Lunedi, 25/05/2020 - Cristina Donato, è una giovane e dinamica neuroscienziata, partita da Genova e approdata all’Università del Lussemburgo, passando per la Francia, dove vive. Le piacciono le sfide, perciò si è messa in gioco emigrando all’estero con un contratto a termine di due anni, forse rinnovabile per altri tre. Appassionata di musica, nel tempo libero suona il basso e pratica il CrossFit.
Cristina, ci racconti il tuo iter?
Nel 2013 mi sono laureata in Biotecnologie Medico-Farmaceutiche all’Università di Genova. Ho sempre avuto un grande interesse per le Neuroscienze e, durante gli studi, ho svolto il mio tirocinio formativo presso l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, Dipartimento di “Neuroscience and Brain Technologies”. Ho conosciuto un ambiente lavorativo internazionale, che mi ha spinta a partire dall’Italia per ampliare le mie conoscenze scientifiche. Ho vinto il concorso presso l’“Ecole des Neurosciences de Paris-Ile de France”, ottenendo una borsa di studio, grazie alla quale ho portato a termine un dottorato di ricerca in Neuroscienze presso la Sorbona di Parigi. Vivo ancora in Francia, ma lavoro come ricercatrice Postdoc al Luxembourg Centre for Systems Biomedicine all’Università del Lussemburgo.
Lavori sui neuroni, le unità cellulari che costituiscono il tessuto nervoso: in cosa consiste esattamente il tuo lavoro? Il campo delle neuroscienze è estremamente ampio: possiamo parlare di neuroscienze comportamentali, sperimentali, computazionali ecc.. Io sono una neuroscienziata sperimentale, cioè conduco degli esperimenti in laboratorio. Utilizzo due categorie di tecniche: quelle di biologia molecolare per ricercare mutazioni specifiche in determinate sequenze di DNA, e quelle di elettrofisiologia, che permettono di analizzare gli effetti di queste mutazioni sull’attività del cervello.
Lavori in team e con quali modalità? Faccio parte di un gruppo di ricerca, ma sono l’unica a portare avanti il progetto sull’epilessia nel mio laboratorio. Sono l’unica elettrofisiologa del Lussemburgo! Tuttavia non sono sola e abbandonata al mio destino: collaboro con un gruppo presso l’università di Oslo e altri gruppi in Germania. Il bello della ricerca, è collaborare anche con colleghi dalla parte opposta del globo.
Su cosa stai facendo ricerche nello specifico? Mi occupo di epilessia genetica, ovvero l’epilessia causata da specifiche mutazioni di determinati geni. L’epilessia può essere definita come il risultato dell’iperattività di alcuni neuroni a livello cerebrale. Questa attività anomala, porta a crisi epilettiche ripetute nel tempo. Esistono diverse cause che possono condurre all’epilessia: traumi cranici, presenza di tumori cerebrali, ictus o malattie infettive. Nel caso dell’epilessia genetica, parliamo di mutazioni di geni specifici, che potrebbero modificare l’attività dei neuroni o impedire il corretto sviluppo del sistema nervoso fin dai primi stadi dello sviluppo embrionale. Ogni giorno vengono trovati nuovi geni coinvolti in queste sindromi genetiche e spesso parliamo di mutazioni totalmente nuove e rare.
Che correlazione c’è tra il cervello, la psiche e il corpo, ovvero le malattie psicosomatiche? Stretta: corpo e psiche sono strettamente collegati e si influenzano a vicenda. Pensiamo al bambino che ha mal di pancia e non vuole andare a scuola perché c’è l’interrogazione: quel mal di pancia è il risultato dello stress e del disagio prodotti dal pensiero fisso di dover essere chiamati alla cattedra. Esistono anche altri esempi di malattie psicosomatiche indotte da stress, come ad es, il mal di testa, acidità di stomaco o dermatiti. Nel caso del cervello, possiamo facilmente legare l’attività di alcuni specifici neuroni a determinati comportamenti: ad es., l’attivazione dei neuroni specchio, è responsabile dell’empatia, la capacità di immedesimarsi nelle emozioni altrui. Ancora, alterazioni di specifici circuiti neuronali possono risultare in condizioni patologiche come ad es., la schizofrenia.
