Torino World Design Capital 2008 - Perché l’UDI ha voluto questa mostra
Margherita Cattera Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2008
Nel numero di aprile di “noidonne” è stata segnalata una bellissima e significativa mostra, organizzata nell'ambito di Torino World Design Capital 2008, inaugurata in coincidenza con il centenario dell'8 marzo ( 1908-2008) e che, partendo da Torino, toccherà altre sedi in Italia: Biella, Alessandria, Bra..... in programma anche Roma.
Da questa mostra emergono alcuni aspetti che ci sembrano particolarmente significativi anche nel contesto odierno; per questo motivo desideriamo riprendere con voi l'argomento proponendovi alcune nostre considerazioni e precisazioni.
Denominata “ D come Design - La mano, la mente, il cuore”, la mostra nasce come omaggio e riconoscimento al lavoro delle donne artigiane/ artiste/ designer e imprenditrici che, dai primi decenni del secolo scorso ad oggi, hanno contribuito con il loro lavoro, la loro intelligenza, la loro passione non solo a donare bellezza e sen¬sibilità agli oggetti delle nostre case ma soprattutto sono state capaci di porsi nell'inizio di un percorso originale.
La mostra è stata possibile per iniziativa dell'UDI di Torino. Essa si richiama idealmente a quella che è stata la prima esposizione sulle artigiane/artiste e designer nel¬l'Italia del Novecento promossa nel 2002 dall' UDI di Ferrara nell'ambito della “ X Biennale Donna” e si colloca in continuità di ricerca con quello che le promotrici di allora vollero chiamare:”inizio di un nuovo viaggio, un nuovo luogo da porre in essere: quello della progettualità femminile, del design” (1 )
Scelta felice nel far coincidere i due eventi – esordio del design declinato al femminile e ricorrenza della “Giornata internazionale della donna”- perché ambedue richiamano a pur diverso titolo lo spazio “anagrafico” delle pareti domestiche, lo spazio che avrà a divenire “nuovo luogo da porre in essere”.
Ed è proprio a partire da come le donne hanno saputo simbolicamente “giocarsi” in tale “spazio specifico” che possiamo valutare in tutta la sua portata il cammino compiuto, per riflettere sul senso e sulla intelligenza di una creatività femminile che certo non è da leggersi su un versante essenzialista, ma che nel caso dell'avventura-design si è espressa in contesti e con modalità del tutto peculiari.
Nella prima metà del secolo scorso le donne, “uscite di casa” in tempo di guerra per sostituire nel lavoro gli uomini, in tempo di pace continuavano a venire ricacciate tra le pareti domestiche.
Soltanto dopo il 1945 sarà concesso alle donne il diritto di voto e cambieranno molte cose - conquiste di diritti, emancipazione, riconoscimento del loro contributo - che significheranno maggiori spazi culturali e maggiori possibilità di azione nel mondo pubblico economico e sociale.
Ma nei primi decenni del '900 il luogo per eccellenza resta la casa e le donne che iniziano ad uscirne, che vogliono cimentarsi nel mondo pubblico sia con attività lavorative nei settori della produzione a livello di artigianato o in¬dustriale sia chiedendo il riconoscimento di diritti politici acquisiti ( e consuetudinariamente non riconosciuti) incontrano anzitutto la forza respingente dei pregiudizi, (anche) a quel tempo più forti delle stesse leggi. Sono giudizi spesso derisori, quelli che ricevono ( 2 ) e ciò che soprattutto si teme riguarda la “tenuta” della famiglia, del focolare.
In tali contesti le donne, impossibilitate a prendere parola in altri ambiti, si fanno capaci di superare il silenzio dando la loro voce al mondo domestico che le rinserra, alle cose, agli oggetti della casa. Rivoluzione geniale che solo dal loro luogo era possibile, rivoluzione concettuale e culturale dispiegata a poco a poco a partire da “quel” fare singolare e creativo che rovesciò il senso stesso di un semplice “uscire” dal buio dell'oikos e dall'a¬nonimato, divenne creazione di sé.
