, 09/05/2013 - I contatti di Licio Gelli con la C.I.A. Hanno inizio in un tempo lontanissimo, quello di Allen Dullas, responsabile dell'organismo nell'Europa in bilico tra nazismo e liberismo americano. Siamo nel 1943 e Gelli ricopre con pari solerzia le funzioni di agente di collegamento tedesco presso il comando di Pistoia e quello di partigiano con i due comandi anti-comunisti di Montecatini, uno facente capo a Silvano Fedi, anarchico, l'altro creato da Manrico Ducceschi, detto Pippo.
Il primo fu disarmato all'arrivo dell'Esercito Alleato e il suo capo morì in circostanze non ben definite. Ducceschi e i suoi uomini, invece, furono riforniti e incorporati nella V Armata, con la quale proseguirono fino a Milano dove, raggiunto l'obbiettivo, ricevettero in regalo i veicoli da loro usati per l'avanzata: con essi costituirono in seguito una cooperativa di servizi sull'Abetone, una manna nell'immediato dopoguerra. Ducceschi, che la dirigeva, morì impiccato enl 1948 e anche in questo caso le circostanze del decesso furono assai misteriose.
Fino all'ottobre 1954 Trieste, frontiera per eccellenza, rimase sotto l'ccupazione americana, un crocevia ideale di interessi, d'incontri e di scontri di ogni tipo, dove Allen Dullas chiese all'allora Ministro degli Interni Tambroni la nomina a questore
di Guido De Nozza, pupillo di Robert Driscoll, numero due della C.I.A. in Italia.
Il 9 ottobre 1954, mentre la bandiera italiana finalmente sventolava dal campanile di San Giusto, nacque per la C.I.A. la necessità di controllare la nostra politica interna ed estera più da vicino. Fu per questo motivo dunque che Guido De Nozza fu incaricato di formare, proprio nella capitale, un servizio segreto parallelo a quello italiano, finanziato e diretto dalla C.I.A.
Infatti, nella sua sede in via Val di Sole, avremmo potuto trovare Robert Driscoll e Walter Beneforti che, insieme , insieme ai loro compari Angelo Mangano, Guido De Nozza, Ilio Corti e a una quarantina di uomini, operavano indisturbati. Tale situazione durò per diversi anni finché, a seguito di un banale errore di trasmissione di un telex cifrato, la loro presenza non poté essere ignorata e il servizio smantellato.
De Nozza divenne dunque questore di Pescara e poi si godette la pensione dovuta alla sua funzione. Mangano fu chiamato a ricoprire la medesima carica a Roma. Walter Beneforti, dopo un breve passaggio alla questura di Frosinone, costituì a Milano, in corso di Porta Venerzia 10, una società di import export.
Al suo buon funzionamento contribuì Giovanni De Giorgi, legato a doppio filo al noto trafficante Heysen Vercani, profugo albanese con ben tre domicili nelle zone della Milano bene e gravitante nell'ambiente monegasco del riciclaggio.
Infatti: a che serviva tenere in piedi un servizio autonomo quando era infinitamente più facile infiltrare quelli italiani?
Per questo Gelli entrò in massoneria, creò una loggia affiliando ufficiali dell’esercito e funzionari dei diversi ministeri: ciò che gli riuscì benissimo, basti scorrere la lista dei novecentocinquanta nomi, ritrovata nel '81 a Castiglion Fibocchi. Da allora in poi, ci furono quasi esclusivamente massoni ai vertici dei servizi italiani: dal generale Giulio Grassini (tessera 1620) al generale Giuseppe Santovito (tessera 1639), dal prefetto Walter Pelosi (cod. E19.79) al generale Vito Miceli (tessera 1605) che li aveva preceduti. E, mentre a Milano l’efficienza della divisione Pastrengo era controllata dal piduista Giovanbattista Palumbo, quella della Guardia di Finanza era nelle mani del generale Orazio Grassini (tessera 2116), mentre lo Stato Maggiore della Difesa aveva alla sua testa l’ammiraglio Giovanni Torrisi.
