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Cristina Giai Pron, pagaiando contro corrente

Cristina Giai Pron, pagaiando contro corrente

Il gusto della gara / 1 - Un curriculum di alto profilo quello di Cristina Giai Pron, che ha esordito a 15 anni in campo internazionale arrivando a gareggiare a livello olimpico nella specialità del kayak slalom.

Lanzon Paola Lunedi, 30/07/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2012

Cristina tu di Olimpiadi ne sai qualcosa, visto che nella tua carriera vi hai partecipato ben 5 volte. Ci racconti come hai iniziato?

Il merito è stato della mamma, che fin da piccola mi ha spinto a provare diversi sport. Sono partita dalla ginnastica artistica. Già lì è emerso il mio spirito molto competitivo; ero persino competitiva con la musica, volevo sempre finire prima di lei. Un’amica di mia madre le consigliò poi la canoa, anche perché avevo un fisico gracilino e si pensava che questo sport potesse aiutare a rinforzarmi. Così a 8 anni mi hanno iscritta al circolo “Amici del fiume di Torino”. Lì ho incontrato la canoa. Gli inizi sono stati un po’ forzati dal volere materno, ho avuto la fortuna di incontrare persone in gamba. Come puoi immaginare era un ambiente quasi esclusivamente maschile e quindi la mia competizione era obbligatoriamente con i maschi. Ho iniziato ad avere qualche risultato e a 14 anni avevo proprio voglia di spaccare il mondo. A 15 anni ho vinto le selezioni per la Coppa del Mondo nella categoria seniores e a 17 avevo già conquistato il posto per la prima olimpiade.

Per quali motivi ancora oggi ci sono poche donne che si avvicinano alla canoa?

Ci vuole molto coraggio: è uno sport tutto in ambiente naturale, fiumi mossi, freddo, non ci sono strutture, non ci sono docce, spogliatoi. Ci si allena in luoghi dove molto spesso lo spogliatoio è la tua macchina e non tutte le ragazze sono attirate da queste condizioni . Ci vuole inoltre molto coraggio per mettersi in gioco proprio con l’elemento acqua, quella più impetuosa che talvolta finisce con l’avere il sopravvento sulle tue stesse forze e allora ti accorgi che può anche capitare di farsi un po’ male.

Hai ripetuto due volte questo concetto del coraggio. Lo dici perché pensi che le donne non siano coraggiose?

Le donne sono coraggiose, non dico questo. Ma il tipo di sport che io pratico, il kayak slalom, si pratica in situazioni un po’ particolari. Negli ultimi anni si è andati sempre di più verso la pratica in canali artificiali, che necessariamente tendono ad essere sempre più spettacolari e di conseguenza difficili tecnicamente per chi li deve affrontare. I percorsi sono identici sia per gli uomini che per le donne; sono identici sia il tratto di canale da percorrere che il percorso disegnato dalle “porte” (passaggi obbligatori in gara). È chiaro che i due elementi che fanno la differenza sono la forza e il peso, fattori che come puoi immaginare tecnicamente influiscono moltissimo. Se pesi 50 kg o ne pesi 80 la differenza tecnica è enorme, sia per il peso nella barca sia per la forza fisica che sei in grado di esprimere. È una gara molto difficile per una donna, molto più che per un uomo e questo quindi incide molto sui numeri delle praticanti. Questa differenza sui numeri è ancora più evidente in Italia rispetto all’estero; penso per un discorso sia di mentalità che di strutture. In Italia non esiste un canale artificiale costruito ad hoc e quindi è molto difficile fare esperienza in sicurezza. Per questo motivo parlavo di coraggio: buttarti giù in un fiume spesso da sola senza nessuno che ti supporti in sicurezza non è una esperienza che in tante si sentono di affrontare.

Ti ritrovi nell’affermazione che l’Olimpiade rappresenta l’esaltazione del sistema capitalistico?

Non ci avevo mai pensato. Non avevo mai avuto modo di pensare alle Olimpiadi da questo punto di vista. Le ho sempre vissute da atleta, con la trepidazione della preparazione, l’aspettativa della vita nel villaggio olimpico, l’atmosfera magica che vi si respira. Come atleta non pensi al resto. In realtà è capitato qualcosa in questo senso a Pechino. Sono personalmente molto vicina al popolo Tibetano e avrei voluto testimoniare durante le Olimpiadi in qualche modo la mia vicinanza, magari indossando una maglietta con una scritta, oppure scrivendo qualcosa sulla barca, anche sul tema dei diritti e contro la pena di morte. In quell’occasione ci è stato impedito dagli accordi che il CONI penso abbia dovuto stipulare con la Cina

Olimpiadi e donne. Quale risultato si ottiene avvicinando queste due parole? Disparità di trattamento economico, ad esempio?

Nel mio sport abbiamo la parità, al ribasso però. Quasi niente sia per gli uomini che per le donne. Questo è ancora oggi il destino in tema di ingaggi e sponsor per gli sport considerati minori. Il fatto di essere donna è stato ovviamente un fattore che ha reso il mio percorso molto più duro, questo è certo. Ricordo con chiarezza un ambiente molto pesante, lontano da casa, non accogliente. È stato un percorso faticoso, con poco sostegno e anche un po’ di invidia per una ragazza che, così giovane, otteneva anche grandi risultati. Non mi lamento però, questo mi ha fatto bene e mi ha reso più tosta. I vantaggi dell’essere donna in questo sport sono pochi ma uno c’è sicuramente: siamo in poche, quindi meno concorrenti e quindi relativamente più facilità nelle qualificazioni..

Ora sei mamma di due bimbe ancora piccolissime. Cosa mi dici di questa fase della tua vita personale e sportiva?

È stato un cambiamento enorme, fortemente voluto. Ho avuto nella mia carriera tanti risultati e 5 Olimpiadi anche se non sono riuscita nel sogno di qualsiasi atleta e cioè quello di portare a casa una medaglia olimpica. Quello che ho ottenuto è stato molto: senza staff, senza allenatori, tutto in solitudine e con tantissima fatica. Me ne sono fatta una ragione e con questa serenità ho dato ascolto al desiderio di maternità che avevo maturato nel tempo. Ho scoperto di essere incinta durante la Coppa del Mondo. Avevo ancora due prove, le ho concluse e poi mi sono messa in maternità. Chiaramente ho potuto fare questo con serenità perche faccio parte del Gruppo sportivo del Corpo Forestale dello Stato ed è questa l’unica possibilità, oggi, per chi voglia avere un percorso da atleta con un minimo di tutela.

Sei stata anche vice presidente della tua Federazione come rappresentante degli atleti e delle atlete. Ho paura che non foste in molte o mi sbaglio?

Una donna su 10 componenti più il Presidente. Sono stati obbligati da una norma che stabiliva che almeno uno dei due rappresentanti degli atleti fosse donna.

Cosa ne pensi del tentativo, fortunatamente fallito, di obbligare le pugili, che per la prima volta nella storia compaiono sulla scena olimpica, ad indossare le gonnelline sul ring?

Direi che è una stupidaggine, come qualsiasi imposizione senza senso. Le uniche imposizioni che nello sport hanno un ragione di esistere sono quelle che riguardano la sicurezza. È ovvio, oltretutto, che nel caso delle atlete si inserisce un elemento vecchio: se sono brave va bene, se sono belle e anche ben “attrezzate” è anche meglio.

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