Perché ponendo in una diversa prospettiva gli oggetti d'uso, gli ambienti che per secoli, nel privato, avevano supportato la loro esclusione dal mondo pubblico, ne cambiarono la valenza simbolica e nel farne “mediazione” e scambio del loro rapporto col mondo esterno, ma¬schile, si aprirono all'inedito di fare di sé donne nuove, capaci di volere la propria dignità altrimenti riconosciuta.
Oggi, il mondo del design e il concetto stesso di “design” si sono talmente ampliati ed estesi ai campi applicativi più diversi da sembrare come una gigantesca nuova atmosfera della Terra indispensabile o inevitabile in ogni settore dell'attività umana, fino agli sviluppi recenti che riguardano la via alla sostenibilità e cioè l'Ecodesign ( DfE), dove si richiedono scelte al di là del mercato e che toccano la sfera del politico, cioè della gestione della cosa comune ( 3 )
Nello stesso tempo si constata ogni giorno di più quanto non sia il cittadino ma il consumatore il ri¬ferimento della gran parte del mondo produttivo e dell'industria dei media e quanto un prodotto, nell'era digitale e nel campo economico, sembri configurarsi, in così vaste proporzioni, come informazione manipo¬labile, tanto da far parlare, con Hal Foster, di una “economia politica del design”. ( 4 ) E' incredibile constatare come in poche decine di anni si sia operato in questo ambito una vero capovolgimento di giudizio rispetto all'ostilità che incontrarono importanti pionieri, come fu per esempio il caso del Bauhaus. Come testimonia, per esempio, Paul Klee quando, nel 1924 diede voce al vissuto di solitudine suo e degli altri docenti con queste parole: “ Noi non abbiamo il sostegno di un popolo. Ma questo popolo, noi lo cerchiamo E' così che abbiamo cominciato al Bauhaus. Abbiamo cominciato con una comunità alla quale abbiamo dato tutto ciò che possediamo. Non possiamo fare di più” (5) L'anno successivo la famosa scuola se ne sarebbe andata da Weimar, trasferita a causa dell'ostilità crescente degli ambienti accademici e industriali.
Nelle mutate circostanze di oggi, in cui le donne vedono il riconoscimento del loro lavoro e della loro creatività ma anche scarsa considerazione della loro dignità di persone e di cittadine, possiamo davvero ritenere che un percorso di emancipazione sia in grande misura compiuto, consolidato?
Le donne di oggi si sentono più libere di costruire da sé la propria identità e lo fanno attraverso significati e modelli indipendenti dal genere e al di là dei modelli rigidi del passato, in un movimento culturale che il sociologo A. Touraine vedrebbe come profondamente democratico, perché non solo riguarda età e livelli sociali diversi ma presuppone la fiducia nel concetto di diritto e nella sua difesa mediante la legge. ( 6 )
Certo noi tutte verifichiamo di continuo come sia presente anche in molte donne un rifiuto del politico e un concetto di libertà legata al privato dei propri interessi (7) .
Anche durante la campagna UDI “50 E 50 ovunque si decide” abbiamo potuto constatare le difficoltà per molte donne di prendere le distanze - anzitutto concettualmente - da un modello che finisce per tollerare-giustificare la prepotenza maschile e la difficoltà a pensare un mondo in cui “democrazia paritaria” e “cittadinanza duale” siano base imprescindibile di relazioni.
Sono poi evidenti le disillusioni in riferimento alla formazione delle liste di candidatura alle elezioni politiche del 13-14 aprile 2008 dove le donne sono state collocate per lo più verso il fondo delle liste, in aree di sicura non eleggibilità.
