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Cultura: Italians do it better

Cultura: Italians do it better

Applicare la “diffusione del brand” agli ambiti artistici e allo spettacolo. Intervista a Simona Baldelli

Giovedi, 11/08/2011 -
Simona Baldelli è nata a Pesaro da dove, per seguire la sua passione per il teatro, è partita alla volta di Bologna, poi Pisa, quindi Roma, in seguito Città del Messico, Caracas, La Habana e poi di nuovo Roma.

La passione per la scena calcata si è in seguito ampliata alla regia e quindi alla scrittura scenica.

Un po' per caso, un po' per curiosità, da qualche anno si è dedicata all'organizzazione e promozione di eventi di cultura e spettacolo dando vita all'Associazione Culturale Punto Com www.puntocom.biz con la quale collabora all'organizzazione e direzione artistica di numerose manifestazioni per enti pubblici e privati.

Ultimamente ha pubblicato racconti e testi teatrali per alcune case editrici, il che le sta facendo nascere la voglia di potere, in un prossimo futuro, considerare la scrittura la sua principale occupazione...



La Sovrintendenza di Roma, il Comune e le Belle Arti stanno rendendo sempre più complicato organizzare eventi di cultura e spettacolo, tagliando fondi, negando permessi (anche per manifestazioni a carattere gratuito), limitando l'orario di durata degli stessi sia all'aperto che al chiuso. Secondo te cosa sta succedendo e perché?


Certo la mancanza di risorse economiche e fondi è innegabile ma non credo che sia l'unico motivo per questo drastico taglio alla cultura. Credo ci sia una volontà, neanche troppo sotterranea, di impoverire il bagaglio culturale e di informazione dei cittadini.

Se posso fare un "macro" esempio, cito gli episodi che sono finiti sotto gli occhi di tutti e che riguardano i palinsesti Rai. Le trasmissioni che fanno maggiore ascolto e che raccolgono molta pubblicità e sponsor (cifre che superano largamente i costi di queste trasmissioni e che servono anche per pagare programmi fallimentari...) vengono tagliate con il risultato di impoverire l'offerta culturale e i fondi dell'azienda.

Voglio anche ricordare le proteste del mondo del cinema e del movimento dei Cento Autori. Hanno gridato fino allo sfinimento che non chiedevano denaro, bensì delle leggi che servissero a ristrutturare l'industria cinematografica italiana e sbloccare altre risorse, anche private, ma continuano a non ottenere risposta.

Altrettanto grave, a mio parere, è stata la decisione di limitare l'orario di somministrazione in quelle librerie romane che, grazie alla legge voluta dall'allora sindaco Veltroni, potevano integrare i miseri bilanci della vendita dei libri con quelli derivati dalla somministrazione in occasione di presentazioni di libri, reading letterari e poetici, performance culturali. Perché limitare questo orario alle 22.00 quando in qualsiasi altro tipo di locale è consentito fino alle 24.00 e anche oltre? Io non credo che si tratti di una risoluzione atta a limitare gli "schiamazzi" (chi esce da un pub non è certo meno rumoroso di chi ha frequentato una libreria...) credo appunto che ci sia la volontà di impedire che circolino le idee, che la gente parli e si confronti.

La stessa cosa accade per Manifestazioni di altro tipo, specialmente all'aperto.

I lacci burocratici e amministrativi sono talmente tanti che, quand'anche si trovassero fondi privati (anche nell'ambito della cultura e dello spettacolo vi sono degli ottimi "imprenditori") ti passa proprio la voglia...

A questo proposito posso anche aggiungere che se la burocrazia (e la politica) fossero più attente e sensibili a queste richieste, anche il mondo dell'industria e dell'economia (inteso come finanziatori privati e sponsor) sarebbero ben felici di intervenire associando i propri marchi e prodotti a eventi di qualità.



I tagli alla cultura, alla scuola, la soppressione dei laboratori artistici, ecc., stanno provocando effetti a catena con un impatto grave anche per tutti i lavoratori e le lavoratrici del settore. E non è solo una questione economica. Cosa ne pensi?

A quanto ho già detto posso solo aggiungere che è sconfortante sentir dire da ministri (che si occupano, fra l'altro, di economia) che con la "cultura non si mangia".

Fra l'altro, nulla di più falso.

Mi piace corredare i miei pensieri con esempi pratici e quindi voglio riportarti l'esperienza della città nella quale sono nata.

Pesaro ha un glorioso Festival operistico, il Rossini Opera Festival, appunto.

Bene. Fin dalla sua nascita, grazie alla lungimiranza degli addetti e all'alta qualità delle produzioni, raccoglie spettatori da tutto il mondo, vengono organizzati appositi voli intercontinentali per portare il pubblico ad assistere agli spettacoli e questo non significa solo vendita di biglietti, ma anche alberghi, ristoranti e agriturismo pieni. Negozi frequentati e vendita delle sue produzioni artistiche nei maggiori teatri e Festival di tutto il mondo. È quella cosa che piace tanto a chi si occupa di marketing: la "diffusione del brand".

