Mercoledi, 03/10/2012 - Siamo stati convocati per le riprese dell’ultimo film di Daniele Luchetti ambientato negli anni ’70 “Storia mitologica della mia famiglia”. Appena un giorno per organizzarci, all’alba del giorno dopo dobbiamo trovarci agli Studios di via Tiburtina a Roma. Per due giorni abbiamo vissuto insieme alle lavoratrici, la cronista come figurante, su un set blindatissimo. Il film girerà tra Roma, Milano e la Camargue (in Francia) e gli attori protagonisti sono Kim Rossi Stuart, Micaela Ramazzotti e Martina Gedek (La vita degli altri).
Si possono portare elementi di scena o costumi di quegli anni. Mettiamo in borsa un paio di scarpe. Arriviamo davanti alla sartoria della produzione (Cattleya e Rai Cinema ). La costumista ci aspetta per la prova costume. Il primo contatto è con lei: viso e modi gentili, le assistenti le conosceremo in seguito, ai cambi e sul set. La scelta è studiata nei minimi particolari, lei ci osserva nei colori del viso dei capelli, a me tocca un vestitino “borghese”, avrei preferito “figlia dei fiori”, ma tant’è. Gli accessori si adattano al costume. E il suo sorriso ci accompagnerà per tutto il set, ci ricontrollerà fin dentro lo studio scenografato dove poi gireremo. Anche le scarpe vanno bene. Maria Rita Barbera ha già lavorato con Luchetti nel film “La nostra vita” che ha vinto il premio come migliore attore protagonista a Cannes con Elio Germano. Tutto si svolge con lentezza e con la massima meticolosità. Colori, stili, accessori. Ogni costume si adatta ai personaggi. Siamo parte di un ingranaggio in cui tutto deve perfettamente incastrarsi. “A Venezia quelli erano anni difficili e bellissimi” ci dice una figurante alla sua prima esperienza “Avevo vent’anni e le gonne dovevano essere più corte possibili. Contestavamo tutto. Ma i visi erano uguali a quelli di adesso” ci racconta con un velo di malinconia davanti al caffè della produzione, allestito a ridosso del set. Maria Rosaria, invece, è un’insegnante di ginnastica, figurante anche lei. “Viste le poche supplenze che mi danno a scuola, con questo lavoro, quando capita, arrotondo lo stipendio”. La sala trucco è al piano di sopra, si fa la fila e nell’attesa guardiamo le foto d’epoca che occupano tutto il tavolo: “Le ha portate la nostra capo trucco per farci un idea e per controllare capelli e colori”. “Guarda questa - ci dice la truccatrice che ha poco più di vent’anni - mi sembra mio padre, lui è proprio uno “tosto”, ha fatto le contestazioni!”, anche la musica di una piccola radio ci riporta all’atmosfera dell’epoca.
Ci chiamano dal set. Mancano ancora dei dettagli nello studio dove si gira. Aspettiamo in un'allestimento di altri film, ci sono delle sedie, un prato finto, una finta piazza. Ci siamo tutti. Scambiamo numeri di telefono e indirizzi mail, il tempo non passa invano. Le attrici del teatro Valle occupato stanno preparandosi per le assemblee nei giorni successivi: dovranno decidere della stagione, degli incontri. I progetti sono tanti. Si pensa ad una sartoria, dove cucire direttamente i costumi, questa sarebbe un'occasione per il teatro. Le competenze sono diverse e qualificate. “Ho imparato il mestiere di sarta in un laboratorio in Toscana - racconta una delle attrici - e a fare le gorgere a mano (enormi colletti di pizzo del seicento) così bene che il mio maestro mi diceva di venderli a non meno di duemila euro. Pensa se a qualche produzione servisse, mi sistemerei per un pezzo!”. Lavoro precario, creativo, innovativo. La piazza (finta) diventa un intreccio di generazioni, un crocevia tra passato e presente, un luogo di discussioni, di scambi di idee, tra vecchie e nuove generazioni. I tempi si allungano, ritornano sul set la costumista insieme alle assistenti e le truccatrici che ci sistemano, ritoccando qua e là, eliminando il superfluo: borse moderne, bottigliette d’acque che potrebbero “inquinare” il set. Le assistenti alla regia, instancabili, vanno da una parte all’altra, facendo la spola tra la regia, le figuranti, le attrici. Parlano tra di loro con auricolari, continuamente in giro a risolvere qualunque cosa possa minimamente compromettere il set. Tutto deve essere pronto per quando verrà il momento di girare.