Anche le modalità, con cui si sono iniziati e svolti molti dibattiti intorno alla legge 194, si sono poste in una dimensione di “naturalità” riconosciuta alla parola maschile, l'abbiamo ben visto, come se fosse del tutto naturale che gli uomini debbano sentirsi legittimati, sempre e dovunque in via di principio, a dire la loro su qualsivoglia aspetto del mondo, anche quando non li riguarda direttamente. Certo, è perlomeno illusorio che le donne possano realizzare una democrazia effettiva “cogliendo occasioni” senza pensare a strategie di largo raggio, che diano significatività all'emergenza e non facciano sentire le nostre voci come se fossero proteste sporadiche su un fondo in cui tutto va bene. Come sarebbe perdente per le donne il lasciare che i diritti di genere vadano a confluire in un insieme di valori più generali, anche sacrosanti, per carità; ma per noi ingannevoli, perché nella confusione si perde il dato reale che tutte le donne, nelle nostre società, sono obbligate a confrontarsi a specifici modelli di subalternità nonostante il gran parlare di uguaglianza. E pure non ci aiuta lo scenario dell'attesa del riconoscimento da parte dell'altro in cambio del sostegno al suo gioco politico, dove infine la vittoria per tutti “libererebbe” anche le donne; nonostante questo sia un modello che ha ben rivelato i suoi limiti nei tratti immaginari e seduttivi che lo compongono, resta ancora potente e influente e intride il sociale e la quotidianità di noi tutte.
Oggi l'onnipresente autonomia dell'economico e la subordinazione del politico pongono problemi più che mai gravi e difficili, che condizionano al peggio la vita di tutti e che a maggior ragione andrebbero affrontati da chi abita il mondo comune, cioè donne e uo¬mini insieme.
Ma le donne, che hanno conquistato l'agorà del mercato - con le sue decli¬nazioni positive e creative ma anche coi suoi limiti- appaiono meno attratte dalla dimensione politi¬ca oppure ne vengono emarginate. Eppure è una realtà che ci riguarda completamente, sia come singole che come genere, è una realtà complessa che stimola a cercare molti modi di rispondere.
Abbiamo segnalato la mostra: D come Design - La mano, la mente, il cuore” non solo per la sua qualità artistica e il suo valore culturale. Nel suo messaggio profondo essa ben si collega alle questioni di cui abbiamo parlato, poiché tocca un modo di attuarsi della creatività su cui può essere proficuo lavorare e riportare all'oggi. La cosa notevole è che quelle donne hanno saputo “volgere lo sguardo”, cioè sganciarsi dai luoghi comuni, hanno capito che c'era “del vedere” là dove non guardava nessuno e cioè proprio in quella prigione casalinga di cui erano considerate le regine. Quelle donne intelligenti e coraggiose che, a partire dai primi anni del '900 “raccolsero” le modeste cose della loro realtà – oggetti, manufatti casalinghi – per “riprogettarle” in una dimensione di oggetti di scambio nel mondo esterno, in “arti applicate” come si disse allora, ne fecero molto di più che degli oggetti di scambio, perché di fatto contribuirono a costruire modelli culturali nuovi. E dare nomi nuovi alle cose è portare alla luce l'ingannevole contenuto nel cogliere le cose come “naturali”, creare dell'impensabile, cioè uno spazio nuovo operativo e mentale che ha influenzato la società intera – attrezzare la cultura con uno spazio di azione diceva Karl Kraus – ( 8)
Questa mostra ci invita con grande passione a “partire da noi” ma guardando noi stesse e il nostro mondo senza troppi pregiudizi, senza troppe “idee ricevute” per cercare strategie “per noi”. In questo senso l’UDI è interessata a che la partecipazione delle donne al mondo pubblico sia sempre più grande, comprenda la sfera politica e sia accolta nell' immaginario comune come responsabilità che le riguarda comunque, anche senza la solidarietà e il riconoscimento degli uomini.
La grande rassegna sul Design al femminile di cui è parte la mostra”La mano, la mente, il cuore” testimonia che una parte importante di percorso è stata compiuta e che c'è un senso e una logica in tutto questo: le donne artigiane, artiste, designer, imprenditrici hanno contribuito a costruire un tratto lungo e importante della vita delle donne e hanno agito prendendosi il rischio di partire da se stesse e da un desiderio proprio; si sono “messe in gioco” e qualcosa che prima non c'era è venuto al mondo. Presenze singolari nella pluralità, esse ci richiamano al nostro essere soggetti prima che consumatori e ci invitano ad ascoltarci, ad ascoltare le nostre emozioni, a non rinunciare al nostro punto di singolarità.