La segreteria della Camera dei Deputati era assicurata dal piduista Francesco Cosentino, mentre quella della Presidenza della Repubblica era diretta dal fratello massone Nicola Picella. Per l’aspetto finanziario, possono bastare i nomi dei presidenti Roberto Calvi al Banco Ambrosiano; Enrico Aillaud all’Interbanca; Vitaliano Peduzzi alla Banca del Monte di Milano. Per non parlare, ovviamente, di Michele Sindona.
Siamo nel 1975: Gelli mise finalmente sulla carta il cosiddetto Piano di Rinascita, un programma che nacque dalla sconfitta dei tentativi di golpe bianco falliti in quel periodo; poco tempo dopo - in periodo elettorale - lo distribuì ai fratelli affinché si comportassero di conseguenza.
E fu in questo clima che Francesco De Martino, tranquillo della sua maggioranza, dovette arrivare all’Hotel Midas per il congresso del Psi nell’estate 1976. Fautore della teoria degli equilibri piu’ avanzati, cosi’ come Moro di quella del terzo tempo e Berlinguer di quella detta della questione morale: in una parola e sul piano politico, offrendo le premesse necessarie al compromesso storico, tanto temuto dalla Cia.
Ma Francesco De Martino fu anche il primo a sperimentare l’efficacia delle istruzioni impartite da Gelli ai suoi adepti. Enrico Manca, appartenente alla P2, proprio durante il congresso uscì dalla sua corrente per aderire a quella di Bettino Craxi, allora sconociuto ai più, mettendolo in minoranza ed allontanandolo definitivamente dalla carica di segretario del Psi. Quell’Enrico Manca che, divenuto poi ministro del Commercio Estero del governo Craxi, si fece rilasciare una patente di non-massone dal tribunale di Perugia. Ma la Commissione d’inchiesta sulla P2 decise diversamente.
Nessun problema per Francesco De Martino, subito cosciente del fatto che non tutto il male viene per nuocere. La perdita dell’alto incarico di partito faceva di lui l’uomo super partes adatto alla Presidenza della Repubblica. E proprio dal Colle gli sarebbe stato piu’ facile guidare il paese a posizioni equidistanti dalle due superpotenze, posizioni di equilibri piu’ avanzati.
Siamo nel 1977. Il 5 aprile alcuni uomini vicini al clan Giuliano di Forcella rapirono il figlio Guido: un avvertimento e un segnale che Francesco De Martino era troppo intelligente per ignorare. Guido fu liberato contro il pagamento di una somma di quasi un miliardo di lire e, poco dopo, gli esecutori arrestati, processati e condannati.
Anzi, per evitare che le indagini scoprissero retroscena inquietanti, una mano misteriosa inviò ben tre lettere consecutive agli inquirenti per facilitare, con dettagli sempre più circonstanziati e precisi, l’arresto dei rapitori. Indagini guidate da chi non doveva avere interesse che si approdasse ai veri mandanti del sequestro. Eppure sarebbe bastato seguire il filo delle prime deposizioni di Francesco Agozzini e di Vincenzo Tene, dell’origine del denaro segnato proveniente da altri sequestri(che la segreteria del partito aveva rimesso a Francesco De Martino per il pagamento del riscatto), del riciclaggio avvenuto nel milanese da appartenenti al clan Turatello, e di cui appare netto il previo accordo al sequestro, di assegni di medesima origine trovati nelle mani dei sequestratori e di tale Aleardo Cattaneo, quest'ultimo amico fraterno sia di Turatello che del padre naturale (il boss di Cosa Nostra Frank Coppola) e condannato all’ergastolo poi per altro sequestro.