Arriva il regista indaffarato, elegante in abito blu di lino, e con lui scenografo, direttore della fotografia che definiscono nei dettagli il set. Ci comunicano che possiamo entrare prima con le scarpe poi scalzi. Il fondo della scena è bianchissima, questo rende i contorni dei nostri costumi ben delineati e i colori evidenziati. Entrano gli attori protagonisti, si gira molte volte un'unica scena insieme ai figuranti. Costumiste e truccatrici si aggirano sul set. Tra un ciak e l’altro sembra un campo di battaglia, si cerca di riposare il meglio che si può. Diventiamo insieme ad altre “figuranti speciali”, il regista ci ha richiesto una battuta, che significa anche qualche euro in più. Il set si rianima continuamente con le indicazioni degli assistenti e del regista che fa riprendere da varie angolazioni la scena. Romina è una fotografa di scena a teatro, riceve continuamente i complimenti per la sua camicetta e la collana che indossa “io non mi vestirei mai così” ci dice seria e concentrata. Dietro le quinte incrociamo Martina Gedek con la coach che le parla in italiano e in inglese, gira una scena insieme a noi. “Monaco è bellissima, devi conoscerla se non l'hai già vista” ci dice. Anche lei scalza e ben disposta, meno provata di noi che siamo poco abituate a ore interminabili di “ciak si gira”, e a “stop, fermi, state fermi!”. Lei rientra sempre con un sorriso, leggera, con un abito da donna “emancipata” per quegli anni, rispetto al vestito bello, ma un po’ troppo “borghese” di Micaela Ramazzotti. Altre truccatrici le vediamo sul set solo ora, solari e all’apparenza fresche, ritoccano il trucco, ci osservano. Le assistenti della costumista sono sempre intorno a noi con asciugamano e sorrisi. L’orario di lavoro finisce. Si chiude il set che riaprirà il giorno dopo all’alba. Siamo sfinite, e uscendo ci sentiamo libere come libellule all’aria aperta della città.
Il giorno dopo la convocazione è sempre all’alba. Ritroviamo i nostri costumi in perfetto ordine. Passiamo al trucco, sembra tutto più semplice, all’apparenza. Rimaniamo in piedi registrando la stessa scena per ore. Ma ci sono le indicazioni del regista che ogni volta ci fanno sentire protagonisti di un disegno, ci si commuove ai dialoghi dei protagonisti e dei loro figli, si entra nei panni di qualcun altro, e al “ciak si gira!” ci si ritrova concentrati, accolti dalle assistenti e dalle figure di queste lavoratrici che hanno permesso che tutto ciò potesse accadere. Gli incontri che si fanno in questi situazioni sembra che diventeranno eterni, si crea un'intimità che non si può non condividere. Ci si sente partecipi di un progetto più grande di cui viviamo solo un segmento. Il lavoro di queste donne è molto faticoso e richiede professionalità, passione, dedizione. Dimentico un anello nella borsa di scena, porteranno via i costumi dopo il week end, saranno migliaia di oggetti, chiamo, telefono, mi risponde l’assistente costumista Martina alle dieci di sera ancora con il suo sorriso: “tranquilla, lo troveremo”.Comprendo la gratificazione nel poter ritrovare e consegnare qualcosa che sembra impossibile da realizzarsi come i nostri sogni nei film.
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