Abbiamo voluto sostenere questa mostra perché vogliamo che il passato non si perda, diventi luogo per rilanciare la nostra ricerca. Siamo riconoscenti alle designer e artiste, alle donne imprenditrici che hanno ac¬cettato e accettano la sfida del loro tempo lavorando con “la mano, la mente e il cuore”- con il piacere dei sensi, i pensieri della mente, la passione del cuore direbbe Hanna Arendt
Ripercorrere la storia di donne che hanno lottato per non essere escluse, anche da se stesse, che hanno sviluppato la loro singolarità creativa: tutto questo è molto importante anche per chi si ritro¬va un mondo apparentemente già tutto “conquistato”, per cui è difficile dare parola al malessere.
La gioia del poter conoscere le opere di queste donne creative è forza per tutti noi, apre al desiderio di progettare l'inedito.
*Margherita Cattera
Coordinamento UDI Torino
”D come Design. La mano, la mente, il cuore” - 8 marzo/27 maggio 2008 Museo di Scienze Naturali – Via G.Giolitti, 36 – Torino tel.39 0171 618300 – orario 10-19, martedì chiuso – Iniziativa di UDI Torino, curata da Anty Pansera e Luisa Bocchietto, promossa dalla Presidenza e dall'Assessorato alle Pari Opportunità della Regione Piemonte, con il patrocinio del Ministero delle Pari Opportunità, di ADI Piemonte Valle d'Aosta e del Comitato imprenditoria Femminile della Camera di commercio di Torino
La rassegna “D come Design” è articolata in diverse mostre a Torino, Alessandria, Biella, Bra e in altre città della Regione Piemonte
NOTE
( 1 ) “ Dal merletto alla motocicletta”- X Biennale Donna a cura di Anty Pansera con Tiziana Occleppo. La citazione si riferisce allo scritto del Comitato Biennale Donna nel relativo Catalogo
( 2 ) Caso esemplare, la motivazione con cui viene rifiutata l'iscrizione delle donne in alcune liste elettorali, perché se fossero state votate avrebbero dato “al mondo civile il nuovo e bizzarro spettacolo di un governo di donne....”. Corte d'Appello di Firenze ( 4 agosto 1906) in G. Brunelli, Donne e po¬litica, Il Mulino 2006, p. 15
((3) (DfE) Design for Environment - “L'ecodesign diventa lo strumento ideale per migliorare sensi¬bilmente le prestazioni ambientali di un prodotto”..... “per rendere più eco-compatibili i prodotti che produciamo e consumiamo” M. Cappellini, S. Granata, La via alla sostenibilità , in Arredamento e design 2007-2008, Grandi Guide La Repubblica, p 472
(4)Hal Foster, Design & Crime, Postmedia 2003, p. 24. L'autore così mette in risalto il ruolo del design contemporaneo:“ Oggi non è più necessario essere terribilmente ricchi per venire progettati – non solo come designer, ma anche come “disegnati” – se il prodotto in questione è casa tua, la tua attività, la tua faccia cadente ( chirurgia come oggetto di design ), la tua personalità lenta ( droghe di design ), la tua memoria storica ( musei come oggetti di design ), o il tuo futuro DNA ( bambini come oggetto di design )”
(5) Eric J. Hobsbawm cita la conferenza di Klee in”Le déclin des avant-gardes au XX siècle”in Manière de voir n.57 maggio-giugno 2001, p 65
(5)
(6) A. Touraine, Le monde des femmes, Fayard 2006
( 7) Questo modello venne a imporsi ben due secoli fa, quando la rivoluzione industriale, ai suoi albori, contribuì a valorizzare, per l'uomo, l'ambito privato, economico, come quello in cui fosse possibile esercitare i propri interessi sancendo anche la separatezza del privato femminile ( la cura della vita) da quello pubblico maschile ( il lavoro produttivo, la gestione e le decisioni politiche). Cfr. B. Constant, La libertà degli antichi, paragonata a quella dei moderni, Einaudi 2003, pp 28,31
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