A Francesco De Martino, che chiedeva indiscrete delucidazioni, Craxi disse di non preoccuparsi per l’origine del denaro; ufficialmente lo fornirono Calvi del Banco Ambrosiano e Nerio Nesi, a quel tempo ai vertici della Banca Nazionale del Lavoro, poi cossuttiano doc. De Martino, faticosamente e privandosi di ogni bene familiare, restituì fino all’ultima lira, ma non è a tutt’oggi dato sapere se la somma restituita finì poi per davvero nelle casse di provenienza.
Durante il sequestro, Aldo Moro rese visita all’amico De Martino: un collaboratore di quest’ultimo e la moglie stessa deposero in seguito che, da quel giorno, Moro non solo chiese la scorta, ma blindò porte e finestre e raccomandò ai figli la massima prudenza.
L’obiettivo era raggiunto: come sempre poi ha fatto, la P2 mise in sonno il suo complice più scomodo. Francis Turatello, detto “Faccia d’Angelo”, fu arrestato a Milano nell’agosto 1977, dopo qualche anno di latitanza a vista e senza intoppi.
Intanto, a cavallo tra il 1977 e il 1978, l’allora segretario del Partito Socialista Bettino Craxi, accompagnato dall’onorevole Edoardo Formisano, si presentò al procuratore capo di Roma De Matteo, per dichiarare che temeva per la sua vita. Le Brigate Rosse – aveva saputo da fonti malavitose milanesi- lo avrebbero ucciso, penetrando con la lancia termica nel suo appartamento.
A chi appartenevano le voci confidenziali malavitose di cui l’onorevole godeva tutta la fiducia? Al clan Turatello, ovviamente, con ogni probabilità nella persona di Ugo Filocamo che, dal carcere dove era detenuto e processato insieme ai suoi complici, organizzò perfino il ritrovamento delle armi destinate ai presunti attentatori.
Nessuna lancia termica però, nessun ordigno moderno: solo risiduati bellici, vecchie armi appartenenti al suo stesso clan.
Lo scopo era però di nuovo raggiunto: quello di portare finalmente alla ribalta il nome di Craxi, eclissando totalmente - ove fosse stato ancora utile – quello di De Martino.
Anni dopo, e cioè nel 1981, negli ambienti malavitosi milanesi si parlò a lungo di una presunta evasione di Faccia d’Angelo, da organizzarsi da Bad’e Carros con un elicottero. Ma Turatello, raggiunto da un ennesimo mandato di cattura della magistratura milanese proprio per quelle armi che il suo compare aveva così abilmente fatto ritrovare, dovette diventare assillante e pericoloso. Tanto pericoloso che si decise di farlo tacere per sempre. Era il 17 agosto 1981 quando Francis Turatello venen ucciso in carcere da due cutoliani e da due complici di Jimmy Miano, che ne divenne poi il successore.
Le origini dell’ucciso potevano infatti suscitare pericolose reazioni: fu dunque per questo che si volle opporre a Cosa Nostra un agglomerato di clan, inserendovi – in posizione di importanza – quella Nuova Camorra Organizzata, nemica della mafia e quindi già sgradita, che comunque doveva essere distrutta, dopo il suo utilizzo, con le medesime modalità.
Ma torniamo al 1977, l’anno della vera comparsa di Craxi sulla scena politica nazionale. Quello del sequestro De Martino. Quello in cui Giulio Andreotti, da New York, definiva Sindona “Il salvatore della lira”. Quello in cui si decise la riorganizzazione dei Servizi, cosa che fu poi attuata con l’inizio del ’78, causandone infatti l’assoluta incapacità di intervenire efficacemente nel sequestro Moro.
L’anno anche in cui, dalla pagine del Corriere della Sera, Licio Gelli auspicava un tandem Craxi-Andreotti alla guida della nave Italia.
Tutto si compì con le medesime modalità.
Moro, che ostacolava l’ascesa politica di Andreotti, e che Kissinger aveva tantato senza risultato di dissuadere dal terzo tempo, fu sequestrato e poi ucciso dalle Brigate Rosse. A Cutolo che offriva il suo aiuto per il ritrovamento dello statista, si rispose di farsi i fatti suoi.