Sono queste operazioni, da Leonardo e Michelangelo in poi, che hanno fatto sì che nel mondo ci fosse l'opinione che "italians do it better". È la grandezza di Firenze dai Medici in poi che fa sì che, a tutt'oggi, investitori e ricconi di tutto il mondo decidano di venire a soggiornare, comprare, investire in Toscana.

Sai che quando la nostra nazionale di calcio (perché anche lo sport è cultura) vince i mondiali, le esportazioni dei nostri prodotti aumentano per un volume d'affari pari a quasi un punto percentuale di PIL?

Basta vedere la grande intuizione che ha avuto in questi ultimi anni la Regione Puglia. Mentre nel resto d'Italia le amministrazioni più miopi tagliavano gli eventi culturali, la Puglia, di contro, le ha moltiplicate, con il risultato di incrementare notevolmente le presenze turistiche e gli investimenti dei privati.

Credo che la grandezza di una Nazione non abbia niente a che vedere con il nazionalismo...



Cosa suggeriresti ai/alle ragazzi/e che volessero impegnarsi in questo lavoro?

Di non omologarsi, di non perdere la pazienza e, possibilmente, di non andarsene... abbiamo davvero bisogno di teste nuove, non necessariamente giovani, beninteso, ma nuove sì.



Secondo te in ambito culturale le donne sono discriminate?

Sì, come in qualsiasi altro settore.

Puoi avere tutta l'esperienza (faticosamente accumulata) e la competenza possibile, puoi avere quaranta, cinquanta, sessanta e passa anni, ma sarai sempre guardata con l'ipocrita aria di condiscendenza con la quale si guarda una bambina che ha fatto bene i compiti di scuola.

Devi accontentarti di un bel voto e della benevolenza di una pacca sulla spalla, ma la promozione spetta sicuramente al tuo compagno di banco anche se è assai più zuccone di te.

Va anche detto che noi donne ci mettiamo del nostro. Se fossimo capaci di fare squadra fra di noi e di dar vita a un sano corporativismo, le cose andrebbero diversamente. Purtroppo, dal punto di vista comportamentale, siamo ancora vicine alla sindrome del pollaio: il gallo è uno solo (in questo caso i ruoli di rilievo) e quindi continuiamo a beccarci fra di noi per ottenere i suoi favori... Ma questo ci porterebbe ad argomenti forse non così pertinenti con il resto dell'intervista.

Comunque credo che non abbiamo letto ancora con sufficiente attenzione "Una stanza tutta per sé" della Woolf.



Cosa può insegnare questo mondo ad altri settori professionali, diciamo così, più "produttivi"? Ci sono delle "buone pratiche" consolidate (anche per quanto riguarda la maternità, la tutela del lavoro... ecc.?) Cosa si potrebbe migliorare?

Voglio lanciare dalle pagine della tua rivista un'idea che mi frulla in testa da tempo: perché non proviamo a introdurre negli ambienti di lavoro una nursery? Proviamo intanto a sperimentare questa cosa per grandi aziende o nell'amministrazione pubblica (ministeri, camere deputati e senato, uffici regionali e provinciali...). Proviamo a dare una mano reale alle donne e alle famiglie (di cui tanto si parla e poco si fa). Credo che sarebbe assai più semplice e produttivo favorire le donne consentendo loro di avere degli spazi dove i bambini possano essere accuditi a due passi da loro, in un ambiente ben attrezzato. Non dovrebbero scapicollarsi da un punto all'altro della città, lavorare part time, rinunciare alla carriera, spendere lo stipendio in baby sitter (visto che gli asili vengono chiusi).

Credo che sarebbe un buon punto di partenza. Poi certo, delle leggi che tutelino una reale parità di diritti non guasterebbero anche se personalmente non credo che sia sufficiente inserire per legge le cosiddette quote rosa nell'ambito lavorativo.

Le donne non sono una categoria svantaggiata, almeno biologicamente, basta solo che se ne accorgano.

Suggerisco alle nostre (poche) parlamentari donne di proporre trasversalmente delle leggi che aiutino le donne nella gestione del privato, che poi è la base di qualsiasi "polis": la cura dell'infanzia, dei malati, degli anziani... Basterebbe avere una distribuzione più equa del potere e anche la nostra società non sarebbe costretta a rinunciare al valore aggiunto che le donne rappresentano.

Lo sai che le società, amministrazioni, aziende... gestite da donne hanno profitti maggiori?



Arte, spettacolo, musica, cultura: quali sono state le tue emozioni più grandi, nella tua esperienza di addetta ai lavori?

Tutte. Senza distinzioni. Quando l'essere umano si confronta con i sui limiti, fisici, innovativi, creativi che siano (in questo senso ho citato precedentemente lo sport) mi commuovo sempre.

Di fronte a un dipinto, una pagina scritta, un'invenzione fino a ieri impensata, una performance, i cento metri fatti in meno di 10", mi si stringe sempre la gola.

È misurarci con la nostra fragilità che ci fa diventare più forti. Credo.



(11 agosto 2011)

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