Come donna, trovi ci siano prevenzioni nel tuo lavoro, oppure rispetto all’Italia va meglio? In Italia, ai tempi dell’università, mi ero sentita dire da un professore, che se avessi deciso di crearmi una famiglia non sarei mai stata una buona ricercatrice. Credo sia qualcosa di molto ingiusto. Sia in Francia che in Lussemburgo si pone particolare attenzione al ruolo della donna nella ricerca. In alcuni istituti esistono dei comitati per garantire le pari opportunità e per ascoltare i problemi che si possono incontrare strada facendo, soprattutto in caso di maternità. In Lussemburgo la situazione è ancora migliore: c’è molta attenzione per le mamme, così come per i papà ricercatori. Per quanto mi riguarda, non ho mai avuto l’impressione di non essere ascoltata perché donna. Ho gli stessi diritti e doveri dei miei colleghi di sesso maschile.
Com’è la giornata tipo di una ricercatrice? Nel mio caso, ogni giorno percorro circa 60 km per arrivare in laboratorio. La mia giornata inizia con la sveglia alle 6.30. Prima mi sono sempre affidata ai trasporti pubblici, ma al momento, a causa del Covid-19, sto utilizzando la mia auto. Una giornata di lavoro non ha una durata ben precisa, noi ricercatori non timbriamo il cartellino! Ci sono giornate molto soft e altre in cui si lavora anche 12 ore. Al momento gli orari di lavoro sono leggermente ridotti, per questioni di sicurezza relative alla pandemia. La strategia vincente consiste nel cercare di organizzarsi al meglio perché, nel mio caso, ho il mio compagno che mi aspetta a casa e non vedo l’ora di rientrare la sera.
Come viene percepito il Covid-19 in Francia e come in Lussemburgo? In Francia la situazione all’inizio è stata forse sottovalutata, nonostante tutti avessero sotto gli occhi quello che stava accadendo in Italia. Tuttavia, il distanziamento sociale e la meticolosa applicazione dei gesti barriera, hanno dato i loro frutti e ciò ha portato a un parziale allentamento delle misure restrittive, adattato alla situazione di ogni singola regione. In Lussemburgo la prudenza ha vinto su tutto. Nel mio istituto, testimoni di quello che stava accadendo in Italia, ci siamo organizzati per poter lavorare da casa. L’allentamento delle misure restrittive in Lussemburgo, è cominciato a fine aprile, molto prima che in Italia e Francia. Stiamo lentamente tornando a lavorare, mantenendo le “distanze di sicurezza” e in maniera estremamente graduale.
Che trasmissioni gestisci sui social network? Mi occupo di divulgazione scientifica per passione. Ho iniziato per scherzo, perché le persone mi facevano domande sul Covid-19 e così ho deciso di condividere le mie spiegazioni sul mio profilo Instagram (crissie.neuro) e su Facebook (pagina: Cristina Donato – Neuroscienziata). Ma visto che mi occupo principalmente di neuroscienze, ho da poco intrapreso il progetto “Neuro.Tipe” insieme alla Dott.ssa Giulia Contini (laureata in Psicologia). Raccontiamo il cervello in maniera semplice, sia da un punto di vista fisiologico e biochimico, che psicologico e comportamentale. Trovate le nostre spiegazioni sul profilo Instagram “neuro.tipe” ma soprattutto sul nostro canale YouTube.
Collaboro con la pagina Facebook L’Infoscienza, in cui ci occupiamo di scrivere notizie scientifiche accessibili a tutti. Inoltre conduco la rubrica settimanale “Scienza & Conoscenza”, sulla web radio Radio Truman (www.radiotrumantv.com): si parla di scienza insieme a esperti di diversi settori, dall’astrofisica alla microbiologia, passando per i traduttori specializzati in traduzioni mediche.
Vorresti tornare in Italia e perché accada, cosa servirebbe? Benché io mi trovi molto bene in Francia, Italia per me vuole dire casa, famiglia, amici di sempre, buon cibo. Vorrei tornare eccome! Tuttavia, al momento non esistono le condizioni per il rientro. Mi piacerebbe vedere più soldi investiti nella ricerca da parte dello Stato perché, purtroppo, senza ricerca non c’è futuro. Faccio un esempio: in Italia gli studenti tirocinanti in laboratorio non sono pagati. Nella maggior parte degli stati europei, questo comportamento è illegale. Chi lavora, anche come tirocinante, sta contribuendo alla realizzazione di un lavoro e va pagato. L’Italia deve cominciare a investire di più nella formazione e nella corretta retribuzione di questi giovani. Sono convinta che, se le cose iniziassero a girare in questo senso, a nessuno verrebbe voglia di partire, di “scappare”. Lavorare gratis non piace a nessuno: è fisiologico volersi allontanare da una realtà così e non volerci successivamente rientrare. Spero che in futuro le cose migliorino.
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