Turatello era in quel periodo detenuto a Cuneo insieme a don Masino Buscetta: dove “comandava lui”, secondo le deposizioni del maresciallo Angelo Incandela, di cui il senatore Francesco Cossiga sottolinea l’attendibilità, e che era in servizio in quel carcere per correggere le deviazioni degli agenti carcerari.
Un amico di Turatello, Ugo Bossi, nei giorni precedenti il sequestro Moro, ricevette la visita di Frank Coppola. Era il 2 marzo sera, quando in una telefonata intercettata su richiesta del sostituto procuratore di Milano Giorgio Della Lucia, si sentì Bossi riferire al compare di don Masino, tale Onofrio Otello, che l’indomani si sarebbe recato a Cuneo ad intrattenersi sia con Turatello che con Buscetta, dove liberamente entrava con il documento dell’avvocato Formisano, grazie alla complicità del maresciallo Manfra, poi sostituito appunto da Incandela.
Quello stesso Formisano che, pur appartenendo allora Msi, aveva da poco accompagnato Bettino Craxi dal procuratore capo De Matteo per denunciare il presunto futuro attentato della sua vita.
Ugo Bossi, uscito dal carcere di Cuneo, si rese irreperibile per quarantott’ore, mentre Frank Coppola era acquartierato ad Ardea, in prossimità di Roma. Si seppe poi che era stato individuato al Terminillo, dove era presente una forte concentrazione di ufficiali dell’aviazione americana.
Interrogato in fase dibattimentale da Della Lucia sul motivo della visita ai due, Bossi ebbe a rispondere che ci era andato “per parlare di Moro...”.L’udienza venne interrotta su richiesta degli avvocati Maris e Toppetto, che protestavano perchè la prosecuzione dell’interrogatorio metteva in pericolo la vita del loro cliente. Di lì a qualche minuto, l’udienza riprese e Bossi corresse la sua risposta, spiegando che si era confuso.
Nel medesimo lapsus incorse Buscetta, quando, interrogato dalla procura di Palermo e richiesto dei motivi che lo avevano indotto a incontrare Ugo Bossi, a lui ancora sconosciuto, rispose che “era per parlare di Moro...”. Moro sarebbe stato rapito tre giorni dopo.
Nel giugno 1978 Turatello si incontrò con l’onorevole Formisano il quale, più che difensore, gli era amico e al quale disse di avere “delle carte”. Carte che intendeva rimettere a un ufficiale dei carabinieri, in cambio di facilitazioni carcerarie. Formisano propose di consegnarle lui stesso, ma Faccia d’Angelo gliele rifiutò perchè sapeva che questi era legato ai Servizi, tant’è che, tornato a casa, l’onorevole cercò il colonnello Vitali che era momentaneamente assente. E poi, disse “....se ne dimenticò”.
Fu in seguito ad informazioni ricevute da Mino Pecorelli, che Incandela incontrò nottetempo insieme al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, proprio in quel carcere ( e dopo l’immediata partenza di Turatello per Pianosa), che fu ritrovato un involto che il maresciallo non aprì ma che il generale gli disse essere parte importantissima dei verbali della dichiarazioni di Moro alle Br.
Si ritrovarono anni dopo, il maresciallo Incandela e il detenuto Francis Turatello, nel carcere di Pianosa: quest’ultimo gli confermò che di essere da sempre stato al corrente dell’esistenza di quei documenti e che questi erano stati fatti entrare per essere portati a sua conoscenza. Gli disse anche: “ lei è stato mandato via da Cuneo per certi scritti. E lei lo sa “.
Turatello fu, poco tempo dopo, trasferito a Bad’e Carros per esservi ucciso.
Un caso, una serie di coincidenze e di lapsus freudiani. Ma due rapimenti che di sicuro hanno cambiato la storia politica italiana: De Martino ha lasciato il passo a Craxi, Moro ad Andreotti.
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